lunedì 30 novembre 2020

III DOMENICA DI AVVENTO ANNO B

La pagina del profeta Isaia che oggi ci propone la liturgia intercetta molto bene la situazione che noi stiamo vivendo in questo tempo di pandemia. Isaia scrive per le popolazioni della Giudea in esilio a Babilonia che rimpiangevano Gersusalemme, erano desolate dalla lontananza, bloccati in una terra 

straniera, senza prospettive nuove se non di morire lontani dalla patria. Anche a noi sembra di vivere oggi in terra straniera, cioè in un modo che non ci appartiene, ostile, che ci tiene bloccati, schiavi della paura di ammalarci e di morire lontani da casa. Ecco allora che Isaia ha compassione del travaglio del suo popolo, e lo esorta anzitutto ad ascoltare, e ripete tre volte questo invito: porgete orecchio alla voce del Signore. Ecco la prima cosa che dobbiamo fare, la più importante. Del resto, tutti i nostri pensieri, belli o brutti, tutte le nostre convinzioni, si formano in base alle parole che ascoltiamo, da cui derivano anche le azioni, le parole e i discorsi che facciamo a nostra volta e ascoltano gli altri, generando così una una catena che può essere virtuosa o viziosa, a seconda della verità di ciò che diciamo, cioè se queste parole sono vere o menzognere. Pensate soltanto alle molte notizie che riceviamo in continuazione, spesso una contraria all’altra, che generano solo confusione e mettono angoscia. Non lasciatevi ingannare, diceva Gesù nel vangelo della prima domenica di Avvento. Per questo, dunque, è così importante ascoltare la Parola del Signore, come richiamano anche i vescovi italiani nel loro messaggio mandato in questi giorni. Ma voi, dice Gesù, nel vangelo di oggi, ai suoi avversari, a questa Parola non avete mai prestato ascolto. Quante volte noi, quando preghiamo, ripetiamo, anche a Messa, “ascoltaci, Signore”, dimenticando che siamo noi che dobbiamo ascoltare e praticare quello che lui ci dice. Adesso non commento i pur brevi versetti di questo vangelo, lo farò lunedì sera nel consueto incontro di spiegazione della Parola di Dio, anche questo, per chi vorrà mettersi in ascolto. Ma di questo vangelo mi piace evidenziare come per ben 6 volte compaia la parola testimonianza, andatele a contare. Gesù specifica come egli abbia testimoniato l’amore del Padre attraverso le sue opere. Certo, perché lo sappiamo che a nulla valgono le parole senza le opere che confermino queste parole. Ciò in cui crediamo si vede da come pensiamo, parliamo e da come agiamo. San Paolo, nel brevissimo brano di oggi, traduce la parola testimonianza con la parola profumo per esprimere lo stesso concetto: come Cristo è il buon profumo del Padre, se noi ci lasciamo raggiungere dal suo profumo, diventiamo pure noi il buon profumo di Cristo presso gli altri. È bellissima questa metafora del profumo perché esprime una grande verità. A volte si pensa e si dice che noi dobbiamo impegnarci ad essere testimoni dell’amore del Signore, e siccome non ci riusciamo, concludiamo dicendo: è difficile. Invece no. Il profumo, o c’è o non c’è. Io profumo o puzzo o non so di niente, a seconda se mi lavo o meno o di come mi lavo. Non devo impegnarmi un granchè a far sentire il mio profumo, a meno che uno abbia il raffreddore o il Coronavirus che fa perdere il gusto e l’olfatto. Quello che devo fare è solo accogliere il profumo di Cristo, facendo si che la sua Parola rimanga in me. Anche Isaia fu buon profumo Dio presso il suo popolo che viveva il dramma e la depressione dell’esilio. Lo fece con parole di incoraggiamento, ricordando a tutti le grandi cose che Dio aveva compiuto nella storia, e nel brano di oggi lo fa citando Abramo e Sara, per dire come Dio sia stato capace di dare una discendenza ad una coppia anziana e sterile come erano loro, come per dire: forza, guardate che anche le situazioni più disperate possono diventare un’occasione per permettere a Dio di compiere opere grandi, e così, quello che ora appare un deserto, può tornare ad essere come il giardino dell’Eden. “Alzate al cielo i vostri occhi e guardate la terra di sotto”. Certo, se noi alziamo lo sguardo, cioè guardiamo a Gesù, ascoltiamo la sua Parola, poi impariamo a guardare la terra di sotto, cioè la realtà, con occhi nuovi, capaci poi di trasmettere speranza agli altri con le nostre opere e le nostre parole, generando finalmente una catena virtuosa. È così che si diventa il buon profumo di Cristo. Non dobbiamo perciò guardare la terra aspettando che dal cielo venga un aiuto, ma dobbiamo rivolgere lo sguardo al cielo perché Dio possa operare per mezzo di noi quaggiù sulla terra. Appunto, non dobbiamo chiedere a Dio di ascoltare noi, ma dobbiamo essere noi ad ascoltare lui. Davvero mi rendo sempre più conto che l’Avvento non è attendere che Dio venga e si manifesti, ma è il Signore che aspetta la nostra venuta, il nostro ritorno a Lui, il nostro risveglio, cioè che accogliamo il suo Spirito per permettergli di venire e di continuare ad operare per mezzo di noi.