domenica 11 agosto 2019

IX DOMENICA DOPO PENTECOSTE ANNO C

La spiegazione durante un’omelia di una pagina di vangelo così breve e molto difficile corre il rischio di diventare molto lunga e ancora più difficile da capire. Allora ci provo cercando di spiegare i tre titoli più importanti con i quali noi chiamiamo Gesù, e che sono contenuti in questa pagina di vangelo. Noi Gesù lo chiamiamo “Cristo”, “Figlio di Davide” e “Figlio di Dio”. Partiamo dal primo
titolo: “Cristo”. Gesù chiede ai farisei: “Che cosa pensate del Cristo?”, e lo chiede anche a noi: noi cosa pensiamo del Cristo? Perché vedete, noi, purtroppo, spesso usiamo le parole senza pensare al loro significato. Cosa significa “Cristo”? Alcuni usano il termine “Cristo” come se fosse il cognome di Gesù, e altri spesso dicono “Cristo” come una esclamazione quasi blasfema. “Cristo” è la traduzione in greco del termine ebraico “Messia”. Messia o Cristo significa “unto del Signore”. L’unto del Signore, che fino a qualche anno fa era un titolo che veniva dato a un noto politico italiano, è l’inviato di Dio, al quale Dio presta la sua forza, per risolvere le sorti dell’umanità. Unto perché, a quell’epoca, chi riceveva incarichi importanti veniva unto con l’olio. Abbiamo ascoltato, nella lettura, il momento in cui il profeta Samuele unge con l’olio il giovane Davide per farlo re. E questa lettura non è stata scelta a caso, perché nella tradizione ebraica il Messia veniva chiamato il Figlio di Davide: i profeti dicevano che il Cristo mandato da Dio sarebbe stato “figlio di Davide”. Ma “figlio” vuol dire due cose: vuol dire un suo discendente, ma soprattutto uno che assomiglia a suo padre. Tenete conto che Davide fu il più grande re di Israele, ma fu anche un uomo di una incredibile spietatezza. Nella Bibbia è conosciuto come colui che non lascia in vita né uomo né donna, né vecchio né bambino; era un uomo sanguinario, tanto è vero che Dio stesso gli impedì di costruire il tempio perché le sue mani erano troppo sporche di sangue. Allora ecco che Gesù è si il Cristo discendente di Davide, perché Maria, la madre di Gesù, aveva sposato Giuseppe che era un discendente di Davide. Però Gesù, figlio di Davide, era un Cristo che assomigliava ben poco al sanguinario re Davide, era tutto il contrario, anche se molti lo chiamavano così. Piuttosto assomigliava al Davide ragazzino di cui parlava la prima lettura, il pastorello che, prima di diventare re, non era stimato da nessuno, ma che fu scelto e unto dal profeta Samuele e che, prima di diventare re, fu perseguitato da Saul senza mai rispondere al male col male. Quindi un povero Cristo, non uno che viene a spaccare i denti ai suoi nemici per comandare lui, che non viene a spargere il sangue degli altri, ma il suo sangue, per dare a tutti la stessa vita di Dio, per riempire tutti dell’amore di Dio. E perché Gesù può fare questo? Perché egli è soprattutto “figlio di Dio”, dove anche qui la parola “figlio” non significa solo che viene da Dio, ma che gli assomiglia, e nel caso dell’uomo Gesù di Nazaret, che gli assomiglia così tanto da essere egli stesso la manifestazione terrena, umana, di Dio, “della stessa sostanza di Dio”, come ripetiamo nel Credo, l’uomo in cui Dio si manifesta in pienezza, tanto è vero che Gesù dirà: “chi vede me, vede il Padre”. Bene, dette tutte queste cose, veniamo a noi. Noi ci proclamiamo cristiani, termine che deriva da Cristo, perché anche noi siamo stati unti dal Signore con l’olio del Battesimo e della Cresima, che si chiama “crisma”. Il crisma del Battesimo è il segno del fatto che siamo consacrati a Dio, che apparteniamo a Dio, che Dio ci considera suoi figli, al pari di Gesù, al di là dei nostri meriti o del fatto che ne facciamo di cotte e di crude. Che il Padre ci dona lo stesso destino di Gesù. Tanto è vero che abbiamo letto le parole di Paolo che dicono che Dio ci ha scelti perché raggiungiamo la salvezza che è in Cristo Gesù, per cui se moriamo con lui, con lui vivremo, se perseveriamo con lui, con lui regneremo, e se siamo infedeli lui però resta fedele. Per questo, il crisma della Cresima, diventa il segno di quello che anche noi dobbiamo diventare: uomini e donne chiamati a vivere assomigliando a Gesù, ciascuno secondo la sua vocazione. Che in concreto significa imparare a vivere nella logica dell’amore, del servizio, dell’accoglienza, del perdono, della giustizia, della pace. Per questo siamo qui anche oggi a celebrare l’Eucaristia.