domenica 7 aprile 2019

V DOMENICA DI QUARESIMA

Normalmente si dice che la Quaresima è il tempo di preparazione alla Pasqua. Ma cosa significa “prepararsi alla Pasqua”? Se ci pensiamo bene, detto così significa niente. La Pasqua cristiana è la risurrezione di Gesù, che però non è un evento del passato: se Gesù è risorto vuol dire che Egli è vivo, che è sempre vivo, è il Vivente: non è che ogni anno Gesù nasce a Natale, muore il venerdì
santo e risorge a Pasqua. Ogni volta che celebriamo l’eucaristia, Gesù, il Vivente, si rende presente con la sua Parola che abbiamo ascoltato e, tra poco, nel pane e nel vino di cui ci nutriremo, per farci diventare come Lui, per pensare, vivere, amare, morire e risorgere come lui. E’ un cammino che dura tutta la vita e che è iniziato col Battesimo. Il Battesimo è come il seme che contiene in sé già tutta la pianta che attende di svilupparsi, crescere e dare frutto nel corso degli anni. Fin dai primi secoli del cristianesimo, la Quaresima era il tempo in cui coloro che si erano convertiti e volevano diventare cristiani, iniziavano il cammino del catecumenato che li conduceva, passo dopo passo, a ricevere il Battesimo a Pasqua. Ecco allora a cosa serve la Quaresima e cosa vuol dire “prepararsi alla Pasqua” per noi che non siamo più catecumeni, ma siamo già cristiani: vuol dire riscoprire il dono del Battesimo e le sue conseguenze nella nostra vita. I vangeli bellissimi, lunghissimi e molto difficili che la liturgia ci propone ogni anno fin dai tempi di sant’Ambrogio, furono scelti perché si prestano bene a una chiave di lettura battesimale, quindi non per essere spiegati nei dettagli, come meriterebbero, cosa che sarebbe impossibile da fare in un’omelia. Le tentazioni di Gesù nel deserto richiamano la lotta del battezzato contro il Male, la rinuncia a Satana, alle sue opere e seduzioni. L’acqua che viene donata alla samaritana da Gesù è il segno che l’amore di Dio in cui siamo immersi placa la nostra sete di gioia. Nel vangelo della terza domenica Gesù proclama che la salvezza non è per un solo popolo, ma per chi riconosce Dio come Padre e gli altri come fratelli da amare: così vive il battezzato. La guarigione del cieco nato che abbiamo letto domenica scorsa è il segno che la fede non è “cieca”, ma è ciò che ci consente di vedere chi è Dio e chi siamo noi: noi siamo ciechi fin dalla nascita, non sappiamo chi è Dio e chi siamo noi, ma Gesù ce lo rivela, ci apre gli occhi, e il Battesimo è segno di questa verità. Proviamo allora a cogliere il segno battesimale contenuto nel vangelo di oggi, e ci facciamo aiutare dalle altre letture che abbiamo ascoltato. Il brano del libro del Deuteronomio descrive la fede del popolo d’Israele nel Signore che “con mano potente e braccio teso” lo ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, da una condizione di umiliazione, di schiavitù e di oppressione, per condurlo in una terra di libertà, attraverso un viaggio molto lungo, nel quale fecero esperienza di essere un popolo errante in cammino però verso una mèta, e questa è immagine simbolica di una grande verità, e cioè della precarietà della nostra esistenza. Tutti siamo erranti, precari e di passaggio sulla scena di questo mondo, e che uno sia sano o malato, come Lazzaro, il nostro corpo è destinato a finire nel sepolcro, che venga cremato o meno, e non è una bella prospettiva, se questa fosse davvero la meta della nostra vita. Invece no: la bella notizia del vangelo è che questo Signore che chiamò Israele a uscire dalla terra d’Egitto è lo stesso Signore che chiama ogni uomo alla libertà, a non essere più schiavo della paura della morte, perché anche lui, facendosi uomo, è entrato nel sepolcro, e quindi vuol dire che anche noi, quando, come Lazzaro, entriamo nel sepolcro, incontriamo Gesù che chiama ad uscire, a vivere per sempre. Questa è la risurrezione, qualcosa che non riguarda solo Gesù, ma ciascuno di noi, ma soprattutto, e questa penso sia la cosa più bella da capire, è qualcosa che non riguarda il nostro futuro, ma il presente. Anche Marta credeva che i morti sarebbero risorti nell’ultimo giorno, ma questa cosa non era molto consolante per lei, perché sapere che in un giorno indefinito suo fratello sarebbe risorto non riusciva a consolarla della sua assenza. Ed ecco la rivelazione di Gesù, che cambia completamente il concetto di vita, il concetto di morte, il concetto di risurrezione. Gesù le disse: “Io sono la risurrezione e la vita”, non dice io sarò, o che la vita e la risurrezione sono qualcosa che saranno, ma che in lui ci sono già adesso. E aggiunge: “chi crede in me (e Gesù si riferisce a Lazzaro che aveva creduto in lui), anche se muore vivrà”. Cioè, Gesù ci sta dicendo che quando piangiamo un morto, se questa persona, nella sua vita terrena, ha aderito a Gesù vivendo un amore simile al suo, abbiamo la certezza che questa persona è viva, e quindi non dobbiamo piangerla come morta. Poi, però aggiunge, riferendosi questa volta a noi che siamo vivi: “chiunque vive”, cioè voi che siete vivi, “e crede in me”, e mi avete dato adesione, “non morirà in eterno”, non morirà mai. Vuol dire che la risurrezione è una realtà che riguarda tutti adesso. Se aderiamo a Gesù e viviamo una vita nell’amore, siamo vivi adesso e continueremo a vivere dopo la morte del nostro corpo, altrimenti siamo già morti adesso anche se il nostro corpo è vivo. Ebbene, il Battesimo è il segno del fatto che, immersi nell’amore e nella vita divina, noi siamo già risorti adesso, e quindi siamo chiamati a vivere da risorti, cioè come Gesù: è così che il seme si sviluppa, e allora la vita terrena diventa il tempo del fidanzamento in vista delle nozze che accadono al momento della morte. Una rivoluzione nel modo di vedere le cose e che la memoria del nostro Battesimo ci mette davanti agli occhi per non essere più ciechi. Altrimenti? Altrimenti, dice san Paolo nella seconda lettura, ci perdiamo in vani ragionamenti e viviamo da stolti con la mente ottusa e ottenebrata.