domenica 5 maggio 2019

III DOMENICA DI PASQUA ANNO C

 I vangeli che si leggono nel tempo di Pasqua non parlano della risurrezione di Gesù, ma sono scelti per farci capire che la risurrezione non riguarda solo Gesù e non è nemmeno una cosa che riguarda solo il nostro destino dopo la morte del nostro corpo, ma è qualcosa che ci riguarda adesso. Risorgere vuol dire passare da una vita mortale a una vita immortale, è avere dentro di noi la vita di Dio, il suo
Spirito, e noi risorgiamo quando permettiamo allo Spirito di Dio di entrare in contatto col nostro spirito, cioè con la nostra mente, col nostro cuore, con la nostra vita, con la nostra persona, insomma, con la nostra libertà. Noi risorgiamo quando, seguendo lo Spirito di Cristo, viviamo come Cristo operando il bene. Diventiamo appunto persone nuove, lasciamo che Dio abiti la nostra persona, e questa è la condizione perché la vita della nostra persona prosegua per sempre anche dopo la morte del nostro corpo. Ebbene, il vangelo di oggi ci dice queste cose usando un altro linguaggio: se seguiamo Gesù diventiamo persone “luminose” perché egli è la “luce del mondo”. Cerchiamo di capire meglio questa cosa. La scena si svolge nel tempio di Gerusalemme, durante la festa delle Capanne, una festa ebraica durante la quale si accendevano di notte le fiaccole che illuminavano a giorno la città santa a ricordo del viaggio nel deserto durante l’esodo quando il popolo viveva nomade sotto le tende. E la luce è la metafora più bella di Dio: “Dio è luce e in lui non ci sono tenebre”, dice sempre san Giovanni. E i salmi dicono che la parola del Signore è la “luce che guida i nostri passi”. Gesù, rifacendosi alle luci che venivano accese in quella festa, proclama di essere Lui il Signore (Io sono), e di essere dunque la luce del mondo, luce perché con la sua parola rivela il senso della nostra vita, ci fa vedere le cose come stanno realmente. Noi viviamo male la vita, siamo come morti, perché siamo nelle tenebre, perché i nostri pensieri ci fanno credere vere cose false e ci fanno credere false cose vere, e così siamo bravissimi a far diventare bene il male e male il bene. Ci fidiamo delle nostre paure immaginarie credendole reali, ci angosciamo per cose di cui non dovremmo, e qui potremmo parlarne per ore. Tre su tutte, da cui derivano tutti i nostri mali: che la morte del corpo sia la fine di tutto; che l’amore si debba meritare, quello di Dio e quello degli altri; che la gioia dipende da quello che si ha. Gesù ci rivela che è esattamente il contrario: l’amore è più forte della morte, non siamo noi ad amare Dio, ma è Dio che ama noi, la gioia deriva non da quello che si ha, ma quello che si dà. Purtroppo, denuncia Gesù, noi ci fidiamo dei nostri falsi convincimenti, invece che della sua testimonianza, e “testimonianza” è un'altra parola che ricorre più volte in questo Vangelo. Per i farisei la testimonianza di Gesù non era vera e Gesù dice: “no, io vi testimonio che Dio è Padre che vi ama, e quello che vi dico è vero perché io di fatto vivo come suo figlio amando tutti voi come miei fratelli. Se vivessi facendo il contrario, ammazzandovi tutti, la mia testimonianza non sarebbe vera. Tanto è vero che io non sono venuto a giudicare nessuno, perché sono venuto a salvarvi”. E la parola “giudizio” è la terza parola importante, dopo “luce” e “testimonianza”, che compare in questo Vangelo. Però subito dopo Gesù aggiunge: “il mio giudizio è vero”. Come la mettiamo? Prima dice che non viene a giudicare nessuno e poi che il suo giudizio è vero. Cosa vuol dire? Vuol dire che Dio non giudica nessuno perché non vuol condannare nessuno, ma salvare tutti i suoi figli, e questo lo fa proprio perché Dio ci giudica, ma ci giudica tutti come suoi figli. E Gesù, amandoci come fratelli, testimonia che questo giudizio di Dio è vero. Quindi Gesù è la luce ci dà la vita, che ci fa risorgere, perché ci fa vedere le cose come stanno, altrimenti siamo morti. La fede è credere a questa testimonianza di Gesù. E per verificare se è vera la testimonianza di Gesù c'è solo un modo: buttarsi e provare per verificare. Se Gesù ha ragione lo capisco se, fidandomi di lui, poi mi sento risorto, felice, leggero, nella pace anche in mezzo alle tempeste della vita. Finchè non ci provo, non posso saperlo. E finchè non mi sento io risorto, non posso nemmeno a mia volta diventare testimone della fede per gli altri, appunto perché il cristianesimo non è una dottrina fatta di leggi e norme da adempiere nei riguardi di Dio per tenermelo buono e ottenere grazie e favori, ma è accogliere il suo Spirito che mi fa risorgere, che mi fa diventare luminoso. Per esempio, non potrò mai convincere nessuno a venire a messa, se quando esco da messa, invece di essere luminoso, sono uguale o peggio di prima. A questo proposito sarebbe interessante rileggere e commentare le altre due letture che vedono come protagonista san Paolo, ma inizierebbe un’altra predica, per cui rimando la riflessione all’incontro di lunedì. Dico soltanto che queste letture parlano proprio di Paolo che finalmente giunge a Roma, nel cuore dell’impero, per dare la sua testimonianza, e la sua testimonianza era vera, credibile, perché egli per primo era risorto. Però attenzione: non è automatico che poi gli altri siano disposti a lasciarsi illuminare da questa testimonianza. Se così fosse, a Gesù per primo avrebbero creduto tutti, invece non fu così, e nemmeno per Paolo, e vale anche per noi. Perché ognuno è creato libero. Dio per primo non costringe nessuno a convincersi della sua testimonianza e a convertirsi! E’ già tanto se riesco a convertirmi io e se qualcuno, anche vedendo me, si converte lui. Per cui devo preoccuparmi di risorgere io, non della conversione degli altri. Di questi se ne occuperà il Signore, perché comunque sono suoi figli amati, anche se non vogliono capirlo o non ci vogliono credere.