domenica 10 settembre 2023

10/9/23 II DOMENICA DOPO IL MARTIRIO (ANNO A)

Come ritornello del salmo abbiamo ripetuto: beato l’uomo che cammina alla luce del tuo volto, un volto che illumina più del sole e della luna, diceva il profeta Isaia. Ora, il volto di Dio nessuno lo ha mai visto, ma Gesù nel vangelo di oggi dice: io faccio le stesse cose che vedo fare dal Padre. Cosa vuol dire? Che è Gesù che ci fa vedere

il volto di Dio, che ci fa conoscere Dio. Se vogliamo conoscere Dio, dobbiamo imparare a conoscere Gesù, e per conoscere Gesù dobbiamo ascoltare la sua Parola. Ascoltarla, fidarci e metterla in pratica, se no è tutto inutile. E perché se lo facciamo, cioè se camminiamo alla luce del volto di Dio che Gesù ci ha fatto vedere siamo beati? E’ Gesù stesso a dirlo nel vangelo: perché, chi lo fa, attenzione bene, ha la vita eterna, passa dalla morte alla vita, cioè risorge. E san Paolo, col suo linguaggio sempre un po’ complicato, dice la stessa cosa: se Cristo è risorto, tutti quelli che vivono come lui hanno lo stesso destino. Non un giorno, ma adesso. Pensate bene a questa cosa. Dite la verità, di solito, quando noi pensiamo alla risurrezione, pensiamo a qualcosa che riguarda il futuro: uno un giorno muore e poi risorgerà, tornerà a vivere. Sbagliato. I verbi sono tutti al presente: chi crede, ha la vita eterna, passa dalla morte alla vita, risorge, non un giorno, ma adesso. Ma come adesso? Adesso noi siamo vivi!!! Si, certo, siamo vivi, col corpo, ma cosa serve essere vivi se viviamo senza sentirci amati e senza amare? Vuol dire essere dei morti viventi, degli zombie, è come essere già morti. Se invece ci lasciamo avvolgere dalla luce del Signore, cioè impariamo a conoscere Gesù e mettere in pratica la sua parola cosa succede? Che noi risorgiamo, perché Gesù ci fa vedere che noi siamo avvolti e riempiti dall’amore del Padre, e che se impariamo ad accogliere questo amore e a donarlo agli altri, noi diventiamo come lui, diventiamo come Dio. Pian piano ci trasformiamo, risorgiamo, diventiamo persone belle, vere, autentiche, e quando arriverà la morte, sarà solo del mio corpo: io sarò come il bruco che diventa una farfalla. Insomma, il potere di Dio è questo: quello di far risorgere non i morti, ma noi che siamo vivi e che, se non impariamo a sentirci amati dal Signore e ad amare come lui, rischiamo di vivere tutta la vita come dei morti. Chi ama, è già risorto adesso, perché ha dentro di lui la stessa vita di Dio; chi non ama, è già morto, anche se è vivo. Nella lettera pastorale di quest’anno, pubblicata (ieri, l’altro ieri), il nostro arcivescovo ci richiama proprio a questo: a considerare la vita come dono d’amore e vocazione ad amare. Ecco perché ho pensato di proporre come motto dell’anno quello che trovate sui tableaux esposti nelle nostre tre parrocchie: “E(d) io avrò cura di te”. Notate come la lettera “d” è scritta in modo diverso dalle altre. Possiamo unirla alla “e” e quindi il soggetto è ciascuno di noi, sono io chiamato a prendermi cura di te. Ma se la uniamo alla parola “io”, il soggetto diventa Dio che si prende cura di me, di te, di noi. Dio e l’uomo si uniscono, come le due mani del dipinto, ma questa unione con Dio quando si realizza? Uno dice: quando tra poco faremo la comunione. Sbagliato. Noi ci nutriamo di Gesù nell’eucaristia per risorgere, per trasformarci, per ricevere la forza di diventare come lui, di amare come lui, e allora la comunione col Signore si realizza quando noi impariamo a prenderci cura degli altri come Dio si prende cura di noi, quando sono le nostre mani ad unirsi tra loro. E vedete che il disegno delle mani è a forma di mandorla, perché la mandorla, nella tradizione antica, è simbolo di Cristo: come il frutto della mandorla è racchiuso nel guscio, così la natura divina di Cristo è racchiusa nella sua umanità. Lo stesso vale per noi: se permettiamo al Signore di trasformare la nostra umanità vivendo verso gli altri lo stesso amore col quale siamo amati da lui, anche noi diventiamo divini, perché passiamo dalla morte alla vita. Non un giorno, ma adesso.