domenica 3 febbraio 2019

IV DOMENICA DOPO L’EPIFANIA

Gesù aveva compiuto quello che noi chiamiamo erroneamente il miracolo della moltiplicazione dei cinque pani e dei due pesci. Erroneamente, primo perché non fu un miracolo, secondo perché Gesù non moltiplicò, ma divise i cinque pani e i due pesci coi quali saziò tutta la folla, e non fu un atto di magia. Cinque più due fa sette, il numero della totalità, quindi vuol dire che Gesù si fece portare dai
discepoli tutto il cibo che avevano a disposizione e che loro volevano tenere per sé e insegnò che se quello che si ha lo si divide e lo si condivide, tutti possono mangiare. Questa è la volontà di Dio: che tutti imparino a vivere come fratelli, perché Dio è Padre di tutti, non solo di noi che siamo qui adesso. Fare la comunione vuol dire chiedere al Signore di farci diventare come lui pane che si spezza per gli altri. E per mostrare come sia difficile capire questa cosa, sia per noi dopo duemila anni, sia per i suoi primi discepoli, ecco che subito dopo questo avvenimento, Marco racconta quello che abbiamo ascoltato nel vangelo di oggi, che comincia con queste parole: “Gesù costrinse i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finchè non avesse congedato la folla”. L’altra riva è la riva orientale del lago di Galilea, cioè la terra pagana, e la barca è l’immagine della comunità cristiana, e quindi della Chiesa. Gesù deve costringere i suoi discepoli ad andare verso i pagani, verso gli altri, a diventare pane che si spezza per gli altri, perché essi facevano resistenza, non ne volevano sapere di portare a tutti l’amore universale di Dio, come se fosse solo un loro privilegio. E Marco annota che “Gesù rimase a pregare”, perché capisce la loro difficoltà, “da solo”: anche Gesù è in difficoltà, perché si accorge che i suoi discepoli non lo stanno seguendo, non capiscono, sono riottosi. Ma Gesù non si limita a pregare per loro. Quando vide che essi erano “affaticati nel remare perché avevano il vento contrario”, e questo vento rappresenta proprio la loro resistenza alla Parola di Gesù, “sul finire della notte andò verso di loro camminando sul mare”. Perché? Perché c’è un salmo che dice che Dio soccorre allo spuntare dell’alba, e nel libro di Giobbe che Dio è colui che cammina sulle onde del mare: il mare era il simbolo del caos, e che Dio cammini sul mare vuol dire che solo Dio può mettere ordine nella vita e vincere le forze del male e dell’egoismo che si agitano in noi. “E voleva oltrepassarli”, perché è lui a darci l’esempio perché noi lo seguiamo e facciamo come lui. Quindi Gesù si manifesta loro nella sua condizione divina, ma essi, vedendolo, furono sconvolti e dissero “è un fantasma”, perché mai più avrebbero creduto che un uomo potesse essere Dio, che Dio possa essere così vicino agli uomini. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”, la stessa risposta che Dio diede a Mosè nel famoso episodio del roveto ardente, per indicare che non dobbiamo avere paura a fidarci di quello che egli ci ha insegnato. E “quando salì sulla barca con loro il vento cessò”: appena si accoglie veramente il Signore, cessano le paure. Ma essi, dentro di sé, erano fortemente meravigliati, guarda un po’ perché: perché appunto “non avevano compreso il fatto dei pani, il loro cuore era indurito”. E così Gesù, scesi a terra, torna a dare loro l’esempio accogliendo tutti i malati che accorrevano a lui, e chi lo toccava veniva salvato. Davvero dall’amore di Dio nessuno è escluso, e chi si lascia toccare dal suo amore non viene semplicemente guarito, ma salvato, che è molto di più, perché gli uomini si salvano quando si lasciano avvolgere dall’amore del Signore, perché il suo amore ci trasforma. È quello che esprime molto bene san Paolo nel brano della lettera agli Efesini, dove dice: finchè seguiamo le voglie della carne e dei pensieri cattivi siamo morti. Purtroppo queste espressioni spesso vengono travisate pensando che Paolo stia parlando del sesso. Non sta parlando di questo, ma del nostro cuore indurito ed egoista che porta a vivere per se stessi e non a servizio dei bisogni degli altri. Finchè si vive così, si vive come morti. Ma Dio, ecco lo stupendo finale, ricco di misericordia, per il grande amore col quale ci ha amato, da morti che eravamo ci ha fatto risorgere, cioè: di fronte alle nostre resistenze non si è arreso, ma ci ha amato ancora di più, e ci ha fatto sedere nei cieli, dove “sedere nei cieli” vuol dire che, riempiendoci del suo amore, ci vuol far diventare come lui, darci la sua stessa forza, imprimere una direzione diversa alla nostra esistenza, farci camminare sul mare come lui, vincere le forze, i venti contrari che ci portano a vivere nella logica dell’egoismo. E conclude: “per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù”. Straordinario. Paolo sta dicendo: proprio vedendo quanto amore Dio ha avuto verso noi che diciamo di essere suoi discepoli eppure così ostinati nell’andare avanti a vivere lontani dalla legge dell’amore, quelli che non conoscono Dio possono capire che nessuno è escluso dall’amore di Dio.