domenica 24 febbraio 2019

PENULTIMA DOMENICA DOPO EPIFANIA

La pagina del profeta Daniele è un’accorata preghiera rivolta al Signore di fronte alla rovina di Gerusalemme. Siccome si credeva che questa rovina fosse un castigo mandato dal Signore per punire i peccati del popolo, ecco che il profeta supplica il Signore perché plachi la sua ira e il suo sdegno e agisca senza indugio, per amore di sé stesso, perdonando e consentendo al suo popolo di tornare a
Gerusalemme. “Per amore di sé stesso” vuol dire: Signore, se tu sei un Dio di misericordia, sii coerente con te stesso, e abbi appunto misericordia di noi. A queste parole fanno eco quelle del salmo che si rivolge a Dio confidando nel suo amore, nella sua clemenza, e oggi il titolo di questa penultima domenica del tempo dopo l’Epifania è proprio questo: “domenica della divina clemenza”. Bene, le suppliche di Daniele e del salmo trovano risposta nel vangelo, una risposta inaspettata. Gesù rivela non solo che Dio non punisce nessuno, ma che Dio addirittura guarda ogni sua creatura con un amore immenso. Più l’uomo è peccatore, più Dio lo ama. Infatti chiama a seguirlo un pubblico peccatore come era Levi, il pubblicano, e si mette a pranzare con tutti i peccatori che lo avevano seguito, mostrando che Dio odia il peccato, non il peccatore, e che più uno si sente amato, più c’è speranza che possa cambiare vita, ed è questo che vuole il Signore, non la morte del peccatore, ma che si converta e viva. Per questo motivo all'inizio di ogni messa diciamo: "per celebrare degnamente i santi misteri, riconosciamo i nostri peccati" e prima della comunione ancora: "o Signore non son degno di partecipare alla tua mensa, ma dì solo una parola e io sarò salvo". Se non siamo degni perché andiamo a Messa? Proprio perché non siamo degni. Siccome non siamo degni di celebrare l'Eucarestia la accogliamo come un dono non meritato: Dio, col suo amore, ci rende tutti degni. Era stato insegnato che il peccatore, per accedere a Dio, doveva fare delle penitenze e purificarsi, per non incorrere nel suo tremendo giudizio. E invece, la prima cosa che Gesù fa con i peccatori è quella di pranzare con loro. Infatti alla fine dirà: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”. Non dobbiamo essere puri, sani, perfetti, degni, per poter entrare in comunione con Dio, ma è la sua clemenza a guarirci. Ora, di fronte alla bellezza così inaspettata del volto di Dio presentato da Gesù, ci possono essere due diversi tipi di reazione: quella dell’uomo religioso e quella dell’uomo di fede. L’uomo religioso è ben rappresentato dagli scribi e dai farisei che giudicavano Gesù scandalizzati, perché non era accettabile che uno che diceva di avere lo stesso potere di Dio si mettesse a tavola coi peccatori e non con loro che invece rispettavano tutte le leggi religiose, erano gente perbene, avevano tutte le carte in regola. Anche oggi tra i credenti c’è chi ha i medesimi atteggiamenti. Sono quelli che cercano di accumulare meriti davanti a Dio facendo tutte le cose per benino, anche il fare il bene, per evitare il suo castigo ed essere premiati secondo i propri desideri, tanto è vero che quando a una persona religiosa capita qualcosa di storto, cosa dice? “Signore, tu sei ingiusto con me, a me va tutto male e a quelli che fanno il male va tutto bene, allora smetto anch’io di andare a messa, di pregare, di fare il bene. Se io sono giusto e m'accorgo che Dio va con i peccatori, perché devo essere giusto? Se Dio chiede ubbidienza alla legge e io la osservo, Dio dovrebbe stare con me, non con gli altri!”. Di questa categoria di persone religiose, le stesse che misero a morte Gesù, fanno parte tutti quei cattolici che si dicono delusi da Papa Francesco, cardinali che si sono visti eliminati certi privilegi; vescovi in carriera e preti che, in quanto tali, si pensavano al di sopra delle persone e si sentono invitati a scendere dai loro piedistalli; molti laici tradizionalisti per i quali il papa è un traditore che sta portando la Chiesa alla rovina. E questo perché? Proprio perchè ci comunica il vangelo, questo sconosciuto. E’ il vangelo ad essere sempre scandaloso per le persone religiose: per loro viene prima la dottrina, non il bene degli uomini, perché Dio è un legislatore che vuole essere obbedito. Per loro l’amore di Dio va meritato, è un premio per i bravi. Gesù, invece, non ha avuto la pretesa di portare gli uomini a Dio imponendo delle leggi che non tutti riescono a seguire, per cui la maggior parte degli uomini vengono esclusi, ma di portare Dio agli uomini, e Dio agli uomini lo si porta con la clemenza e la tenerezza. Invece, la persona di fede è chi, sentendosi avvolto da questo amore immeritato, ne gioisce e dice grazie, si lascia trasformare da questo amore e lo riversa sugli altri. Infatti, l’unico comandamento di Gesù è: amatevi gli uni gli altri con lo stesso amore col quale io ho amato voi. La persona di fede non si aspetta un premio da Dio per le sue buone azioni, perché ha capito che l’unico premio che Dio dà a chi accoglie il suo amore e lo vive, è quello di realizzare la propria esistenza: siamo figli, e quindi è solo amando i fratelli che diventiamo quello che siamo. L’uomo di fede è san Paolo, e non a caso la liturgia oggi ci ha fatto ascoltare queste sue stupende parole: “Gesù è venuto a chiamare i peccatori, dei quali io sono il primo, e ha chiamato al ministero me che ero un bestemmiatore”. L’uomo di fede è Levi, il pubblicano, guardato male da tutti perché era un ladro e che quando per la prima volta si sente raggiunto dallo sguardo d’amore di Gesù, lo segue. L’uomo di fede, dunque, sa che siamo tutti imperfetti e migliorabili, però non si lascia bloccare e paralizzare dal suo peccato, non giudica gli altri, ma li accoglie come fratelli, non vive il rapporto con Dio facendo certe cose ed evitandone altre per ottenere qualcosa, ma perché ha capito che solo vivendo nell’amore realizza la sua vita.