domenica 28 aprile 2019

II DOMENICA DOPO PASQUA

 Con questa domenica si chiude l’ottava di Pasqua. Nella liturgia, l’ottava di Pasqua, come quella di Natale, significa che la festa si prolunga per otto giorni come se fosse un unico giorno. Il numero otto, nella simbologia ebraica e cristiana, è la cifra che indica l’eternità. Infatti la domenica, che nella numerazione ebraica e cristiana è il primo giorno della settimana, nella simbologia cristiana è
chiamato l’ottavo giorno, quello che è fuori dal tempo, il giorno in cui Cristo risorge e non muore più. Risorgere vuol dire passare da una vita mortale a una vita immortale, è avere la vita di Dio dentro di noi, e non è qualcosa che riguarderà il nostro futuro dopo la morte del nostro corpo, ma è una realtà presente, che è iniziata il giorno del nostro Battesimo. Per questo motivo l’ottava di Pasqua si chiama “settimana in albis”. “Albus”, in latino, significa “bianco”, e si riferisce alla veste bianca del Battesimo che è il segno del fatto che, uniti a Cristo, siamo già risorti, il nostro destino è il suo destino, come spiega san Paolo ai Colossesi nel brano che abbiamo ascoltato prima: “siete stati sepolti con Cristo nel battesimo e con lui siete anche risorti”. Nella chiesa delle origini, i catecumeni battezzati nella notte di Pasqua tenevano la veste bianca fino alla domenica successiva, che è oggi, domenica che infatti si chiama “in albis depositis”, quando cioè la veste veniva deposta, tolta, perché riprendeva la vita ordinaria, come per noi. Ma questa vita ordinaria che anche noi da lunedì riprendiamo e che per qualcuno è già ripresa da martedì scorso, dobbiamo far si che continui ad essere una vita risorta, e l’eucaristia settimanale che la Chiesa celebra ogni domenica è il momento nel quale fare esperienza del Signore risorto che viene in mezzo a noi, che si rende presente, come testimonia il vangelo di oggi. Infatti, la prima scena descritta dall’evangelista si riferisce all’incontro col Signore dei discepoli riuniti nel cenacolo “la sera del primo giorno dopo il sabato”, cioè il giorno della Pasqua di duemila anni fa, ma venne anche “otto giorni dopo”. Vuol dire che il Signore viene ogni volta che noi suoi discepoli ci incontriamo per celebrare l’eucaristia. Ora, senza entrare nei particolari di questo vangelo (lo farò lunedì sera perché riprendono gli incontri di spiegazione della Parola di Dio della domenica), guardiamo quali sono i segni coi quali il Signore si fa presente perché anche noi, come Tommaso, possiamo credere in lui anche se non lo abbiamo visto. Questi segni sono anzitutto la pace: per tre volte Gesù ripete “Pace a voi”. Il termine “pace” nel mondo biblico è molto più ricco del nostro, non significa solo assenza di conflitto, significa tutto quello che concorre alla felicità dell’individuo: Gesù desidera la nostra felicità e ce la dona, e questo è il primo segno col quale possiamo sperimentare la presenza viva di Gesù e possiamo testimoniarla agli altri. Ma come Gesù dona questa felicità? Mostrando le sue ferite, perché sono il segno che il suo amore mostrato sulla croce continua per sempre, non è svanito. Per questo Tommaso vuole vederle, e ha ragione, perché la felicità è quando vediamo quanto siamo amati. Ma non basta: “come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Il Padre ha mandato Gesù per dimostrare al mondo un amore dal quale nessuno può sentirsi escluso, e allora Gesù chiede di accogliere questo amore e di trasmetterlo agli altri: la felicità dunque la possiamo sperimentare quando amiamo gli altri con lo stesso amore di Dio, perché è lui stesso a darcene la forza, e noi siamo qui a celebrare l’eucaristia appunto per accoglierla. E questa forza è il suo Spirito: “detto questo soffiò e disse loro: ricevete lo Spirito santo”. Quanti accolgono questo Spirito, che è l’amore di Dio, ricevono dentro di sé la stessa energia d’amore di Dio. Lo Spirito santo è l’unico dono che Dio fa a tutti, e Gesù comanda ai discepoli di usarlo, in che modo? Perdonando. L’unico potere che Dio ha è quello di perdonare, e questo potere lo affida a noi: “a chi perdonate i peccati verranno rimessi, a chi non li perdonate non verranno rimessi”. Certo, perché Dio perdona sempre, ma il suo amore sulla terra si realizza se noi lo accogliamo e perdoniamo gli altri, non se ci vendichiamo. Dunque, la prova che il Signore è risorto siamo noi quando, accogliendo il suo Spirito d’amore, lo usiamo per donare agli altri la misericordia di Dio con opere concrete capaci di trasmettere vita. Dov’è carità e amore lì c’è Dio. Per questo anche noi, come Tommaso, dobbiamo vedere le ferite di Gesù per poter credere: è vedendo il suo amore per me che io divento capace di vivere il medesimo amore. E chi crederà in questo amore anche senza aver visto direttamente Gesù, sarà beato lo stesso perché se farà le stesse cose che ha fatto Gesù, sentirà dentro di lui la pace e la gioia che vengono da Dio, capace anche di accettare di essere perseguitato, come capitò in seguito agli apostoli. I brani del libro degli Atti che la liturgia ci propone in questo tempo pasquale raccontano proprio il modo col quale gli apostoli proseguono l’opera di Gesù: fanno il bene guarendo un uomo infermo, e per questo vengono accusati e messi in prigione, come leggevamo nella lettura di oggi, e in seguito, lo sappiamo, verranno uccisi, come Gesù, come i tanti martiri della storia del passato e del presente (pensiamo solo ai cristiani perseguitati e uccisi nello Sri Lanka). Gesù lo aveva detto: beati voi quando vi perseguiteranno nel mio nome. E a noi viene da dire: beati cosa? ci sembra assurdo: faccio il bene e mi uccidono, allora non vale la pena! Questo spiega perché oggi tanti cristiani nella nostra società preferiscono nascondersi: per non fare la figura dei fessi! E invece no: annunciando l’amore ci si scontra con l’odio e l’egoismo, e la persecuzione testimonia che io rispondo al male senza restituirlo, e dunque sto diventando come Gesù, e diventare come Gesù vuol dire realizzare la propria vita di uomini, vuol dire diventare come Dio, vuol dire risorgere, per cui fare così non è da fessi, ma è il vivere divino che ci rende pienamente umani!