domenica 13 ottobre 2019

VII DOMENICA DOPO MARTIRIO

Oggi il vangelo ci propone quattro brevissime parabole con le quali Gesù parla del Regno dei cieli, cioè del Regno di Dio, che egli è venuto a inaugurare. Il Regno di Dio è quando gli uomini imparano a lasciarsi governare dal Padre, vivendo con lo Spirito di Gesù secondo i suoi insegnamenti, nella logica dell’amore, del servizio, dell’accoglienza, della gratuità, del perdono, insomma, vivendo le
beatitudini, costruendo pian piano una società nella quale gli uomini, sentendosi figli amati di Dio, si comportano da figli amando i fratelli, facendo diventare ospiti quelli che si considerano nemici, come leggevamo nei vangeli delle scorse due domeniche. Una bella utopia, verrebbe da dire! Ma i primi chiamati a vivere così sono coloro che hanno aderito a Gesù, i suoi discepoli, la sua Chiesa, cioè noi che siamo qui. Pertanto, quando nel Padre nostro chiediamo: venga il tuo Regno, non stiamo chiedendo al Padre che venga qualcosa che non c’è, perché questo Regno lo ha già inaugurato Gesù, ma stiamo chiedendo che tutti gli uomini, e noi per primi, entriamo nella logica del regno, così che questo regno si estenda in tutto il mondo. Ebbene, nel capitolo 13 del vangelo di Matteo, prima delle quattro brevi parabole di oggi, Gesù ne aveva dette altre tre per mettere in guardia i suoi discepoli da tre tentazioni: la parabola della zizzania contro la tentazione di pensare che la Chiesa sia una comunità di eletti dove c’è solo il bene; quella del piccolissimo granello di senape contro la tentazione della grandezza; quella del lievito nella farina contro la tentazione dello scoraggiamento di fronte ai fallimenti. E come antidoto a queste tentazioni, ecco le ultime quattro brevissime parabole sul Regno di Dio che abbiamo appena letto. Nella prima, Gesù lo paragona a un tesoro, quindi a qualcosa di talmente splendido e magnifico di fronte al quale ogni altra cosa perde valore. Per dire che quando si incontra Gesù e il suo messaggio, se lo si mette in pratica, si capisce che il modo di vivere proposto da Gesù, il contrario di quello che propone il mondo, è la cosa più bella che ci sia, l’unica che risponde ai nostri desideri di gioia più profondi, l’unico modo di vivere che ci rende veramente uomini. Nella seconda parabola paragona il Regno di Dio a una perla preziosa che uno deve proprio mettersi a cercare con gioia. Nella terza lo paragona ad una rete gettata nel mare che raccoglie tutto quello che trova, per indicare che l’offerta di Dio, del suo amore, è per tutta l'umanità, come già diceva il profeta Isaia nella prima lettura: “verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue”. Poi, però, Gesù aggiunge: “Come i pescatori separano i pesci buoni da quelli cattivi, così alla fine del mondo, i cattivi saranno separati dai buoni e gettati nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti”. Parole minacciose, come quelle di san Paolo nella lettera ai Corinzi che abbiamo ascoltato prima, dove l’apostolo fa un elenco di persone che, dice, non erediteranno il Regno di Dio. Ma vanno intese bene, perché, non dimentichiamolo mai, il Vangelo è sempre una bella notizia, non qualcosa che deve generare angoscia o paura. Cominciamo allora col dire che la traduzione non è corretta, perché nel testo greco non si parla di pesci “cattivi”, ma di pesci “marci”, che non è la stessa cosa. Chiaramente il riferimento è agli uomini, non ai pesci. Un uomo può essere cattivo e poi diventare buono, mentre col termine “marcio” si intende un uomo morto. E per Gesù, ad essere morti, marci, non sono gli uomini che hanno compiuto degli errori, degli sbagli, delle mancanze nella propria esistenza, ma che hanno fatto scelte decisive e continue contro l’amore, vivendo nella logica del potere, del possesso, dell’egoismo. Siccome solo le scelte d’amore danno vita, chi fa il contrario fa una scelta di morte. E chi è morto serve solo per essere bruciato. Perché in una fornace ardente? Questa è una citazione del profeta Daniele, dove nella fornace ardente i babilonesi gettavano coloro che non adoravano il potere del loro re. Ecco, con Gesù, la fornace ardente, cioè la distruzione completa, è destinata proprio a coloro che, invece, adorano il potere. Insomma, Gesù non sta minacciando nessuno, ma in questa terza parabola sta facendo una constatazione: “Fate attenzione: se costruire il Regno di Dio è la cosa più bella e importante che ci sia, è ciò che realizza la vostra vita di uomini, e questo regno lo costruiscono quelli che scelgono l'amore, la condivisione, la generosità, il perdono, vuol dire che chi sceglie di vivere nella logica dell’egoismo, dell’avidità, del potere, è come un pesce marcio, inutile, cioè è un uomo fallito. Al termine di queste parabole, ecco che Gesù chiede ai suoi discepoli: “Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». E noi, cosa gli rispondiamo? E’ però importante anche l’ultima parabola, un po’ misteriosa, dove Gesù dice che uno scriba diventato suo discepolo deve essere come un padrone di casa che dal suo tesoro toglie cose nuove e cose antiche. Gli scribi erano i maestri di Israele, le cose antiche erano gli insegnamenti di Mosè, le cose nuove, letteralmente migliori, indicano gli insegnamenti di Gesù. Gesù ci sta dicendo: se tu hai capito le cose che ti ho detto e diventi mio discepolo, allora devi guardare bene dentro di te e buttare via senza paura tutti quei modi antichi, vecchi, sbagliati di pensare e di vivere che sono contrari alle cose migliori che io ti ho insegnato. E’ il dono che chiediamo al Signore in questa Eucaristia.