domenica 10 febbraio 2019

V DOMENICA DOPO EPIFANIA

Ai tempi di Gesù, lo sapete, i romani occupavano Israele, gli ebrei erano servi, schiavi dei romani. Il sogno di Israele, a sua volta, era quello non solo di diventare liberi e di uccidere i romani, ma di essere loro a dominare sui romani e su tutti gli stranieri. Che poi non è altro che la mania di grandezza, il delirio di onnipotenza di ogni persona, quello di comandare su tutti, di sentirsi superiori,
di essere serviti. Ecco, la scena del vangelo di oggi descrive questa situazione: c’è un centurione romano, e i centurioni erano ufficiali dell’esercito che comandavano su cento soldati, i loro servi; questo centurione e i suoi servi opprimevano Israele e quindi erano odiati: nessuno poteva avvicinarsi a loro, andavano tenuti a distanza, era vietato entrare in casa loro per non contaminarsi; e uno dei servi del centurione è paralizzato. Non è un caso: non era cieco, lebbroso o sordo, ma aveva una malattia che simboleggia la schiavitù, perché la schiavitù rende paralizzati gli uomini, legati, impedisce di essere liberi. La parola di questo centurione ha un potere enorme: “basta che io dica a un mio servo di fare una cosa, e lui la fa”. Gesù, invece, nel discorso della montagna, aveva usato ben altre parole: "Avete inteso che fu detto: amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori. Se amate e fate del bene soltanto a quelli che vi amano, che cosa fate di straordinario?". Per Gesù l’amore di Dio è universale, non conosce confini, e va trasmesso a tutti senza fare distinzioni. E poi Gesù aveva insegnato che occorre mettersi a servizio gli uni degli altri, non asservire gli altri, perché Dio vuole i suoi figli liberi. Ebbene, dopo questi insegnamenti, Gesù, rompendo tutti i pregiudizi, passa dalle parole ai fatti. Anche la sua Parola, come quella del centurione, ma ben diversa, realizza quello che dice. Infatti entra in Cafarnao, una città dove abitavano molti stranieri, e non si fa problema ad ascoltare la richiesta di un nemico come il centurione, disposto addirittura ad andare in casa sua per guarire il suo servo. Mettiamoci nei panni del centurione: “ma come, tu ami uno come me, uno straniero, un oppressore, sei disposto a guarire il mio servo? Io non sono degno di tanto amore, l’amore lo si deve dare a chi se lo merita, io non me lo merito, eppure tu stai facendo così con me”. Il centurione, e con lui tutti quelli che assistevano alla scena, scopre che Dio non ha nemici, che tutti sono degni dell’amore di Dio, che la volontà di Dio è che gli uomini imparino a farsi servi gli uni degli altri, non a paralizzare, cioè a dominare gli altri. E gli dice: “Siccome anche tu fai quello che dici, non c’è bisogno che vieni in casa mia, ma basta che tu dica una parola per guarire il mio servo”. E Gesù prorompe in una frase che scandalizza tutti: “In Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande come quell’uomo”. E rivolgendosi al centurione dice: “Va, avvenga per te come hai creduto”. Cioè: tu hai visto quello che io ho fatto per te, non per il tuo servo, ma per te, hai creduto alla mia Parola, e allora adesso tocca a te fare la stessa cosa che io ho fatto a te, cioè andare dal tuo servo a liberarlo, a ridargli la sua dignità di uomo, perché non sia più sottomesso, paralizzato. “Il servo in quel momento fu guarito”. Non è Gesù a guarirlo: è la fede del centurione che lo guarisce dandogli la dignità che egli stesso aveva ricevuto da Gesù. Come? Rendendolo libero. Vedete, questa cosa è molto importante da capire. Molti vanno in crisi di fede o smettono di credere in Dio quando di fronte a una disgrazia, una malattia o alla morte vedono che, nonostante le loro preghiere, non accade il miracolo. E si chiedono perché Gesù non continua a compiere i miracoli descritti nel vangelo. È che noi confondiamo il miracolo con la guarigione, mentre sono cose completamente diverse. Il miracolo è: non ho una gamba, prego e mi spunta. La guarigione è: sono paralizzato, torno a camminare. I vangeli sono scritti in greco. Il termine greco che significa miracolo non si trova mai nei vangeli. Le azioni straordinarie compiute da Gesù vengono chiamate “opere, fatti, prodigi”, resi possibili dal fatto che l’uomo Gesù di Nazaret, essendo l’incarnazione di Dio, aveva in sé tutta la potenza di vita del Padre, cioè lo Spirito santo, e in questo senso nessun altro uomo può essere come Gesù. Ma quando ogni altro uomo sa aprirsi all’azione dello Spirito che Gesù ha donato a tutti, sa accogliere la sua Parola, può diventare capace di fare cose straordinarie. Per cui Dio agisce attraverso di noi col suo Spirito, come nel caso del centurione, a seconda di come noi sappiamo accogliere o meno la sua Parola e ci lasciamo guidare o meno dal suo Spirito. Questa è la fede. Ma è poi fondamentale capire che Gesù non compiva queste azioni per creare stupore e false illusioni, come credere che Dio sia il mago a cui rivolgersi quando i dottori sono impotenti (chi non capisce questa cosa va in ricerca di miracoli e basa su di essi la sua fede). Ogni prodigio di Gesù è sempre descritto dagli evangelisti con una dovizia di particolari che lo qualificano come un “segno” che rimanda ad “altro”, ed è questo “altro”, prima di tutto, che anche noi, guidati dallo Spirito di Gesù, siamo resi capaci di fare e dobbiamo compiere. E’ così che prolunghiamo oggi l’azione di Dio. Nello specifico del racconto di oggi ci viene insegnato non come fare a guarire persone paralizzate, ma che non c’è nessuno a non essere degno dell’amore di Dio e del nostro amore, per cui la fede in questa Parola di Gesù ci rende capaci di imparare a considerare come fratelli da servire tutti coloro che invece elimineremmo o terremmo sottomessi a noi. Perché, come ripeteva anche san Paolo nel brano della lettera ai Romani che abbiamo ascoltato: “non c’è distinzione fra giudeo e greco perché Dio è il Signore di tutti”. Il vero “miracolo” è quando impariamo a vivere e a fare così.