domenica 11 agosto 2024

11/08/24 XII DOMENICA DOPO PENTECOSTE (ANNO B)

Le prime letture delle domeniche dopo Pentecoste ci fanno ripercorrere in ordine cronologico le tappe della storia di Israele, e i vangeli e i brani di san Paolo sono scelti per far vedere qual è il significato profondo che Gesù ha dato di questi eventi. Peccato che le pagine della Scrittura di questa domenica, e 

non solo di questa domenica, siano molto complesse e sarebbero adatte per una conferenza o una catechesi, non per un’omelia, perché richiederebbero una spiegazione molto accurata. Il caldo torrido di questi giorni e il clima vacanziero non deve però essere una scusa per non provare a fare uno sforzo di comprensione, per cogliere quanto il Signore vuole dirci quest’oggi. Il tema che lega queste letture è l’infedeltà del popolo eletto, il popolo di Israele, all’alleanza col Signore. Dio aveva promesso ad Abramo e alla sua discendenza una terra, la terra promessa: una perenne alleanza d’amore, se però il popolo eletto fosse stato fedele alla Legge che poi diede Mosè. Ma una parte del popolo eletto, per colpa soprattutto dei suoi capi, trasgredì spesso questa alleanza, fino all’apice, raggiunto nel tempo della monarchia, quando, dopo Salomone, il regno si divise in due e i re si prostrarono agli dèi pagani, gli idoli. È l’epoca dei profeti che richiamavano il popolo ad essere fedeli all’alleanza, altrimenti avrebbero perso la terra promessa. Ma la voce dei profeti rimase inascoltata, e i profeti furono rifiutati e perseguitati. Il profeta Geremia, nel brano di oggi, annuncia quello che sarà il periodo più buio della storia di Israele, quando, per colpa delle sue infedeltà, verrà conquistato da Nabucodonosor, re di Babilonia, Gerusalemme e il tempio di Salomone verranno distrutti e buona parte del popolo viene deportata in esilio a Babilonia. Il canto degli esuli che, presso le sponde dei fiumi di Babilonia sedevano piangendo al ricordo di Sion, incapaci di cantare i canti del Signore in terra straniera, e tutta questa vicenda, ispirò l’opera Nabucco di Giuseppe Verdi (Nabucco è un diminutivo di Nabucodonosor) e il celebre Va pensiero. Ed è da qui che parte il collegamento con la pagina di vangelo e di san Paolo di oggi. Le infedeltà di una parte del popolo eletto di Israele proseguirono anche dopo l’esilio e il ritorno alla terra, come leggeremo nelle prossime domeniche, fino ai tempi di Gesù, quando la terra promessa era occupata dai romani. E anche oggi è sotto gli occhi di tutti quanto sia martoriata questa terra, con Israele che vuole eliminare dalla faccia della terra chi a sua volta lo vuole distruggere: una storia senza fine. Per questo, Gesù invia in missione i suoi apostoli, prima di tutto, non verso i pagani, ma verso le pecore perdute della casa di Israele, come nuovi profeti, preavvisandoli della possibilità del rifiuto: se entrando in una casa non vi accoglieranno, scuotete la terra dai vostri piedi, dice, e il significato di questa espressione è precisamente che il rifiuto dell’alleanza col Signore comporta il non ingresso nella terra promessa. La minaccia di un castigo superiore a quello che fu riservato a Sodoma e Gomorra si riferisce al fatto che gli abitanti di quelle città avevano rifiutato ospitalità agli inviati di Dio, trasgredendo così l’unica legge dell’amore. In realtà, il messaggio di Gesù è sempre di vita, non di morte: guarite gli infermi, cioè curate chi è debole, risuscitate i morti, cioè date amore a chi, senza amore, è morto, cacciate i demoni, cioè tutte quelle ideologie demoniache che portano gli uomini ad autodistruggersi. Gesù rivela, cioè, che Dio è solo fonte di vita e di amore, che Dio è Padre, e la sua volontà è che gli uomini vivano come suoi figli amando gli altri come fratelli, praticando il bene e la giustizia. Dio non castiga nessuno: sono gli uomini ad autocastigarsi ed autoescludersi dalla terra promessa. E qui allora comprendiamo cos’è effettivamente questa terra promessa, che i fondamentalisti, ancor oggi, leggono solo come un territorio geografico. La terra promessa è Dio stesso, è il suo Spirito, è il Regno di Dio: Dio dona sé stesso perché gli uomini, con la sua forza, la forza del suo Spirito, imparino a costruire già qui in terra il suo Regno, regno di pace, amore, verità e giustizia. E Dio, a chi fa dono del suo Spirito, quindi di questa terra? Chi è il popolo eletto? È una questione di razza? San Paolo, fieramente ebreo, che si sentiva figlio del suo popolo, come del resto Gesù prima di lui, sentiva profonda tristezza e sofferenza vedendo che una parte consistente dei suoi confratelli ebrei non avevano accettato Gesù come il Cristo, convinto, però, che Dio non mai avrebbe abbandonato il suo popolo nell’infedeltà e che, quando tutti i pagani si saranno convertiti, anche Israele avrebbe accolto il Vangelo. E a noi viene da chiederci: se mai questo dovesse accadere, quanto dovremo aspettare, considerando che buona parte del mondo, non solo Israele, vive lontana dal vangelo, non lo conosce, e che tante sono le defezioni anche tra gli stessi cristiani? In realtà, l’elezione di Israele ha un valore simbolico, che nasce dal fatto che, originariamente, Israele era un popolo di nomadi, stranieri, profughi, poveracci che continuavano a girare senza trovar terra. Vuol dire, cioè, che Dio elegge, cioè, è sempre dalla parte di tutti coloro che sono gli scarti, i più poveri, i più miseri, come poi dimostrerà Gesù. E il compito, dunque, di Israele e, oggi, della Chiesa, di noi battezzati, è precisamente quello di annunciare a tutti, con i fatti prima di tutto, questo smisurato amore di Dio. Quell’amore che celebriamo in ogni eucaristia e di cui tra poco ci nutriamo.