domenica 11 dicembre 2022

11/12/22 V DOMENICA DI AVVENTO (ANNO A)

Il senso complessivo delle letture di oggi ruota intorno a due parole un po’ particolari, perché sono poco usate nel nostro comune linguaggio: la parola “precursore” (il Precursore è il titolo di questa quinta domenica di Avvento) e la parola “pedagogo” di cui parla san Paolo nella lettera ai Galati. “Precursore” significa “colui che 

corre avanti per annunciare la venuta di un altro”. Giovanni Battista è il precursore di Gesù, come ci viene detto nel vangelo, cioè colui che annuncia la venuta di Gesù, additandolo come il Messia: le profezie ascoltate nella prima lettura si sono avverate. Detto questo proviamo a chiederci che cosa rappresenta questa figura del precursore. Rappresenta l’uomo che desidera, rappresenta i desideri più grandi che ogni uomo porta dentro di sé, di giustizia, di verità, di libertà, di gioia, di felicità, di vita eterna. Dio è il desiderato, perché sotto il nome di Dio gli uomini da sempre mettono colui che sperano realizzi i desideri più profondi che albergano nel cuore. Dopodiché, sotto il nome di Dio, possono anche celarsi tutti i nostri più tremendi deliri di onnipotenza, perché nel nome di Dio si possono fare anche cose turpi, pensiamo a quello che stanno facendo in Iran nel nome di Dio. Per questo occorre purificare questo nome, ed è proprio Gesù a purificarlo perché, come dice il vangelo di oggi, nessun uomo ha mai visto Dio: solo Gesù, il Figlio, ce lo ha rivelato, ce lo ha fatto vedere. Dio è sempre oltre le nostre attese, non dobbiamo ingabbiarlo nei nostri schemi. E il Dio di Gesù è completamente fuori da tutti i nostri schemi. Non è un Dio da cercare, perché è ad essere venuto a cercarci, e questa verità la capisce benissimo San Paolo parlando della Legge. Nel brano della lettera ai Galati che abbiamo ascoltato dice una cosa di un’importanza pazzesca. Se riuscissimo a capirla, cambierebbe completamente tanta spiritualità malata, e finalmente il cristianesimo assumerebbe il suo volto di gioia che spesso non traspare dei nostri volti. Scrive Paolo: “la Legge è stata per noi un pedagogo, fino a Cristo, perché fossimo giustificati per la fede. Sopraggiunta la fede, non siamo più sotto un pedagogo”. Ecco, dunque, la seconda parola: pedagogo. Il pedagogo era lo schiavo di fiducia che doveva condurre a scuola il figlio del padrone, che doveva sorvegliarlo e custodirlo, costringendolo a studiare e ad andare a scuola, e se il bambino non faceva giudizio, doveva portarlo dal maestro per essere punito. Bene, san Paolo dice che la Legge, fino alla venuta di Cristo, è stata come un pedagogo nei nostri confronti, cioè doveva servire per condurre gli uomini a Dio. Qual è il problema? Il problema è che la Legge, ci indica qual è il bene, quindi di per sé è qualcosa di positivo, ma non ci dà la forza di fare il bene, anzi, ci dà l’incentivo a fare il male, a fare il contrario, non c’è cosa più seducente che fare il contrario di quello che si dovrebbe fare, lo sappiamo bene e, così facendo, la Legge ci punisce, ci ingabbia facendoci vedere che abbiamo fatto il male, per cui nascono mille sensi di colpa, e non ci salva, ci lascia dannati. Come il bambino che alla fine studia non perché vuole imparare, non perché ha capito come sia importante studiare, ma per paura di essere castigato e per ottenere poi un premio, e appena riesce a trovare il modo di copiare e fare meno fatica lo usa subito. Fatta la legge, trovato l’inganno. Molti cristiani, purtroppo, continuano a vivere così il rapporto con Dio: tutto diventa un precetto, una legge, un dovere da osservare, venire a Messa, confessarsi, pregare, fare il bene. Si fanno queste per giungere a Dio, sperando di ottenere un premio, di evitare un castigo e, appena c’è la possibilità, non si fanno. Ecco, questo non è il Dio di Gesù, il Dio che Gesù ci ha fatto vedere. Una fede così è angosciante, ci fa restare schiavi, bambini, sotto un pedagogo, appunto. La fede in Gesù, invece, ecco la scoperta di Paolo, ci rende adulti e liberi, perché ci fa scoprire che Dio non è uno a cui obbedire per paura o per ingraziarselo, ma è uno che mi ama per quello che sono, che vuol farmi diventare come lui, che mi dona il suo amore perché io, accogliendolo, possa diventare come lui e avere la sua stessa vita. Perciò, non seguo la Legge di Dio, che è quella dell’amore che si fa servizio, accoglienza e perdono, per ottenere poi come premio le grazie che desidero, ma faccio il bene perchè è solo così che realizzo la mia vita. Ma per vivere secondo questa Legge, l’unica legge di Dio, occorre credere (questa è la fede) che solo Lui può darmi la forza di compierlo, perchè a lui niente è impossibile, mentre io non ce la faccio. E allora, tutto quello che devo fare è accogliere la sua forza, il suo spirito d’amore, e i sacramenti sono i veicoli di questa grazia. Non sono precetti o pratiche da espletare per sentirmi a posto in coscienza così Dio è contento, come lo studente quando ha fatto i compiti. I sacramenti non sono precetti, favori che faccio a Dio, ma sono invece la fonte che mi dona questa grazia di Dio. Pensate com’è importante capire questa cosa, per esempio, in riferimento alla confessione. Una pratica sempre più in disuso, e molti dei pochi che vanno ancora ogni tanto a confessarsi, lo fanno per dovere e con difficoltà, come il bambino che fa i compiti. La difficoltà deriva dal non capire che si va a confessare quanto è grande l’amore di Dio e a ricevere la sua grazia capace, perdonandomi, di rinnovare la mia vita a sua immagine. Sono sempre più convinto che l’Avvento si ripeta ogni anno non per farci attendere la venuta di Dio, che è già venuto e continua a venire, ma per aiutarci a capire che è Dio che attende che noi impariamo a renderci conto della sua presenza apportatrice di grazia su grazia e ad accoglierlo.