domenica 27 maggio 2018

SANTISSIMA TRINITA’ 2018 ANNO B

“Lo chiamavano Trinità” non è solo il titolo di un celebre vecchio film di cazzotti con Bud Spencer e Therence Hill, ma è il modo con il quale i cristiani hanno imparato a chiamare Dio. Dare il nome alle cose e alle persone è il primo modo col quale noi umani impariamo a riconoscerle e a distinguerle. Se dico gallina, infatti, voi pensate a una gallina, non ad una mucca. Ma se dico Dio, se pronuncio il
nome Dio, a cosa pensiamo? Ognuno pensa ciò che vuole, ognuno se lo immagina a modo suo, tanto è vero che ogni popolo di ogni tempo si è fatto la sua religione pensando a Dio in mille modi diversi e quindi dandogli nomi diversi. Qualcuno dice, infatti: “Dio è solo uno, ma ognuno lo chiama in modo diverso, quindi non ha senso che ci siano tante religioni”. Invece non è così: perché è vero che Dio è solo uno, ma a seconda del nome con cui ogni religione lo chiama, lo pensa in modo diverso, con tutte le conseguenze positive o negative che ne derivano. Solo per fare due esempi. Se penso che Dio è quello che premia chi gli ubbidisce e castiga chi disubbidisce alle sue leggi, vivo nell’angoscia tutta la vita. Oppure, se penso che Dio è come un re che vuole essere servito e che tutti siano sottomessi a lui, allora io divento un soldato come quelli dell’Isis e vado in giro a far saltare in aria tutti gli infedeli. Il fatto è che, come scrive san Giovanni nel suo vangelo, “Dio nessuno lo ha mai visto”. Nessuno vuol dire nessuno. Neanche Mosè, come abbiamo ascoltato nella lettura di oggi. Dio gli fa capire qualcosa di sé, ma non gli fa vedere il suo volto (e dire volto o dire nome è la stessa cosa), e infatti gli appare in una nube, per dire che la conoscenza di Dio è sempre nebulosa, e addirittura di spalle, e sappiamo che vedendo qualcuno di spalle possiamo confonderci. Infatti Mosè capisce un po’ tutto e un po’ niente: si, è un Dio misericordioso, fedele, che conserva il suo amore per mille generazioni, però la sua grazia la dà a chi vuole lui, è lento all’ira, ma quando si arrabbia succede il pandemonio. Però san Giovanni, dopo aver detto nel prologo del suo vangelo che nessuno ha mai visto Dio, subito aggiunge: “solo il Figlio ci ha rivelato il suo volto”. Cioè sta dicendo che è Gesù ad averci fatto vedere finalmente chi è Dio, a rivelarci il suo volto, il suo nome, a farci capire chi è Dio veramente. Dunque, se voglio conoscere il nome di Dio e vedere il suo volto, devo cancellare dalla mia testa tutte le immagini e i pensieri che mi sono inventato o che mi hanno trasmesso gli altri, e guardare Gesù. Quello che penso di Dio e che corrisponde a quello che Gesù mi ha fatto vedere, va trattenuto, tutto il resto va scartato. Ma per conoscere Gesù, quello che ha detto e quello che ha fatto, devo conoscere il vangelo, altrimenti rischio di proiettare su Gesù le mie idee su Dio, e allora si che avrebbe ragione chi dice che le religioni in fondo sono tutte uguali e servono solo per dividere gli uomini, perché Dio è uno solo, tutti lo pensano allo stesso modo pur chiamandolo in modi diversi. Infatti è proprio nel nome di Dio che si sono fatte le guerre di religione. Anche i cristiani, quando hanno dimenticato che il volto di Dio che Gesù ci ha rivelato non è certamente quello di un Dio che vuole che io uccida gli altri, perché Dio è Padre nostro, noi siamo figli e gli altri sono fratelli da amare, hanno combattuto e ucciso altri uomini. Ora, veniamo al nome Trinità che noi cristiani diamo al Dio che Gesù ci ha rivelato, che non è un nome usato da Gesù, ma Gesù ha sempre parlato di Dio come Padre, di sé come Figlio uguale al Padre (“chi vede me vede il Padre”), e dello Spirito santo. Per cui il termine Trinità significa un solo Dio in tre persone. Gesù chiama Dio col nome di Padre perché nella cultura dell’epoca, nel mondo ebraico, non esisteva la parola “genitori”, perché genitori significa un uomo ed una donna che insieme generano un bambino, mentre per la mentalità ebraica è l’uomo quello che genera, e la donna quella che partorisce. Il padre quindi è colui che comunica vita. Allora se Gesù si rivolge a Dio chiamandolo Padre non è per dire che Dio è un maschio, perché Dio non ha sesso, ma è per dire che da Dio deriva la vita, una vita indistruttibile, eterna, una forza d’amore che dà la possibilità agli uomini, se la accolgono, di vivere come figli. Questa forza d’amore si chiama col termine italiano e greco “pneuma”, che è Spirito. Spirito cos’è? Nel mondo ebraico erano molto concreti: una persona crepa quando non ha più fiato. Quando una persona non ha più l’alito vitale significa che è morta. L’alito di una persona significava la sua vita. Spirito di Dio significa l’alito di Dio, cioè la vita di Dio, e questo Spirito viene chiamato Santo, perché santo vuol dire separato, e Dio è separato, non dagli uomini, ma dal male. Per cui, chiunque accoglie questa vita di Dio si separa in maniera graduale dal mondo delle tenebre e dal mondo del male, e diventa figlio. “A quanti l’hanno accolto”, dice il Vangelo di Giovanni “ha dato il potere di diventare figli di Dio”. Figli di Dio non si nasce, ci si diventa, accogliendo lo Spirito del Padre. Gesù è colui che ha accolto questo Spirito in modo pieno e totale, irripetibile, ma è venuto proprio a comunicarci che anche noi possiamo diventare come lui se, come lui, impariamo ad amare gli altri come fratelli accogliendo il suo Spirito. Perché l’amore si realizza solo nella relazione. Trinità è il nome più appropriato che i cristiani hanno coniato per spiegare cosa vuol dire che Dio è amore. Per essere amore deve essere in se stesso relazione: c’è il Padre che ama il Figlio, il Figlio che ricambia questo amore, e questo amore è lo Spirito che separa dal male e che viene effuso nei nostri cuori. Per cui tutti siamo abitati da Dio. E quando facciamo il segno della croce e pronunciamo il nome di Dio, è a tutto questo che dobbiamo imparare a pensare. Il segno della croce non è un saluto o un segno scaramantico, ma è fare memoria di chi è Dio e di chi siamo noi, di quello che siamo e di come dobbiamo vivere la nostra esistenza.