domenica 19 maggio 2019

V DOMENICA DOPO PASQUA C

 Le parole finali di questo vangelo sono le stesse che abbiamo ascoltato domenica scorsa nel capitolo 15 di Giovanni. Quelle di oggi sono invece le battute finali del capitolo 13, e sono pronunciate da Gesù dopo la lavanda dei piedi e il tradimento di Giuda. In questo capitolo, se a casa andate a rileggerlo tutto, Gesù rivela un’immagine di Dio talmente rivoluzionaria che continua ad essere
sconvolgente, scandalosa e imbarazzante anche oggi dopo duemila anni. Da sempre, in ogni religione, Dio era la proiezione delle ambizioni e delle frustrazioni dell’uomo, e il rapporto fra Dio e gli uomini era quello dei servi col loro padrone: Dio andava servito, Dio godeva delle offerte degli uomini, Dio assorbiva le energie degli uomini. Gesù, invece, si mette a lavare i piedi ai discepoli, compiendo un lavoro di servo: ecco chi è Dio. Dio non è colui che vuole essere servito, ma colui che per amore si mette a servizio degli altri. Gesù, il Signore, si fa servo perché quelli che sono considerati servi diventino signori, e signori si diventa non servendo Dio, ma mettendosi liberamente a servizio degli altri. E’ talmente sconvolgente e rivoluzionaria questa cosa che noi, infatti, spesso facciamo esattamente il contrario. Il comandamento di Gesù è: amatevi l’un l’altro (non dice come io vi amerò poi sulla croce), ma come io vi ho amato, cioè lavando loro i piedi. L’unico comandamento che vige nella comunità cristiana è un amore vicendevole che però non può rimanere a livello emozionale e romantico, ma un amore che si deve tradurre completamente in servizio verso gli altri. Se si comprende questo cambia la relazione con Dio - non siamo noi che dobbiamo servire Dio, ma è Dio che si mette al nostro servizio - e cambia il rapporto con gli altri. La relazione con gli altri è quella di un amore che si fa servizio. Non c’è più un Dio che emana leggi, precetti e comandamenti a cui l’uomo deve obbedire. Gesù non dice: vi ho dato un nuovo comandamento, ma un comandamento nuovo. Il Dio di Gesù è un Dio amore, e l’amore non si può formulare attraverso delle leggi, ma soltanto attraverso delle opere che comunicano vita agli uomini. Infatti, il giorno di Pentecoste, quando gli ebrei festeggiavano il dono della legge che Dio aveva dato a Mosè, viene donato ai discepoli lo Spirito santo: vuol dire che Dio non governa gli uomini emanando leggi da osservare, ma comunicando nel loro intimo lo stesso suo Spirito, la sua stessa capacità di amare. È un cambio radicale, non ci sono leggi da osservare, ma c’è un amore da accogliere. Alla fine di questo capitolo c’è Pietro che spergiura: “anche se tutti ti abbandoneranno, io no, io darò la mia vita per te”, e Gesù gli risponde: “Tu darai la mia vita per me? Questa notte stessa tu mi tradirai”. Lo sbaglio di Pietro è che non ha capito: c’è stata la lavanda dei piedi dove Gesù, che è Dio, non chiede la vita degli uomini, ma è lui, che è Dio, ad offrirsi per potenziare la vita degli uomini. Non siamo noi a dover dare a Dio la nostra vita, è Lui che la dà a noi. Ce ne vorrà di tempo prima che gli apostoli lo capiscano. E così si comprendono le prime parole di Gesù con le quali comincia il vangelo di oggi, che sono pronunciate immediatamente dopo che Giuda, mangiato il boccone, uscì di notte per andare a tradire Gesù. Gesù gli ha proposto l’amore, Giuda lo ha rifiutato. Ma Gesù non dice: ho fallito! Dice invece: “Ora è stato glorificato il Figlio dell’uomo e anche Dio è stato glorificato in lui”. La gloria di Dio è quando si diventa capaci, come Gesù, di amare anche chi ti rifiuta. Quando si diventa capaci di amare anche chi non se lo merita, di far del bene senza attendere nulla in cambio, succede qualcosa di strepitoso: l’amore dell’uomo entra in contatto con l’onda d’amore di Dio e nasce il Figlio dell’uomo, che non è un privilegio di Gesù, ma una possibilità per tutti, perché Figlio dell’uomo è l’uomo che diventa come Dio accogliendo il suo Spirito. Quando noi siamo capaci di volere bene a chi ci ha fatto del male, lì si manifesta Dio. Poi Gesù prosegue: “dove vado io, voi non potete venire”, per dire: voi ancora non siete capaci di fare quello che ho fatto io. E infatti loro, come forse anche noi ancora oggi dopo duemila anni, non ne siamo capaci, perché andiamo avanti a pensare Dio nel modo opposto a quello che Gesù ci ha rivelato sulla croce. Il comandamento nuovo di Gesù è sconcertante, perché soppianta tutti gli altri. Non dice di amare Dio e di obbedirgli, ma “che vi amiate gli uni e gli altri come io vi ho amato”. Tutti quanti veniamo da una grande confusione ed ignoranza catechistica e tante persone, alla domanda: qual è l’insegnamento dell’amore per il cristiano, rispondono: ama il prossimo tuo come te stesso. Ma questo è per gli ebrei, non è per i cristiani: ama il prossimo tuo come te stesso è un amore limitato, perché se io vi amo come amo me, siccome io sono limitato, anche l’amore è limitato. “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato” è l’insegnamento di Gesù. Dio lo si glorifica, lo si santifica non con le nostre preghiere e i nostri riti, ma accogliendo il suo amore e dandolo agli altri, perché Dio non chiede nulla per sé, ma dona il suo amore perché noi lo diamo agli altri. L’amore che si traduce in servizio diventa visibile ed è l’unico distintivo dei credenti in Gesù: da questo sapranno che siete miei discepoli, non da stemmi, paramenti o distintivi: l’unico distintivo della comunità cristiana non è amare Dio, ma amare come Dio ama, l’amore che si fa servizio. Vi invito adesso, in un momento di silenzio, a prendere il foglietto e di andare a rileggere o l’inno alla carità di san Paolo o la pagina degli Atti degli Apostoli, che sono la concretizzazione di tutto questo discorso, e che poi spiegherò nel consueto incontro del lunedì sera.