domenica 25 agosto 2019

DOMENICA CHE PRECEDE IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI BATTISTA

INTRODUZIONE ALLA LETTURA

Vorrei introdurre questa lettura facendo notare la sua attualità. I greci avevano invaso Israele e volevano imporre la loro cultura e religione, costringendo gli ebrei a fare cose contrarie alle loro tradizioni, e in questo brano si racconta del vecchio Eleazaro, novant’anni, che preferisce essere
ammazzato piuttosto che fare qualcosa che fosse contro la legge di Dio per poter lasciare ai giovani “un nobile esempio”. Bellissima questa cosa. La legge di Dio proibiva di mangiare carne di maiale, e i greci volevano fargliela mangiare, ed egli dice di no, piuttosto la morte, e così avviene. Oggi sono molti gli italiani che si sentono minacciati nelle loro tradizioni da altri popoli. Ma per noi cristiani, qual è l’unica tradizione che ci ha lasciato Gesù? Di non mangiare la carne di maiale? Può essere questa la volontà di Dio? L’unica tradizione che Gesù ci ha lasciato, per la quale essere pronti a morire, dando così un “nobile esempio” a tutti, non ce la può togliere nessuno, e la scopriremo nel brano di vangelo di oggi: metterci al servizio del bene di tutti, soprattutto di chi ha più bisogno.

