domenica 17 febbraio 2019

VI DOMENICA DOPO EPIFANIA CONCLUSIONE GIORNATE EUCARISTICHE

La nostra comunità pastorale sta vivendo in questi giorni le giornate eucaristiche che sono un’occasione propizia per riscoprire la centralità dell’Eucaristia nella vita cristiana, e il brano di vangelo di questa domenica è provvidenziale perché, di fatto, racconta quello che accade quando celebriamo la Messa. Ci sono dieci lebbrosi. La lebbra, ai tempi di Gesù, si riteneva che fosse un
castigo di Dio, e per paura di venire contaminati, i lebbrosi erano tenuti a distanza, esclusi dalla vita sociale, emarginati. In più, uno di loro era un samaritano, quindi uno straniero, e gli stranieri erano malvisti e odiati dagli ebrei. Sono dieci, che è il numero della completezza. Questi lebbrosi siamo noi quando pensiamo di non essere meritevoli dell’amore di Dio e degli altri o, peggio ancora, quando in noi albergano sentimenti di superiorità, di odio o di razzismo verso i nostri simili. Insomma, quando pensiamo che l’amore dato e ricevuto sia un merito, siamo in guerra con tutti, ricolmi di sentimenti di odio e rancore. Ebbene, essi dissero a Gesù: abbi pietà di noi. Ecco, la Messa inizia proprio con l’atto penitenziale che è il momento in cui riconosciamo quello che siamo, nel bene e nel male, davanti al Signore: Kyrie eleison, Signore pietà. E Gesù cosa fa di fronte a questa richiesta di perdono? Gesù non li allontana, ma li avvicina e dice loro queste parole: andate a presentarvi ai sacerdoti. I sacerdoti del popolo ebraico erano gli unici autorizzati a riammettere nella comunità chi veniva guarito dalla lebbra. Ma quei lebbrosi non erano ancora guariti. Perché Gesù li manda dei sacerdoti prima di guarirli? Perché vuole che essi vengano riammessi lo stesso nella comunità, indipendentemente dal fatto che siano lebbrosi. Gesù fa vedere che quello di Dio è uno sguardo di benevolenza, uno sguardo non di esclusione, ma di comunione, che riconosce ad ogni essere umano gli stessi diritti. Ebbene, il secondo momento della Messa, quello che stiamo vivendo adesso, è sempre quello dell’ascolto della Parola del Signore, di un Dio che assicura di amare ciascuno così com’è, non per i suoi meriti: tutti siamo degni del suo amore. Sarà la forza del suo amore a trasformarci, se lo accogliamo, se ci fidiamo. Infatti i lebbrosi si fidano e si mettono in cammino. E mentre camminano vengono guariti. Non vengono guariti prima, ma mentre camminano. Certo, perché se io mi sento accolto e amato così come sono, se non mi sento escluso, se mi sento accettato, pian piano, lungo il cammino della vita di ogni giorno, guarisco. Vedete il potere della Parola di Dio? Se viene capita e accolta, trasforma la nostra mente, il nostro modo di pensare. Ma non basta. La sua Parola deve riuscire a cambiare anche il nostro modo di vivere. Perché ciò avvenga cosa occorre? Occorre prostrarsi davanti a Gesù e dirgli grazie, come il samaritano, l’unico su dieci. Occorre fare eucaristia, perché eucaristia significa rendere grazie. Uno che dice grazie vuol dire che riconosce l’autore di questo dono, ne gioisce, è contento. Ecco perché di lui si dice che fu salvato, gli altri semplicemente guariti. Dio ama tutti, ma solo chi se ne rende conto è contento, e allora non solo la sua mente, ma la sua vita viene trasformata. Per questo nella Messa, dopo aver ascoltato la sua Parola, ci prostriamo davanti a Gesù eucaristico, rendiamo grazie e ci nutriamo di lui. Adorare è il desiderio di chi vuole fondersi con la persona amata, diventare una cosa sola con lei. Adorare il Signore significa desiderare di diventare ciò di cui ci siamo nutriti, diventare anche noi pane spezzato per gli altri, proprio perché comunione è il contrario di esclusione. Infatti, cosa dice Gesù al samaritano? “Gli altri nove dove sono?”