domenica 4 agosto 2024

4/08/24 XI DOMENICA DOPO PENTECOSTE (ANNO B)

Nelle domeniche dopo Pentecoste, tipiche del nostro rito Ambrosiano, il Vangelo e la pagina di San Paolo sono scelte a partire dalla prima lettura, e ogni domenica, la prima lettura presenta, in ordine 

cronologico, un avvenimento della storia di Israele preso dalle pagine dell’Antico Testamento. Quello di oggi riguarda un episodio legato al profeta Elia che visse 900 anni prima di Cristo, nell’epoca della monarchia, quando il regno di Israele, alla morte del re Salomone, si divise in due, il regno del nord e del sud, un tempo di declino sociale, morale e religioso. È l’epoca dei profeti, che richiamavano i re e il popolo alla conversione, e che, regolarmente, non venivano ascoltati ed erano perseguitati dai re e dai capi religiosi. Ed è questo il collegamento con la pagina del vangelo. Gesù racconta la parabola dei vignaioli omicidi riferendosi proprio ai capi di Israele che si stavano comportando con lui esattamente come i loro padri che, nel corso della storia, avevano combattuto e messo a tacere i profeti: “perciò io vi dico, conclude Gesù, che a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti”. E’ da qui che nasce il ragionamento un po’ contorto di san Paolo che potremmo sintetizzare così: Dio ha permesso che il suo popolo rifiutasse Gesù e i profeti prima di lui, perché, in questo modo, la sua grazia potesse diffondersi su tutti gli altri popoli, e così Israele, vedendo l’amore smisurato di Dio non solo per il suo popolo, ma per tutti, vinto dalla gelosia, possa un giorno convertirsi. Questo, secondo me, è il tema principale che collega le letture di questa domenica, ma è un tema molto complesso, difficile e delicato, che tocca il rapporto tra ebraismo e cristianesimo, un tema più da catechesi che da omelia. Collegato a questo, ce n’è, invece, un altro, molto attuale ed esistenziale, che nasce proprio dall’episodio pittoresco legato al profeta Elia. Il re Acab, che governava le tribù del Nord, aveva sposato Gezabele, una donna fenicia, e così gli ebrei subirono le influenze religiose dei popoli pagani, ed iniziarono ad adorare l’unico Dio di Israele rappresentandolo come un toro, chiamato Baal, il dio della fecondità, seguendo i culti dei sacerdoti di queste religioni. Oggi non abbiamo gli idoli che hanno il volto dei totem di quei popoli, ma ne abbiamo altri. Molti dicono di essere cristiani, chiedono i sacramenti, sono presenti in grandi occasioni, poi però seguono la mentalità comune coi suoi idoli molto distanti dal vangelo: per molti, fonte di luce per il vivere quotidiano non è la Parola di Dio, ma gli oroscopi; ci si affida di più al gratta e vinci che non alla provvidenza; i nuovi maestri della morale sono gli influencer, non sicuramente Gesù; la voce del Papa e della Chiesa è solo un’opinione tra le tante. Viviamo un’epoca che, non a caso, è definita post-cristiana. Ebbene, come reagire a questa situazione? Elia propone una sfida singolare, al re e a tutto il popolo: «Fino a quando salterete da una parte all’altra? (cioè, fino a quando starete col piede in due scarpe?) Se il Signore è Dio, seguitelo! Se invece lo è Baal, seguite lui!». Il popolo non gli rispose nulla. Anche noi siamo raggiunti dalla domanda provocatoria di Elia: fino a quando terrete il piede in due scarpe? Quale Dio volete seguire? E siamo tenuti a dare una risposta. Le risposte possono essere diverse. Si potrebbe reagire, come di fatto accade, seguendo la logica del relativismo, per cui una verità vale l’altra, e questo non va bene. Semmai, come ha insegnato il Vaticano II, i semi di verità sono sparsi ovunque, occorre vagliarli bene alla luce del vangelo e trattenere ciò che di buono viene da ogni parte, perché tutti abbiamo da imparare da tutti, come ripete il Papa. Questo si. Oppure si può reagire in modo opposto, con quella che potremmo chiamare una logica tradizionalista, fondamentalista, talebana, che, di fatto, è la risposta di Elia. Elia pensava Dio in termini di forza e violenza. Infatti, la sfida che lancia ai sacerdoti di Baal era che il vero Dio sarebbe stato quello che avrebbe incenerito l’olocausto. Pensava a un Dio che punisce e distrugge chi non lo onora o non crede in lui. Infatti, appena dopo aver vinto la sfida, pensa bene di far sgozzare tutti i 450 sacerdoti di Baal. Per amore di Dio. Elia, in sostanza, era un talebano, un fondamentalista, né più né meno dei fondamentalisti ebrei o palestinesi che, proprio per amore di Dio, compiono le più grandi efferatezze, convinti che questa sia la volontà di Dio, e perciò lo fanno con ancora più gusto e convinzione, sentendosi non degli assassini, ma dei martiri, cioè testimoni della verità. Ancora oggi, i massacri che accadono tra ebrei e palestinesi e arabi, al di là dei motivi politici ed economici, sono fatti nel nome e per amore di Dio, chiamato in modi diversi, ma uguale nella sostanza, cioè un Dio mostro. Per fortuna, un Dio sbagliato, che non esiste, se non nella mente bacata di chi continua a costruirsi il proprio Dio fatto ad immagine e somiglianza dei propri deliri di onnipotenza. Scriveva padre Turoldo: “Credere in un Dio sbagliato è il più grande disastro che possa capitare”. Ecco, la logica perseguita da Elia e da tanti come lui, nasce proprio dall’errore di credere di essere il detentore della verità, il difensore della verità. Elia agisce per amore della verità. Peccato fosse una verità sbagliata. Dio è questo? Solo guardando Gesù possiamo scoprire il vero volto di Dio. Gesù insegnerà non l’amore per la verità, ma la verità dell’amore, cioè che tutto ciò che va contro il bene dell’uomo, è contro la volontà di Dio, perché Dio è Padre di tutti, è solo fonte di vita per tutti, non di morte, e che l’unico modo per onorare la sua volontà è imparare ad amare gli altri col suo stesso amore. E’ vero che anche Gesù, nella parabola, usa parole molto violente nei confronti di coloro che hanno rifiutato i profeti e vogliono metterlo a morte, ma quelle di Gesù non sono minacce, e vogliono indicare, anche se ora non c’è tempo per spiegarle, che il destino di chi agisce nel nome di un Dio mostruoso sarà quello di andare incontro al totale fallimento della propria esistenza. E dunque, noi, chiamati certamente a non tenere il piede in due scarpe, a far si, cioè, che la nostra fede incida davvero nella nostra vita, prima ancora dobbiamo domandarci: ma qual è il Dio nel quale credo?