Come mai Gesù, quando gli riferiscono che l’amico Lazzaro era malato non interviene? Marta e Maria lo rimproverano per questo atteggiamento, come capita a noi quando Dio non esaudisce le nostre richieste di guarigione.
Come mai Marta non si sente consolata quando Gesù le dice che suo fratello sarebbe risorto?
Come mai Gesù piange davanti al sepolcro di Lazzaro pur
sapendo che di lì a poco sarebbe risorto?
Come fa Lazzaro a uscire dal sepolcro tutto bendato fino ai
piedi e perché Gesù dice a tutti non di far festa ma di lasciarlo andare?
Ma soprattutto perché Gesù in tutto il Vangelo ha fatto
risorgere solo Lazzaro e altre due persone, e non fa risorgere subito tutti i
nostri morti? Che poi, pensandoci bene, più che una grazia sarebbe una beffa:
se risorgere vuol dire tornare in vita per morire di nuovo non è molto
conveniente, tutto sommato è meglio morire una sola volta.
Proviamo a rispondere a queste domande partendo proprio dal
concetto di risurrezione. A quei tempi si credeva che la risurrezione fosse che
i morti, alla fine dei tempi, sarebbero tornati in vita e, secondo me, è quello
che pensiamo anche noi. Ecco perché Marta non si sente consolata quando Gesù le
dice che il fratello sarebbe risorto, e non lo siamo neanche noi pensando a
questa cosa quando muore un nostro caro, primo perché chi è morto ci manca
adesso e poi perché alla fine dei tempi saremo morti anche noi. Inoltre,
pensare la risurrezione come il ritorno in vita di un morto decomposto
sottoterra o incenerito non è una cosa molto esaltante. Ma questo era il modo
di pensare la risurrezione da parte degli ebrei. Con Gesù le cose cambiano.
La novità di Gesù è nella frase centrale di questo Vangelo
quando dice: io sono la risurrezione e la vita, chi crede in me anche se muore
vivrà e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno. Gesù non dice che un
giorno i morti torneranno a vivere, ma che il suo potere è quello di dare la
stessa vita immortale di Dio adesso a chi crede in lui, una qualità di vita
tale che la morte sarà solo del corpo. Quindi sta affermando che Dio non fa
risorgere i morti, ma fa risorgere quelli che sono vivi e che credono in lui,
come Lazzaro, cioè che gli sono amici, che aderiscono a lui vivendo come lui. Gesù
non interviene per guarire Lazzaro, per mostrare che la malattia e la morte
fanno parte della vita, ma per chi è abitato dalla stessa vita di Dio, cioè dallo
Spirito del Padre donato da Gesù, siccome la risurrezione è già iniziata
adesso, la morte del corpo sarà il compimento di questa risurrezione, perché sarà
il momento in cui si verrà completamente trasformati in Cristo, diventando
membra del suo corpo glorioso, come il bruco che diventa una farfalla. Perciò,
quella di Lazzaro, di per sé, non fu una risurrezione, semmai la rianimazione
di un cadavere. Un segno, non un miracolo, operato da Gesù per mostrare a tutti
che colui che avevano messo nel sepolcro pensandolo morto, in realtà non era
mai morto. Erano loro ad aver messo il masso sul sepolcro, come se la morte del
corpo fosse la fine di tutto. Purtroppo, la traduzione in italiano dal greco
della commozione e del pianto di Gesù trae in inganno, perché quella corretta
sarebbe che Gesù fremette nello spirito, sbuffò, si arrabbiò di fronte a tanta
incredulità. E penso che Gesù continui a sbuffare quando vede che anche noi che
ci dichiariamo suoi discepoli, di fronte alla morte del corpo ci disperiamo. E
ordina anche a noi di togliere la pietra e slegare le bende che impediscono ai
morti di continuare il cammino verso il Padre (lasciatelo andare): finché andremo
al cimitero piangendo come morti i loro cari, come lontani, scomparsi, mancati
all’affetto dei loro cari, continueremo a tenerli legati e non riusciremo mai a
sperimentarli come vivi. Infatti, dal sepolcro, se leggiamo bene il testo, non
si dice che uscì Lazzaro, ma il morto, perché Lazzaro era già risorto. Tanto è
vero che Lazzaro lo ritroveremo nel Vangelo che si leggerà nelle messe del
giorno di domenica prossima: la comunità era riunita a Betania per la cena e
Lazzaro era uno dei commensali. Questa cena è l’eucaristia nella quale, con
Gesù risorto e vivo, si rendono presenti i defunti, commensali di Gesù.
Concludo.
Coi Vangeli di queste domeniche, la liturgia quaresimale ci
ha guidato a riscoprire l’importanza del nostro battesimo che nasce proprio
dalla Pasqua che celebriamo in ogni eucarestia e di cui faremo memoria solenne
tra qualche giorno. L’acqua del fonte battesimale è simbolo della nostra
condizione mortale, perché nell’acqua un uomo muore e ha bisogno di qualcuno
che lo tiri fuori, che lo faccia riemergere, che lo faccia risorgere. Noi
occidentali abbiamo questo valore simbolico perché il bambino, e più in generale
il battezzando, anche un adulto, invece di essere immerso fino alla testa
nell’acqua, viene soltanto bagnato con l’acqua sulla testa anziché venire
immerso completamente e poi tirato fuori (e la parola battesimo vuol dire
proprio immersione). Riscoprire che il Battesimo è il segno che noi già adesso,
se aderiamo a Cristo, siamo uniti alla sua morte e risurrezione, che dunque Dio
fa risorgere noi che siamo vivi è la condizione per coltivare il seme del
Battesimo, per riscoprire la grazia di essere cristiani, altrimenti viviamo la
vita non come risorti, ma come morti viventi, con lo stesso spirito con cui
vive la vita chi battezzato non è.