. Si preoccupa per loro. Se quando facciamo la comunione noi non accogliamo l’invito di Gesù ad andare verso gli altri nove, cioè a fare comunione, ad andare verso tutti a portare l’amore di Dio, tutta la Messa diventa una farsa. Per questo la Messa si conclude con le parole della missione, le stesse che Gesù dice al samaritano che era andato a dirgli grazie: alzati e va’ (andiamo in pace). Ecco, vedete, queste sono le dinamiche di ogni celebrazione eucaristica. La Messa rischia di diventare una farsa, di farci uscire di chiesa uguali a come siamo entrati, di non portare frutti, se non si è coscienti della propria lebbra, se non si ascolta la Parola di Dio, non la si capisce e non si chiede al Signore che la sua Parola trasformi il nostro modo di pensare, e se poi non si fa la comunione per ricevere dal Signore la forza di vivere poi nei fatti quello che Lui ci ha detto. Lo scopo dell’adorazione silenziosa davanti all’eucaristia è proprio questo. “Adorare” vuol dire “portare alla bocca”, “baciare”, mangiare, far entrare dentro di sé l’oggetto del desiderio, perché ogni uomo vive dei suoi desideri. Adorare il Signore vuol dire desiderare di diventare come Gesù. Qual è il problema? Che siamo ben poco abituati a vivere nella vita momenti di silenzio esteriore e interiore. Infatti, anche prima, durante e dopo le nostre liturgie, si è soliti chiacchierare e distrarsi pensando a mille cose. Questo perché la nostra mente è talmente invasa da pensieri, e siamo talmente presi dalle mille cose da fare, che starsene fermi in silenzio sembra una perdita di tempo. Eppure è solo nel silenzio di Dio ci parla, e l’adorazione può accadere solo nel silenzio. Allora vi suggerisco un esercizio molto pratico che può e dovrebbe essere ripetuto da ciascuno sempre, ogni volta che si vuole, ma che va sempre fatto dopo la comunione o prima di uscire di chiesa quando si viene a Messa (oggi saremo più agevolati perché ci saranno cinque minuti di adorazione eucaristica dopo la comunione). Prima di tutto bisogna evitare proprio l’errore più grosso nel quale cadono tutti, e cioè preoccuparsi di cosa dire al Signore, mettendosi a dire preghiere, formule, rosari. Al Signore non dobbiamo dire nulla perché egli già sa tutto. Siamo noi che non sappiamo cosa Egli ha da dire a noi. E il modo per saperlo è quello di ascoltare la sua Parola. Oggi, come ogni domenica, l’abbiamo ascoltata e io ho cercato di spiegarla, almeno il vangelo. Allora la prima cosa da fare è quella di star lì a rileggere quella Parola sentendola rivolta a sé, ripensare a quanto è stato spiegato, magari ripetendo fino ad imparare a memoria quella frase da cui si è stati maggiormente colpiti. Man mano che questa Parola entra dentro di me nascono sentimenti di gratitudine che devono trasformarsi in preghiera, perché quella Parola si incarni nella mia vita quando esco di chiesa. La preghiera che a me verrebbe spontanea oggi e che dopo voglio ripetere al Signore potrebbe essere questa: Signore, tu mi ami così, non c’è nessuna lebbra che io possa avere che mi renda indegno del tuo amore, tu non mi ami perché sono degno, tu mi insegni che l’amore non si merita, è gratis, tanto è vero che io ho fatto la comunione dopo aver detto che non sono degno. Grazie. Ma quante persone ci sono che io escludo trattandole come se fossero lebbrose e dicendo che non sono degne delle mie attenzioni, del mio perdono, delle mie cure? Mi sono nutrito di te, allora trasforma la mia vita, perché non posso essere in comunione con te se escludo qualcuno. Vinci allora le mie resistenze. Amen.