OMELIA
 Abbiamo letto l’inizio del capitolo 18 del vangelo di Matteo dove iniziano i discorsi di Gesù su come si devono comportare tra di loro quelli che dicono di essere suoi discepoli, quindi come vivere i rapporti nella comunità, nella Chiesa. E l’inizio di questo discorso viene provocato dai discepoli che pongono a Gesù una domanda su una questione che a loro stava a cuore: chi è il più grande nel regno dei cieli? Il regno dei cieli o Regno di Dio non significa l’aldilà, ma la società alternativa che Gesù è venuto a inaugurare, dove Dio regna come un Padre che infonde il suo amore a tutti perché i suoi figli, accogliendolo, si amino tra loro come fratelli. Ma i discepoli questa cosa ancora non l’avevano capita o non volevano capirla, tra loro c’erano rivalità e gelosie, rincorrevano sogni di ambizione e di grandezza. Allora Gesù chiamò a sè un bambino, lo pose in mezzo e disse: “Il più grande nel regno dei cieli è chi si farà piccolo come questo bambino, voi dovete diventare come lui, e chi poi accoglie uno di questi piccoli nel mio nome, accoglie me”. Detta così sembrerebbe che, per accogliere Gesù, la preoccupazione principale della Chiesa debba essere quella di costruire asili nido o di svolgere attività per i bambini, e che dobbiamo tornare tutti bambini, cioè essere ingenui, infantili, e oltretutto egoisti e capricciosi, come i bambini, appunto. E io mi chiedo: possibile che Gesù ci chieda una cosa del genere? La risposta ovviamente è: no! Il problema è che il vangelo è scritto in greco, e io non capisco perché si continua a tradurre sbagliato in italiano, e traducendo sbagliato si prendono fischi per fiaschi. Il termine greco tradotto in italiano con “bambino” si riferisce a quei ragazzini che venivano sfruttati per fare i garzoni, i servi. Il termine “piccolo”, invece, in greco è “tapino”, cioè una persona giudicata insignificante. Allora Gesù non chiama a sé un bambino, ma la persona più insignificante e meno considerata nella società, il servo di tutti, e lo mette in mezzo. Ogni particolare è importante. Nello stesso capitolo Gesù dice: Io sono in mezzo a voi. Gesù, mettendo questo garzone in mezzo a loro, al suo posto, si identifica con lui, e dice: al centro della comunità c’è lui. Allora vedete che cambia il significato della frase, che diventa: “Nel regno che io vengo a inaugurare, nella comunità alternativa che voi dovete costruire, il più grande non è chi è ambizioso, ma chi si mette a servizio degli altri, e perché è più grande? Perché diventa come me, come Dio, che si è fatto garzone di tutti, perché Dio non è uno che chiede, ma uno che dà. E se non mettete al centro delle vostre cure le persone giudicate insignificanti dalla società, il regno di Dio non viene, anche se continuate a chiederlo nella preghiera del Padre nostro, e voi per primi sareste esclusi. Avete l’ambizione di essere grandi, di diventare come Dio? Ottimo, è una bella ambizione, e allora, scegliete volontariamente di farvi servi gli uni degli altri”. Questo sta dicendo Gesù, altro che tornare ad essere bambini: infatti bisogna essere persone adulte, avere raggiunto una grande maturità per dire: io accetto di essere con Gesù e come Gesù diventando servitore di tutti. Il cristianesimo non è per i bambini. Ed è solo questa l’unica “tradizione” che Gesù ci ha lasciato, che noi riviviamo nell’eucaristia che stiamo celebrando, il “nobile esempio” da lasciare alle generazioni che verranno. E poi Gesù prosegue usando espressioni fortissime contro quelli che nella Chiesa continuano ad avere sentimenti di ambizione, di dominio, di superiorità (prima ci siamo noi, noi siamo meglio, prima gli italiani, prima i danesi, prima i tedeschi, e non prima chi ha più bisogno). Anche qui, purtroppo, la traduzione in italiano non rende bene. Chi scandalizzerà, cioè chi farà inciampare, cadere, uno solo di questi “piccoli” che credono in me. Qui, il termine greco che viene tradotto con “piccolo” non è lo stesso di prima (garzone), ma è “microbo”, e ai tempi di Gesù erano chiamati “microbi” in senso dispregiativo tutti i peccatori, i senza fede, i miscredenti, giudicati la feccia della società. E aggiunge: “che credono in me”. Cioè che hanno avvertito che nel messaggio di Gesù c’è una risposta ai loro desideri di pienezza, e allora si avvicinano alla comunità dei discepoli di Gesù perchè vogliono vedere nella pratica persone che vivono le cose che Gesù ha insegnato. Pensiamo a una persona che sente parlare del vangelo, crede che i cristiani si vogliono bene, che si perdonano l’un l’altro, che sono generosi, accoglienti verso tutti, e poi in famiglia ha genitori cristiani che si odiano, i familiari cristiani che sono egoisti, imbronciati, violenti, in parrocchia gente che si detesta o razzista, preti che non di donano e pensano agli affari loro, ecco l’inciampo. Ci siamo dentro tutti. Ebbene, dice Gesù, se questi qui incontrano una comunità di persone che vivono così e che invece di fare loro del bene gli fanno del male, è la fine, non crederanno più per colpa vostra. Perciò, chi li farà inciampare, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa e girata bene intorno al collo una macina d’asino, la più pesante di tutte, e, come se non bastasse, fosse gettato non nel mare, ma negli abissi del mare, così da essere sicuri che non possa risalire. Perché è così preciso Gesù? Perchè ai quei tempi si credeva che le persone che non venivano sepolte nella terra promessa, la terra di Israele, non sarebbero risorte, figuriamoci se uno moriva annegato in mare e il suo corpo non veniva ripescato. Con queste parole Gesù non sta augurando la morte a nessuno e nemmeno invitando al suicidio, ma sta dicendo che se chi si professa suo discepolo, ma invece di trasmettere agli altri l’unica “tradizione” che Gesù ci ha lasciato, che è l’amore di Dio, trasmette esattamente il contrario, si autoesclude dal Regno di Dio, che è vita, e quindi entra nel regno della morte, non è suo discepolo, è un fallito. Anche i “guai” che dopo Gesù pronuncia non sono minacce, perché in greco non c’è “guai”, ma “ahimè”, ed era il grido che veniva usato per i lamenti funebri. Per cui Gesù non sta minacciando, ma piangendo come morti quelli che vivono così. E allora, in positivo, conclude dicendo: date un taglio radicale al vostro modo egoista di vedere gli altri (l’occhio) e di comportarvi con gli altri (la mano e il piede), se no buttate via la vostra vita nel fuoco della Geenna, cioè diventate immondizia, perchè anche qui, vedete, la Geenna non è l’inferno (Gesù non minaccia nessuno dicendo che va all’inferno, è venuto per salvarci, non per mandarci all’inferno), ma era la valle dove venivano bruciate le immondizie. Vuoi fare della tua vita un capolavoro? Allora fa come ti ho detto, altrimenti fai della tua vita un ammasso di spazzatura maleodorante che serve solo per essere bruciata.