domenica 27 febbraio 2022

27/02/22 ULTIMA DOMENICA DOPO EPIFANIA (ANNO C)

Noi tutti siamo stati abituati a continuare a rivolgerci a Dio chiedendo perdono per i nostri peccati: oggi è addirittura la domenica del perdono; nella Messa non si contano le volte in cui ripetiamo: abbi pietà, Kyrie eleison, perdona i nostri peccati, non sono degno; nella stessa Bibbia sono tante le suppliche 

rivolte a Dio per chiedere perdono. E poi c’è anche il sacramento della confessione. Eppure, c’è una cosa incredibile, bellissima e rivoluzionaria che passa sempre inosservata: nei vangeli, e anche in quello di oggi, mai una volta che Gesù inviti i peccatori a chiedere perdono a Dio. Perché? Per due motivi. Primo motivo: perché è inutile. Dio è una continua comunicazione d’amore, quindi chiedergli perdono non serve, sarebbe come chiedere al sole di scaldarci o alla pioggia di bagnarci, e come il sole e la pioggia bagnano tutti, belli o brutti, così l’amore di Dio non guarda i meriti delle persone, ma i loro bisogni, quindi il suo perdono non va chiesto, ma accolto. Il secondo motivo è questo: se, in Gesù, Dio si è fatto uomo, vuol dire che non ci sono peccati contro Dio e peccati contro gli uomini, ma solo peccati contro gli uomini. Infatti Gesù, se non dice mai di chiedere perdono a Dio, comanda però di perdonarci a vicenda. Io credo che la definizione più bella del peccato l’abbia data il Concilio Vaticano II quando afferma che “il peccato è ciò che ci impedisce di crescere in umanità”, quindi il peccato cos’è? E’ tutto il male che si compie verso il prossimo, o il bene che si dovrebbe fare e non si fa, le cosiddette omissioni. Ecco perché è ridicolo chiamare peccati le parolacce o qualche bugia, questi sono sbagli e debolezze che fanno parte della vita: i peccati sono una cosa seria, e quando si compiono, non è verso Dio che bisogna sentirsi in colpa, ma bisogna prendere consapevolezza del suo amore, gioirne, come fece Zaccheo, per ricevere il coraggio di provare a riparare al male compiuto. Questa è la penitenza, non dire un’Ave Maria. Le offese non sono verso Dio, ma verso gli uomini. Vuol dire, per esempio, che preghiere come O Gesù d’amore acceso o l’atto di dolore in cui si dice addirittura di aver meritato i suoi castighi non sono preghiere cristiane, anche se purtroppo per secoli sono state insegnate. Quindi, anche il non partecipare alla Messa della domenica, parteciparvi male o pregare male non sono peccati contro Dio, ma sono occasioni perdute, perché l’eucaristia non serve a Dio, ma a noi, per riscoprirci fratelli, figli amati da un unico Padre, facenti parte tutti dello stesso corpo di Cristo. La comunione è comunione col corpo di Cristo, cioè con tutti i fratelli: solo così si è in comunione reale con Dio e solo così il suo amore e il suo perdono diventano efficaci. Se invece uno vive la Messa come obbedienza ad una legge divina, è ovvio che se non ci viene si sente in colpa, e quando invece ci viene si sente a posto in coscienza, e così poi esce di chiesa uguale a come è entrato. Ma allora, a questo punto, a cosa serve continuare a chiedere perdono al Signore o andare a confessarsi? Non è che se io non mi vado a confessare, allora Dio non mi perdona. Il fatto è che dell’amore di Dio che si manifesta nel perdono non ce ne facciamo niente se non ce lo sentiamo dire e non lo sperimentiamo. Vale anche nei rapporti umani: a che mi serve che una persona mi ami se non me lo dice e non me lo dimostra? Ecco, il sacramento della riconciliazione è proprio il momento in cui riceviamo in modo concreto questo abbraccio misericordioso e immeritato. “Non vado a confessarmi perché non so cosa dire, sono sempre le stesse cose”. Infatti, la cosa più importante da confessare non sono i peccati, ma è confessare l’amore di Dio: uno dovrebbe andare a confessarsi per sentirsi ripetere da Dio: io ti amo così come sei per quello che sei. Cioè, per fare la stessa esperienza che fece Zaccheo. L’unica cosa che Zaccheo si sentì dire da Gesù fu: oggi voglio venire a casa tua, voglio stare con te. Zaccheo, che pensava di essere un caso disperato, un pubblicano, esattore delle tasse, un ladro che si arricchiva sulle spalle degli altri, per la prima volta nella sua vita si sentì amato da qualcuno che non lo escludeva per i peccati che aveva commesso. Gesù non gli disse di chiedere perdono a Dio o di fare penitenze, e non risulta nemmeno che Zaccheo si fosse pentito. Ma appena Gesù gli disse quelle parole, ecco che Zaccheo decise di dare ai poveri la metà di quello che aveva e di restituire quattro volte tanto quello che aveva rubato. Vedete? Il perdono di Dio va accolto, non chiesto, ma diventa efficace se poi ti fa cambiare la vita. Un’ultima cosa. Oltre a diminuire il numero di fedeli che si confessano e che vengono a messa, diminuisce anche il numero dei fedeli che, a messa, riceve la comunione, perché uno non si sente a posto. Ma se la comunione non è il premio per i bravi, ma la medicina per i malati; se davanti a Dio, lo abbiamo visto con Zaccheo, non ci sono casi disperati, allora cosa aspetti a comunicarti, quando sei diventato bravo? Allora non la farai mai. Ma non mi sono confessato! Se hai capito quello che ho spiegato della confessione, avrai lo stesso desiderio di confessarti come quello di comunicarti, perché la confessione non è il green pass per fare la comunione, ma è l’altra faccia della stessa medaglia: nella confessione mi sento ripetere il ti amo di Dio per quello che sono, con la comunione questo ti amo diventa la forza capace di cambiarmi la vita. O cerchiamo di entrare in questa logica così splendida che duemila anni fa condusse uno sparuto gruppo di discepoli ad essere così attrattivi da moltiplicarsi, o altrimenti è inutile stupirsi se essere cristiani sembra interessare ormai quasi a nessuno.