domenica 18 agosto 2019

X DOMENICA DOPO PENTECOSTE

 E’ scabroso e imbarazzante il tema di cui parlano le letture di oggi: è il tema della ricchezza, o meglio, di quando le ricchezze, i beni, i soldi diventano un dio, il dio denaro, mammona, come si dice nella Bibbia. “Mammona” è un termine che in italiano sembra voler dire “grande mamma”, e rende bene l’idea, e cioè qualcosa che dà grande sicurezza. Nella lingua ebraica, il temine “mammona” ha
lo stesso significato di una parola conosciutissima che diciamo tante volte nelle preghiere: "amen", che in italiano si traduce con "così sia", per indicare qualcosa che è sicuro, che è certo, su cui si può contare. E qual è quella cosa sulla quale si può contare, che dà fiducia e certezza? L'accumulo dei beni, quando i beni, le ricchezze, il far soldi e avere soldi diventa un dio a cui ci si prostra. Quindi il termine "Mammona'' che troviamo nei vangeli è il dio denaro. Perchè dico che questo è un tema scabroso e imbarazzante? E’ scabroso perché quando qualcuno, chiunque, anche un familiare, anche Dio, mette il naso nel nostro portafoglio o ce lo tocca, diventiamo delle belve. E’ poi imbarazzante parlarne, anche per me, perché pure io ho un conto corrente in banca, e quindi bisogna stare molto attenti a quel che si dice per evitare di essere ipocriti, perché è facile parlare dei soldi degli altri o fare la morale ai politici, poi però guai se qualcuno fa i conti in tasca a me. Anche se questo qualcuno è Dio. Però le parole di Gesù nel vangelo di oggi non potrebbero essere più chiare. Peccato che per capirle bene avremmo dovuto leggere quello che era accaduto prima. Un uomo molto religioso, che rispettava tutti i comandamenti, che però era anche molto ricco, va da Gesù angosciato a chiedergli cosa doveva fare per avere la vita eterna. La vita eterna non è andare in paradiso, ma è la vita di Dio dentro di me, la felicità, perché alla fine quello che cerchiamo nella vita è essere felici, e quell’uomo non lo era. Gesù allora gli fa capire che egli era angosciato proprio perché era molto ricco, perché metteva la sua sicurezza nel conto in banca che possedeva, e gli dice: c’è solo un modo per uscire da questa situazione, quello che hai dallo ai poveri, così avrai un tesoro in cielo, che non vuol dire nell’aldilà, ma in Dio, nel senso che permetterai a Dio di prendersi cura di te, mentre le tue ricchezze ti rendono schiavo, non sei libero, ti possiedono. Ma quell’uomo non ebbe il coraggio di aderire a questa proposta: gli dava più sicurezza il conto in banca dell’amore di Dio. Onestamente possiamo biasimarlo senza correre il rischio di essere ipocriti? Che bello se gli uomini politici, nel momento in cui ricevono il potere, facessero come Salomone che quando diventa re, lo abbiamo ascoltato nella lettura, chiede al Signore non di trarre vantaggi economici dalla sua carica, ma il dono della saggezza nel governare. Ma chi di noi, poi, farebbe come Francesco d’Assisi che prese alla lettera queste parole di Gesù spogliandosi di tutti i suoi beni? Proviamo allora a cercare di capire meglio, se ci riusciamo, la proposta di Gesù, e soprattutto il suo intendimento. Proprio perché a Gesù interessava che quell’uomo non fosse triste, pronunciò la celebre frase che abbiamo ascoltato nel vangelo di oggi: “E’ difficile che un ricco entri nel Regno di Dio”. Poi si scopre che non è vero che difficile, ma è proprio impossibile, perché aggiunge: “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago”, cosa appunto impossibile. Perché è impossibile? Perché il Regno di Dio non è l’aldilà, ma l’aldiqua, è il costruire una società alternativa, nella quale gli uomini, considerandosi tutti figli amati di un unico Padre, Dio, decidono di trattare gli altri come propri fratelli, e se uno tiene tutto per sé si creano quelle vergognose disparità che sono sotto gli occhi di tutti, ma non solo oggi, da sempre. Per cui, Gesù non dice di diventare tutti poveri, ma di condividere quello che si ha con chi ha bisogno, perché tutti possano stare bene. Non propone di dare a chi è nudo il proprio vestito, altrimenti nudo lo divento io. Propone a chi ha l’armadio pieno di vestiti di darne a chi non ne ha. Quindi non sta dicendo che un ricco non può andare in Paradiso o che i soldi non servono e che dobbiamo andare tutti in giro a chiedere l’elemosina, ma di non far diventare un idolo, mammona, la ricchezza. Che i beni sono un bene se si usano bene. Che c’è più gioia nel dare che nel ricevere. Che nella vita si possiede soltanto quello che si dona, altrimenti si viene posseduti, resi schiavi da ciò che si trattiene. E’ anche una legge fisica: se io l’aria che respiro non la butto fuori, ma la accumulo, poi scoppio e muoio. Al posto dell’avere, dice Gesù, metti il condividere. Se fai così viene il Regno di Dio e tu per primo sarai felice, qui, ora, altrimenti è impossibile. Questo è l’indendimento di Gesù: la felicità per tutti. Quando dice: beati i poveri in spirito non sta dicendo che dobbiamo diventare tutti poveri, ma che siamo beati, felici se, seguendo lo Spirito del Figlio che ci rende fratelli, cerchiamo di eliminare la povertà degli altri abbassando noi il nostro livello di vita per permettere ad altri di innalzarlo; non sta dicendo di andare ad aggiungersi ai poveri di questo mondo, ma di diventare persone che hanno tanta fiducia in Dio da sentirsi responsabili della felicità e del benessere anche economico degli altri. Il problema è ridurre la fede in Dio in qualcosa a cui appoggiarci per ottenere i beni che desideriamo, salute, soldi, successo, lavoro, protezione, usando Dio come un distributore di bibite, per cui i nostri riti, devozioni, preghiere sono come le monetine che mettiamo nel distributore per ottenere la bibita prescelta. La riprova è che quando dal distributore non esce la bibita richiesta, ci arrabbiamo. Continuiamo a dire “ascoltaci, Signore”, e se non otteniamo sembra che il Signore non ci ascolti. Invece la fede, insegna Gesù, è il contrario. E’ fidarsi di quello che egli ha detto, e farlo: siamo noi che dobbiamo ascoltare lui, scommettendo sul fatto che questo è l’unico modo per realizzare la nostra vita adesso. Ma siccome la proposta di Gesù per essere felici è sempre stata e continua ad essere controcorrente, in fondo pensiamo che sia sconveniente, da stupidi, troppo rischiosa, per cui ci giustifichiamo dicendo: è troppo difficile, impossibile, come se Gesù fosse un sadico che ama chiederci di fare cose che sa già in partenza che non potremmo mai fare. Del resto è più facile chiedere a Dio di fare quello che dovremmo fare noi, e noi continuare tranquillamente a pensare e a vivere a modo nostro. In conclusione, penso che la Parola che oggi il Signore ci dona debba servire anzitutto, a me per primo, per scuoterci e farci interrogare sulla qualità e sulla consistenza della nostra fede. Cioè: o le parole del Credo che tra poco pronunceremo, se il Dio in cui diciamo di credere ribalta il nostro modo di pensare e di vivere in modo consistente, allora ha un senso, altrimenti credere o meno serve a nulla.