Nelle domeniche dopo l’Epifania, se escludiamo le ultime due in cui abbiamo celebrato la Festa della Sacra Famiglia e della Presentazione di Gesù al tempio, la liturgia ci fa ascoltare brani di vangelo che raccontano alcuni prodigi operati da Gesù, quelli che normalmente vengono chiamati miracoli. In realtà,
gli evangelisti non li chiamano miracoli, ma segni, cioè qualcosa che rimanda ad altro, quindi qualcosa non di straordinario accaduto a qualche fortunato, ma qualcosa che Dio continua a compiere sempre. Però, bisogna leggerli attentamente, interpretando ogni particolare. Oggi abbiamo ascoltato il racconto della guarigione del servo del centurione romano che era paralizzato. Nella Bibbia, ogni malattia non è mai qualcosa solo esteriore, ma il segno di una patologia interiore, spirituale o psicologica. Paralizzato può essere chi vive momenti di forte depressione, sfiducia, scoraggiamento per situazioni di cui non si riescono a vedere vie d’uscita e che portano a sentirsi bloccati, incapaci di agire; oppure chi vive ostinandosi nelle proprie idee che gli impediscono di scorgere le novità, e guarda sempre al passato; o, ancora, paralizzato è chi è privato della propria libertà dagli uomini. Come nel caso del servo del centurione. Infatti, un servo chi è? Chi è privo di libertà, uno che può muoversi solo a comando. E ad essere servo non è solo il paralitico, ma anche il centurione, come lui stesso ammette: anch’io sono un subalterno, perché faccio ciò che mi comanda chi è sopra di me. Attenzione bene: Gesù ci ha insegnato a farci servi gli uni degli altri, a metterci a servizio gli uni degli altri, ma un conto è scegliere liberamente di mettersi a servizio di qualcuno, un altro è venire trattati come servi. Ebbene, il centurione si rivolge con fede a Gesù, certamente perché aveva sentito parlare delle guarigioni che Gesù aveva operato, ma per andare da Gesù dovette superare una sorta di vergogna e imbarazzo non da poco, perché Gesù era un ebreo, e lui un usurpatore, un nemico del popolo ebraico, però aveva sentito che Gesù, come scrive san Paolo nell’epistola, non faceva distinzione tra le persone, e faceva del bene a tutti, mostrando che Dio non esclude nessun uomo dal suo amore, non guarda la razza o i meriti delle persone, ma i loro bisogni. E’ la fede in un Dio così a infondere coraggio al centurione, a smuoverlo dalla propria paralisi, e ad andare da Gesù ad intercedere per il proprio servo. Infatti, per giustificare la sua richiesta, davanti a Gesù riconosce che, mentre egli usava le parole per comandare i suoi servi e per sottomettere le persone, per paralizzarle, di contro c’è un’altra Parola, quella di Gesù, che non sottomette nessuno, ma libera le persone. Ecco perché dice a Gesù: basta la tua Parola perché il mio servo venga guarito, senza bisogno che tu venga a casa mia. Al che Gesù loda la sua fede e gli dice: vai, avvenga per te come hai creduto. Cioè: hai creduto nella mia Parola che ti dice che Dio che accoglie tutti gli uomini come suoi figli amati, senza guardare se sono belli, brutti, buoni, cattivi, ebrei, romani o di altri popoli, perché Dio è il Signore di tutti i popoli della terra? Hai capito che, chi crede, chi ha fede nelle Parole che io dico, si sente amato da Dio, viene guarito dall’egoismo e diventa capace di amare gli altri trattandoli come amici, e non come servi? Il tuo servo è paralizzato perché tu lo tratti come un servo che deve ubbidirti, non come un amico. Allora, se hai creduto in queste cose, se questa è la tua FEDE, avvenga anche per te la stessa cosa, dimostralo! In che modo? Adesso vai tu dal tuo servo a fare con lui quello che io ho fatto con te, liberalo da una situazione che lo tiene paralizzato, sottomesso, non trattarlo più da servo, ma da fratello, così non sarà più paralizzato. In quell’istante il suo servo fu guarito. Notate: non è Gesù a compiere la guarigione, ma la fede del centurione, una fede che diventa operativa. Raccontando questo prodigio, l’evangelista vuole insegnare che la fede non è un dono che Dio fa a qualcuno si e a qualcuno no, ma è fidarsi della Parola di Gesù, dargli credito e metterla in pratica. Che la fede non è qualcosa di magico o di aleatorio, ma di molto concreto che cambia la vita. La fede cristiana non è chiedere a Dio di fare lui quello che dovremmo fare noi. I miracoli siamo noi a farli, con la forza dell’amore di Dio, perché quando impariamo ad amare gli altri come Gesù, questo è davvero un miracolo.