DOMENICA CHE PRECEDE IL MARTIRIO
Questa domenica è di transizione tra la prima parte del tempo dopo Pentecoste e la seconda che inizia domenica prossima, che è il tempo dopo il martirio di San Giovanni Battista, festa liturgica che si celebra giovedì prossimo, per cui oggi è la domenica che precede il martirio di San Giovanni Battista.
Questo
giustifica anche la scelta di farci ascoltare la pagina del libro dei Maccabei,
uno degli ultimi libri dell’Antico Testamento che si riferisce all’epoca in cui
in Israele c’era la dominazione dei greci che imponevano la loro cultura e
religione. I Maccabei furono i fratelli che guidarono la resistenza, un po’
come dei patrioti, e subirono il martirio pur di non rinnegare la loro fede
nell’unico Dio. Il martire, in generale, è chi accetta di essere ucciso lui,
pur di non rinnegare la sua fede, quale che sia la sua fede, o di dare la sua
vita al posto di un altro. Il pensiero corre immediatamente a tutti i cristiani
che ancora oggi in tante parti del mondo dove non c’è la libertà religiosa
subiscono la persecuzione. Non sono certo martiri i terroristi che, invece, proprio
nel nome di Dio, fanno saltare per aria se stessi e gli altri. La domanda che
viene spontaneo porsi è: noi per chi o per che cosa saremo disposti a morire? Ma
senza arrivare ad essere uccisi, noi viviamo in una società dove la
persecuzione è sottile, dove non rischiamo la vita, però si è tentati a nascondersi
e a non testimoniare la propria fede per paura di essere giudicati male, o
esclusi, o di sentirci mosche bianche o pecore nere, dei babbei o degli idioti.
Gesù nella pagina di vangelo di oggi è perentorio: chiunque mi riconoscerà
davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei
cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò. Di
fatto, non è vero perché, quando Pietro lo rinnegò, Gesù lo perdonò, ma questa
frase, in realtà, non è una minaccia, ma una constatazione molto logica: se io
rinnego con la mia vita di essere un discepolo di Gesù, Gesù stesso riconosce
che io non sono suo discepolo. Qualcuno potrebbe dire: non è facile, oggi,
essere cristiano. Non è vero: non è mai stato facile essere discepolo di Gesù,
e sono proprio le prove che mettono in luce ciò in cui uno dice di credere,
perciò ben vengano le prove. Ma perché non è facile essere cristiani? Perché la
proposta di Gesù, la strada che propone per la salvezza, che è la gioia già in
questa terra, è totalmente opposta rispetto a quella che propone il mondo. Per
il mondo, la felicità si ottiene pensando a sè stessi, al proprio tornaconto,
mentre Gesù, lo abbiamo appena letto, dice “chi avrà tenuto per sé la propria
vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la
troverà”, dove, attenzione bene, perdere la vita per lui significa essere
disposti come lui a vivere nella logica del dono e del servizio. E chi accetta
di vivere così, va contro la logica del mondo, e viene considerato un babbeo. Per
questo la sua parola è come una spada. Gesù dice “non sono venuto a portare pace
sulla terra ma spada”. Cosa significa? La spada a cui si riferisce è la sua
parola, una parola che, quando arriva, crea divisione tra chi la accoglie e chi
non la accoglie, e questa divisione può accadere sia all’interno della società,
ma anche, soprattutto a quei tempi, quando i primi cristiani che si
convertivano provenivano da famiglie pagane, all’interno delle famiglie stesse:
nemici dell’uomo saranno quelli della sua stessa casa. Anche l’altra
espressione usata da Gesù che non è degno di lui chi ama un familiare più di
lui vuol dire che se uno si dichiara suo discepolo e si ritrova familiari che
gli vanno contro, deve essere disposto a non starsene zitto, ma a testimoniare
la sua fede. E questo fa capire anche il senso dell’altra frase, quando Gesù
dice che non è degno di lui chi non è disposto a prendere la propria croce e a
seguirlo. Una frase che, normalmente, non è capita, come se Gesù stesse dicendo
bisogna rassegnarsi di fronte ai dolori che capitano nella vita e sopportarli.
Niente di tutto questo. A quel tempo, chi portava la croce era un condannato a
morte perché giudicato maledetto da Dio e reietto della società, e la gente era
autorizzata a insultarlo e malmenarlo. Per cui, quando Gesù dice che il suo
discepolo deve essere disposto a portare la croce, sta dicendo che deve essere
disposto ad essere considerato un babbeo da tutti gli altri. Non è un caso che
io abbia ripetuto più volte proprio il termine babbeo. Sapete perché? Perché,
purtroppo, nei nostri dialetti lombardi, quando vuoi dare a qualcuno del babbeo
o dell’idiota, gli si dice: te set propri un martur, cioè un martire. Ho
scoperto che questo modo di dire deriva dal fatto che i primi cristiani,
disposti a morire pur di non rinnegare la propria fede, erano considerati idioti
dai pagani, per cui questo termine cominciò ad essere usato proprio per sbeffeggiare
qualcuno. Perciò, se qualcuno mi desse del martur, non perché sono scemo, ma
perché seguo Cristo, dovrei esserne fiero, perché ciò che è sapienza di Dio è
giudicata stoltezza dal mondo, e vuol dire che io sto seguendo davvero il
vangelo. La parola “martire” significa testimone, testimone dell’amore di Dio,
quindi, in questo senso, tutti i discepoli di Gesù sono chiamati al martirio,
cioè a testimoniare coi fatti l’amore di Dio, anche a costo di essere
considerati babbei. E Gesù aggiunge che, chi vive così, avrà una ricompensa.
Non si tratta di un premio in paradiso: la ricompensa è che si diventa come
lui, si diventa come Dio, si realizza la propria umanità. Altrimenti, perché mai
dovrei seguire Gesù se questo non fosse conveniente, fosse da babbei, appunto,
cioè se non riconoscessi, nella sua parola, la via che porta alla pienezza
della vita? Ed è proprio qui che si capisce anche un’ultima espressione di
questa pagina di Vangelo, quando Gesù dice: “non abbiate paura di quelli che
uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura
piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il
corpo”. La Geenna non è l’inferno, ma era la discarica di Gerusalemme dove
ardeva perennemente il fuoco perché venivano bruciati i rifiuti. Bruciare nel
fuoco della Geenna era un modo di dire per indicare che c’è qualcuno o qualcosa
che può far diventare gli uomini come immondizie che servono solo per essere
bruciate, e questo qualcuno, capace di rovinare la nostra esistenza, nel
vangelo di Matteo è il dio denaro, il dio del potere, dell’egoismo, della
sopraffazione, della violenza, del pensare solo a sé, ai propri interessi.
Ebbene, per Gesù, chi vive servendo questo dio, non è più un uomo, ma è
spazzatura, perché l’umanità di una persona si realizza non con la
sopraffazione e col possesso, ma facendo esattamente il contrario. Ecco cos’è
il martirio cristiano. E dunque: siamo disposti ad essere considerati dei
martur?