lunedì 23 novembre 2020

II DOMENICA DI AVVENTO ANNO B

Se l’Avvento è il tempo dell’attesa, già domenica scorsa dicevo che, quest’anno, ciò che attendiamo di più non è l’arrivo del Natale, ma la fine di questa pandemia. La scena del vangelo di oggi si svolge nel deserto, e il deserto è un luogo carico di simboli. Nel deserto per 40 anni il popolo di Israele camminò 

verso la terra promessa, e quindi è simbolo del viaggio della vita, irto di prove, che però ha una meta, che ancora non si vede, il che vuol dire che occorre camminare, non fermarsi, altrimenti si muore. Nel deserto più volte il popolo d’Israele mormorava contro Dio rimpiangendo le cipolle d’Egitto, quando era schiavo in Egitto, come per dire: era meglio quando si stava peggio. Quindi è simbolo dei momenti della vita in cui c’è la tentazione di guardarsi indietro, di perdere la fiducia, di fermarsi, di rimpiangere il passato. Certo, se guardiamo alle restrizioni, a chi perde il lavoro, al numero dei malati e dei morti, queste tentazioni vengono anche a noi. La lista di tutto quello che rimpiangiamo è talmente lunga che è sempre al centro dei nostri discorsi, e giustamente siamo qui a sperare che l’avvento della fine di questa pandemia maledetta arrivi presto. Ma siccome non sappiamo quando finirà, continuare a pensarci è solo deprimente, ci fa star male ancora di più. Ebbene, in questi giorni pensavo, stimolato proprio da questa pagina di vangelo, e mettendomi a pensare non ai problemi gravissimi che il Covid sta portando e come abbia sconvolto la vita a tutti, ma limitandomi a riflettere sulle sue ripercussioni nella vita delle nostre comunità cristiane, mi sono chiesto se prima del Covid le cose andassero meglio che adesso, e cioè che cosa davvero dovremmo rimpiangere. C’è da rimpiangere quando potevamo essere in chiesa senza mascherina per poi vedere facce tristi, cupe, che non rispondono e non cantano, o persone che si scambiavano il segno di pace con la mano senza neanche guardarsi negli occhi? C’è da rimpiangere quando non c’era paura dei distanziamenti e si poteva stare tutti gomito a gomito? Non lo so: in tanti venivano a Messa mettendosi comunque isolati nelle ultime file o lasciando vuote le prime panche; si potevano fissare le date di battesimi, comunioni, cresime e matrimoni, a vantaggio certamente dei ristoratori che pur devono lavorare, ma col risultato che poi questi ragazzi e i loro stessi genitori scomparivano dalla vita parrocchiale, salvo poi ripresentarsi in occasione di un funerale arrabbiati con Dio; molti dei ragazzi che oggi giustamente sono così desiderosi di tornare a scuola o al catechismo erano magari gli stessi che poi bigiavano o disturbavano le lezioni desiderando un altro avvento, quello delle vacanze; le occasioni per adulti, giovani, ragazzi di partecipare in massa agli incontri parrocchiali di formazione o di catechesi e che oggi non si possono fare, di fatto venivano disertati dalla maggior parte dei cristiani, che è già tanto se vengono a Messa (tra voi adulti qui presenti, quanti partecipavano agli incontri di formazione proposti in questi anni e quanti venivano comunque solo a Messa?); e anche a Messa, molti prima venivano per un senso di dovere, ora per lo meno la paura e la prudenza sono una buona scusa per stare a casa, e chi non ci veniva prima continua a non venire adesso e nemmeno a seguirla da casa. Uno dice che bello quando ci si poteva confessare vicino al prete senza dover parlare ad alta voce, peccato che spesso il prete se ne stava lì ad aspettare penitenti che non arrivavano. C’è da rimpiangere che per il momento non si possano fare le benedizioni alle famiglie quando per tantissima gente si tratta di un rito superstizioso perché Dio ce la mandi buona? (e infatti si è visto come quest’anno ce l’ha mandata buona). Anche per me, prete, in casa solo con mia nonna centenaria e due cagnolini, incontrarsi con le persone è basilare, è la cosa più bella, ma se penso che gli incontri per gli adulti che faccio da anni avevano una presenza di 40 persone e adesso, entrando nelle case con tutti i video che faccio, i partecipanti sono 400, faccio fatica a rimpiangere com’era prima. L’oratorio, di sua natura, prevede assembramento, gioco, polvere, terra, caldo, sudore, incontro gioioso di ragazzi. Da tanti mesi non è più possibile. C’è da sperare che finisca presto la pandemia per tornare a vedere gli oratori vuoti lo stesso perché i ragazzi vanno a fare assembramenti da altre parti oppure, d’estate, vengono mandati in oratorio dai genitori solo perché non sanno dove mandarli altrimenti a un costo così basso e vicino a casa, salvo poi aver da ridire o fare le pulci se non fila tutto liscio e senza sognarsi di dare una mano? C’è da rimpiangere quando non avevamo bisogno dei nostri preziosi volontari alle porte della chiesa se, prima, era difficile trovare volontari per svolgere tanti servizi preziosi nei diversi contesti della vita parrocchiale? E’ stato un vantaggio o uno svantaggio, quest’anno, trascorrere in modo sommesso le feste dei santi e dei morti, come occasione per riflettere seriamente sul senso della morte e sul valore della vita di fronte a tante persone morte, anziché perdersi via nelle carnevalate di Halloween? Per cui mi chiedo: è un vantaggio o uno svantaggio essere costretti dalle circostanze a vivere questo tempo di deserto, di prova, per verificare in cosa davvero crediamo, se la nostra fede ci cambia davvero la vita, oppure è solo una facciata religiosa fatta di riti e preghiere vuote? I Figli del Regno è il titolo che la liturgia dà a questa seconda domenica di Avvento. Nel vangelo il Battista proclama: convertitevi perché il Regno di Dio è vicino. Il Regno di Dio non è nell’aldilà, ma è il nuovo modo di vivere e di costruire una comunità e una società nella quale impariamo a vivere sapendo che Dio è Padre, che noi siamo figli amati di un amore che vince la morte, e che siamo chiamati costruire rapporti di fraternità incentrati sulle beatitudini, come ha fatto il Figlio Gesù, che ci ha battezzato, immerso, nel suo Spirito. E’ vicino questo Regno, dice il Battista, certo, perché Gesù è venuto, ma attende che noi ce ne accorgiamo e lo accogliamo, e finchè non lo accogliamo, il Regno di Dio non viene. Quanto abbiamo vissuto e stiamo vivendo, ci insegna che l’Avvento non è noi che aspettiamo la venuta di Gesù, ma è Gesù che aspetta che noi ci svegliamo, ci convertiamo, cioè cambiamo il nostro modo di pensare e di vivere la vita per conformarlo al suo. Per cui, se desideriamo la fine della pandemia più di quanto desideriamo convertirci al vangelo, tra qualche tempo saremo messi peggio di adesso se le cose di cui ho parlato torneranno come erano prima. E allora, invece di deprimerci nel rimpianto di tutte le cose belle che ora non possiamo fare, aspettando la fine di un’emergenza che non dipende da noi, ma noi che possiamo e dobbiamo fronteggiare solo con mascherine e distanziamenti, è molto più utile e proficuo fare l’unica cosa che invece dipende da noi, e che assai più stimolante: raccogliere la sfida che ci lancia questo tempo di prova, di deserto, decidendo una buona volta se vogliamo convertirci o no al vangelo.