sabato 21 agosto 2021

XIII DOMENICA DOPO PENTECOSTE ANNO B (22/08/21)

Le prime letture di queste 13 domeniche dopo Pentecoste hanno passato in rassegna in ordine cronologico alcune tappe fondamentali della storia della salvezza come viene narrata dai libri dell’AT. E oggi abbiamo letto un brano che si riferisce al tempo in cui, circa 500 anni prima della nascita di Cristo,

gli ebrei, dopo l’esilio a Babilonia, finalmente tornarono in patria, grazie all’intervento di Ciro, il Re dei Persiani. Di lui si dice che fu un uomo al quale il Signore suscitò lo spirito, perché operò il bene verso il popolo di Israele. Un’affermazione importante, perché Ciro non era un israelita, ma uno straniero, un pagano, con un’altra religione, a tal punto che gli ebrei pensavano fosse lui il Messia, e affermare questo era qualcosa di rivoluzionario per la mentalità integralista di quel tempo: capire che lo Spirito di Dio soffia dove vuole, che non c’è un popolo eletto, perché Dio è Padre di tutti gli uomini e ogni uomo che persegue il bene e la giustizia verso i fratelli, quale che sia il popolo, la razza o la religione a cui appartiene, è suo figlio, animato dal suo Spirito. Ecco perché la liturgia di questa domenica ci ha fatto ascoltare la pagina di vangelo che vede come protagonista un altro straniero, questa volta un centurione romano, oltretutto un usurpatore, e anche lui viene descritto come uno che era amato dal popolo, tanto è vero che sente parlare di Gesù proprio dai Giudei, e sono loro che lo accompagnano da Gesù, e lo raccomandano a lui, dicendo: “quest’uomo è veramente degno, ama la nostra nazione, ci ha costruito anche la sinagoga”. Oggi noi diremmo: lui non può venire in Chiesa, ma ci ha costruito la chiesa, quindi è un uomo di estrema bontà verso tutti. E Gesù va con loro verso di lui, e alla fine dice: "Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande", ma questa frase di Gesù darà molto fastidio agli israeliti: va bene tutto, ma che questo qui abbia più fede di noi che pensiamo di essere i migliori, ci sta meno bene. Sempre nel vangelo di Luca, nel momento della crocifissione, sarà un altro centurione romano a riconoscere che Gesù era un uomo giusto, e sempre Luca, nel libro degli Atti, racconta quando proprio nella casa di un altro centurione, Cornelio, Pietro si rende conto che "Dio non fa preferenze di persona, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto". Cosa significa questo, anche per noi? Che, come continua a ripetere anche il Papa, se Dio non esclude nessuno, che nessuno deve sentirsi migliore o superiore agli altri, che ogni esclusione e tutte le barriere che purtroppo nella storia hanno creato anche le religioni, proprio nel nome di Dio, è quanto di più assurdo e osceno possa accadere, e purtroppo è accaduto e continua ancora ad accadere. Dimenticando, tra l’altro, che i primi stranieri e pagani siamo stati noi. Perché i primi credenti in Gesù furono gli ebrei, Gesù era ebreo, noi no. Tanto è vero che san Paolo, da buon ebreo, vedendo come tanti suoi confratelli non credettero in Gesù, nel brano che ci propone oggi la liturgia, fa tutto un ragionamento contorto e dice: io annuncio il vangelo ai pagani, così i miei fratelli ebrei saranno gelosi nel vedere che Dio è davvero Padre di tutti, e si ravvedranno, e conclude citando una bellissima frase del profeta Isaia che ben riassume quanto siamo andati dicendo finora: “Dice il Signore: sono stato trovato da quelli che non mi cercavano, mi sono manifestato a quelli che non chiedevano di me”. Cosa ne dobbiamo concludere anche noi? Che quando giudichiamo le persone dietro le barriere erette dalla nazionalità, dalla cultura, dalla ideologia, dalla religione o da una morale diversa dalla nostra, Gesù ci guarda storto e ci dice di guardare ogni uomo come fratello. Però queste cose servono anche a consolarci quando con amarezza vediamo intorno a noi, anche nelle nostre famiglie, molta indifferenza verso la fede, soprattutto da parte dei più giovani, perché ci mostrano che lo Spirito del Signore è capace di raggiungere tutti, e chi opera per il bene e la giustizia, anche se dice di non credere in Dio, è salvo, perché Dio è amore, quindi, il vero dramma non è tanto se uno smette di fare un cammino di fede secondo i nostri schemi, ma quando non pensa e si butta via vivendo la vita in modo superficiale o facendo il male, chiudendosi all’azione dello Spirito e, stiamo attenti perché da questo pericolo non sono certamente esenti quelli che vengono in chiesa, come noi, perché non saremo giudicati da quante devozioni religiose avremo compiuto, ma da quanto avremo amato. Ma tutto questo discorso lascia aperta una domanda molto provocatoria che vorrei lasciarvi: ma se Dio ama e salva ogni uomo che si apre all’azione del suo Spirito, quale che sia la sua religione o non religione, allora io perché sono cristiano e continuo a scegliere Gesù e a credere in Lui e non in qualcun altro?