domenica 20 maggio 2018

PENTECOSTE 2018

Per comprendere il significato di questa festa, dobbiamo decifrare il linguaggio biblico, altrimenti prendiamo lucciole per lanterne, come per la festa dell’Ascensione celebrata domenica scorsa. Ascensione e Pentecoste sono le due facce della stessa medaglia, cioè della Pasqua, perché ci fanno comprendere cos’è la Pasqua, cosa vuol dire che Gesù è risorto. Anzitutto vuol dire che è salito al
cielo e siede alla destra del Padre. Ma nella Bibbia il cielo non indica la volta celeste, ma Dio. Il sedersi alla destra di qualcuno di importante voleva dire ricevere lo stesso potere di quella persona. Allora Gesù asceso al cielo non vuol dire che Gesù risorto è andato a rifugiarsi in qualche remota galassia dell’universo, ma che è entrato pienamente nella pienezza della condizione divina, e seduto alla destra vuol dire che ha ricevuto dal Padre lo stesso suo potere, che è quello di amare gli uomini come fratelli. Ma se Gesù risorto asceso al cielo non vuol dire che è in cielo, ma è col Padre, dove si trovano Gesù e il Padre perché noi possiamo incontrarli ed entrare in comunione con loro? La risposta ci viene dalla festa di oggi di Pentecoste. Sono presenti in ciascuno di noi per mezzo dello Spirito santo. Dunque lo Spirito santo è la presenza di Dio nei nostri cuori. Con la sua risurrezione, dunque, Gesù non solo non si è allontanato da noi, ma è vicino a ciascuno di noi in modo ancora più intenso. Ma anche qui, per parlare dello Spirito santo, cioè per esprimere qualcosa che resta comunque umanamente inesprimibile se non cercando di balbettare qualcosa, la Bibbia usa un linguaggio simbolico, carico di significati che, come dicevo, vanno decifrati per essere compresi. Si racconta nel libro degli Atti che lo Spirito del Signore irrompe dal cielo con fragore, e questa immagine richiama un evento importantissimo per gli ebrei, quando Dio si manifestò a Mosè sul monte Sinai donando al popolo di Israele i dieci comandamenti. Perché su un monte? Perché siccome si pensava che Dio abitasse in cielo, ecco che il monte è il luogo che su questa terra è più vicino a al cielo, cioè a Dio. E siccome nessuno ha mai visto il volto di Dio, e ce lo si immaginava forte e temibile, ecco che quando appare si manifesta avvolto da una nube con fragore di suoni. E così la Pentecoste diventa per gli ebrei la commemorazione di quando Dio apparve sul monte a Mosè donando la Legge. Si chiamò Pentecoste perché celebrata 50 giorni dopo la Pasqua, e la parola “pentecoste” vuol dire “cinquantina”, e il numero 50 nella Bibbia si riferisce all’azione dello Spirito santo. Ebbene, proprio nel giorno in cui la comunità giudaica celebrava il dono della legge, ecco che lo Spirito del Signore irrompe come vento e come fuoco nella piccola comunità dei credenti in Gesù. Anche qui. Il vento è simbolo dello Spirito, perché la parola spirito richiama l’aria, il fatto che senz’aria noi non respiriamo e moriamo: allo stesso modo noi, senza il respiro di Dio dentro di noi, che è il suo amore, siamo morti. Il fuoco indica che lo Spirito di Dio da un lato purifica e brucia quanto v’è in noi di impuro, e dall’altro illumina e scalda, quindi anch’esso è segno dell’amore di Dio. Lo Spirito, poi, nella Bibbia, e anche nel battesimo di Gesù, viene raffigurato sotto forma di colomba, ed è per questo che spesso viene dipinto in questo modo, ma è sbagliato, perché lo Spirito non è una colomba. Anche la colomba è un simbolo. Siccome la colomba è proverbialmente un uccello molto attaccato al suo nido, il fatto che questo Spirito venga sotto forma di colomba è un modo per indicare che lo Spirito di Dio prende dimora in modo stabile in tutti noi, come la colomba nel suo nido. Vedete dunque che le immagini della Bibbia non vanno prese alla lettera, altrimenti uno pensa che siano eventi straordinari capitati solo una volta (chissà poi se è vero), mentre si tratta di eventi descritti così per far capire che queste cose continuano a ripetersi anche per noi. Poi si dice che coloro che avevano ricevuto lo Spirito parlavano lingue che tutti i popoli potevano comprendere. Che è anche questo un modo per tradurre e concretizzare le parole ascoltate nel vangelo, dove Gesù dice ai discepoli che avrebbe mandato lo Spirito per permettere loro di osservare i suoi comandamenti, che poi è uno solo il comandamento dato da Gesù: amatevi tra di voi come io ho amato voi. Dunque, il parlare lingue che tutti possono comprendere significa che i discepoli diventano persone capaci di comunicare con tutti non perché poliglotti, ma perché usano un linguaggio universale, fatto non di parole, ma di gesti concreti: il linguaggio dell’amore. Perché? Perché sono abitati dallo Spirito dell’amore di Dio, lo stesso Spirito di Gesù, lo spirito di un uomo che si sente figlio amato dal Padre e dunque riceve la forza dal Padre per amare gli altri come fratelli. Infatti è grazie a questo Spirito che, come spiega san Paolo, noi possiamo chiamare Dio col nome di Padre. E dunque, in conclusione, la Pentecoste ci rivela cosa vuol dire che Gesù è risorto: vuol dire che Gesù è vivo insieme al Padre, e il Padre e il Figlio sono dentro di noi con lo Spirito santo, che è il frutto del loro amore; che è Paraclito, cioè consolatore, che non ci fa sentire soli, perché rende presente il fuoco dell’amore che unisce il Padre e il Figlio che ha preso dimora in noi; che come una colomba fa in noi il suo nido, e così come l’aria che respiriamo ci permette di vivere, allo stesso modo lo Spirito, che è l’amore di Dio, ci fa sentire amati come figli e ci dà la forza di amarci come fratelli, non di servire Dio ubbidendo alle sue leggi, ma di assomigliargli nell’amore, con la consolante certezza che vivendo così il nostro destino non è il cimitero, ma è lo stesso destino di Cristo.