domenica 11 ottobre 2020

VII DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI

Gesù, quando doveva parlare di Dio e del Regno di Dio alle folle usava le parabole, cioè racconti che prendevano spunto da cose, immagini e fatti della vita quotidiana. I suoi discepoli, lo abbiamo letto, gli chiedono perché, e Gesù risponde con una frase enigmatica: “perchè a voi è dato conoscere i misteri del

Regno, ma a loro non è dato, anzi, a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza, ma a colui che non ha sarà tolto anche quello che ha”. Cosa vuol dire? Penso che proprio ascoltando la spiegazione che Gesù dà della parabola del seminatore si capisce cosa intendesse dire Gesù. Di Dio si può parlare solo usando immagini: non esistono parole umane capaci di definire in modo esaustivo il mistero di Dio. Dio nessuno lo ha mai visto, nessuno lo conosce: di Dio noi sappiamo solo quello che ci ha detto Gesù. Perciò, del mistero di Dio può comprendere qualcosa solo chi è un buon terreno, cioè solo chi si fida di Gesù, diventa suo discepolo, cioè fa spazio dentro di sé alla sua Parola, si fida della sua Parola, la ascoltano, la comprende e fa si che essa attecchisca nella mente e nel cuore così da metterla in pratica. Più un fa spazio dentro di sè per accogliere questa Parola, più avrà frutti abbondanti. Chi invece non fa spazio a questa Parola, ma fa spazio alle vicende di Chiara Ferragni e di Fedez o di quelle raccontate da Barbara D’Urso la domenica pomeriggio, si impoverirà sempre di più. Del resto, le nostre idee, convinzioni e pensieri si formano a partire dalle parole che ascoltiamo e in cui crediamo, perché noi siamo figli delle parole che ascoltiamo. Se ascoltiamo parole stupide diventiamo stupidi, se crediamo a chi pensa che il senso della vita sia nell’apparire, nell’avere, nel potere, nel dominio, diventiamo dei lupi, e così via. Invece, se ascoltiamo e crediamo nella parola di Gesù diventiamo persone che si sentono amate da un Dio che è Padre e impariamo a vivere come Gesù, come figli che amano i fratelli, come persone che hanno capito che il senso della vita è quello che celebriamo nell’eucaristia, che c’è più gioia nel dare che nel ricevere, che la vita vale non per quello che si ha, ma per ciò che si dà, e se viviamo così abbiamo dentro di noi la stessa vita di Dio che non muore mai. Il mistero di Dio si palesa man mano che facciamo spazio dentro di noi alla Parola di Gesù. Questo vuol dire che non è Dio il problema, ma siamo noi: il problema non è il seminatore, ma il terreno in cui il seme viene gettato. Dio è capace di fare cose grandi solo se noi diventiamo buon terreno capace di accogliere la sua parola che è capace di trasformarci. Dio non agisce al di fuori di noi, senza la nostra adesione, la nostra libertà. Noi troppe volte chiediamo a Dio di fare quello che dovremmo fare noi, mentre Gesù ha insegnato il contrario, e cioè che Dio agisce attraverso di noi, potenziando le nostre capacità: noi dobbiamo solo accogliere la potenza del suo Spirito. A dimostrazione di questo ci viene in soccorso l’altra brevissima parabola usata dal profeta Isaia all’inizio della prima lettura dove dice: Se in un grappolo di uva ormai seccata c'è ancora qualche acino col succo, il Signore non dice: "Distruggetelo". Vuol dire che Dio è capace di fare davvero cose impossibili, ma attraverso di noi, man mano che glielo permettiamo. Non importa se siamo un acino d’uva quasi secco: Dio è capace di fare cose grandi anche attraverso quel poco succo. Basta che ci sia un po’ di spazio per la sua Parola. O, per usare un’altra parabola che mi ero inventato io domenica scorsa: Dio è come una cascata capace di dissetare e di far nascere vita anche in un deserto, di far crescere un fiore nascosto tra le rocce, basta che uno si metta sotto il suo raggio d’azione. Se io mi discosto dalla cascata, non riceverò mai la sua acqua e non dovrò stupirmi se vedrò morire lentamente la mia vita.