martedì 20 ottobre 2020

DEDICAZIONE DEL DUOMO DI MILANO

Oggi inizia l’ultima parte del tempo liturgico che ci condurrà tra appena tre settimane all’ingresso nell’Avvento. Settimane nelle quali la liturgia ci invita a contemplare il mistero della Chiesa. Nel Credo noi ripetiamo: credo la Chiesa una santa cattolica apostolica. 

Notate che, mentre diciamo di credere in Dio Padre, nel Figlio Gesù nostro Signore e nello Spirito santo, non diciamo di credere nella Chiesa, ma di credere la Chiesa. Perché? Perché la Chiesa non è Dio, ma è un’opera di Dio, anzi, è l’opera di Dio più importante. La parola “chiesa” significa “convocazione”. La Chiesa cos’è? Non è un edificio, pur bellissimo come il Duomo di Milano, fatto di pietre. Le pietre delle nostre chiese, dalle più alte cattedrali alle più piccole e meno importanti come le nostre, ci richiamano che tutti noi siamo pietre vive del corpo di Cristo che è la Chiesa. Cristo ci convoca a sé per farci diventare suoi fratelli, figli come lui di un Dio che è Padre, infondendo in tutti il dono dello Spirito santo perché impariamo a diventare fratelli di ogni uomo. Questo accade in ogni angolo della terra perché Gesù ha affidato ai suoi discepoli il compito missionario di manifestare questo amore in ogni parte del mondo. In questo modo la Chiesa diventa madre, perché genera alla fede gli uomini. Se anche noi che siamo qui nel territorio della Diocesi di Milano siamo cristiani, è perché altri cristiani che ci hanno preceduto e che abbiamo incontrato ci hanno testimoniato la loro fede e noi vi abbiamo aderito. Per questo il Duomo di Milano è chiesa madre di tutti i fedeli ambrosiani, ma nel senso appunto che l’edificio del Duomo dove c’è la cattedra del Vescovo, dove il Vescovo insegna (da cui la parola cattedrale), è il segno della Chiesa intesa come corpo di Cristo, di cui Cristo è il capo e il Vescovo il segno di Cristo. Ecco perché per un cristiano non è indifferente ascoltare e conoscere la parola e le indicazioni del Vescovo. E anche la memoria del giorno della dedicazione, cioè della consacrazione del Duomo di Milano che oggi celebriamo, non serve per festeggiare una ricorrenza accaduta secoli fa, ma è il segno del giorno in cui ciascuno di noi, attraverso il Battesimo, è stato dedicato, consacrato a Dio. Il Battesimo è il segno della nostra appartenenza al Signore e al suo corpo. Le conseguenze di tutto questo sono enormi e stupende. Dio ci ha creati perché impariamo a costruire il suo Regno, perché impariamo a vivere come suoi figli che amano i fratelli. Questa è la salvezza. La salvezza non è andare in Paradiso, ma diventare collaboratori di Gesù, con la forza dello Spirito santo, nel costruire qui il Paradiso. Perché la salvezza è imparare a vivere la fraternità. “Fratelli tutti” sta ripetendo con forza Papa Francesco, non solo nel titolo della sua ultima enciclica. Perché il Paradiso è imparare a vivere la comunione con gli altri, anche coi nemici, come ha detto Gesù. Conoscete la storiella ebraica che spiega la differenza tra l’inferno e il paradiso. L’inferno è una grande tavola imbandita di cibi prelibati, e intorno alla tavola ci sono tante persone che cercano di mangiarle, ma non ci riescono, perché hanno dita talmente lunghe che non riescono a portare il cibo alla bocca. Il paradiso è la stessa cosa, con la differenza che i commensali riescono a mangiare tutti perché? Perché invece di cercare ognuno di portarsi il cibo in bocca, ognuno si mette ad imboccare gli altri. Capite perché non si può dire, come spesso si sente ripetere, “Cristo si, la Chiesa no”. Sarebbe come dire che Beethoven è un musicista straordinario, ma la sua musica non mi piace sentirla. La fede cristiana non è una cosa individualistica, privata, da sacrestia. Se ho Dio per Padre, Gesù come Redentore ed essi dimorano in me con lo Spirito santo, vuol dire che siamo abitati dalla stessa vita di Dio, e allora questa cosa deve vedersi, e l’unico modo in cui si può vedere è il modo col quale si vivono le relazioni con gli altri. Ognuno lo farà in modi diversi, ciascuno secondo la sua vocazione, ma tutti sono chiamati alla stessa cosa: a vivere relazioni creando comunione tra le persone. Questa è la missione della Chiesa. Quando nella Messa uno va a fare la comunione, normalmente a questa cosa non ci pensa mai, questo è il guaio. Uno pensa che fare la comunione sia ricevere Gesù nel proprio cuore, una frase che secondo me non vuol dire niente. Fare la comunione vuol dire ricevere il corpo di Cristo, e il corpo di Cristo è fatto da Gesù che è il capo e da tutti coloro che sono le membra di questo corpo, che è la Chiesa. Fare la comunione vuol dire masticare, assimilare, diventare una cosa sola col Signore, e qual è il risultato di questa comunione? Che si vive la comunione coi fratelli, cioè che si costruisce la Chiesa. Com’è difficile, lo sappiamo tutti. Ma proprio perché è difficile, anzi, impossibile con le sole forze umane, è Dio che lo rende possibile, attraverso di noi, se noi però diventiamo docili nell’accogliere la potenza del suo amore. Purtroppo noi siamo bravissimi a rovinare l’opera di Dio: la storia della Chiesa, del passato e del presente, è fatta di tante brutture. È vero che fa sempre più rumore un albero che cade di una foresta che cresce, ma quando ognuno di noi non realizza quest’opera di Dio, tutti ne risentono, e anche il mondo. Infatti, in che modo gli altri possono arrivare a credere che Dio è Padre, e dunque in che modo davvero la Chiesa è madre generando figli alla fede? Se noi viviamo come figli amando i fratelli. La Chiesa dunque ci riguarda. È la stupenda opera di Dio che ciascuno di noi è chiamato a costruire nelle relazioni che intesse ogni giorno. Questo è il frutto dell’Eucaristia. Per questo si dice che è dall’Eucaristia che nasce la Chiesa: se quando facciamo la comunione col Signore chiediamo davvero di essere in comunione con tutto il suo corpo, cioè di essere in comunione con tutti, altrimenti la nostra fede non può dirsi cristiana cattolica.