Come racconta l’evangelista, Gesù bambino viene portato al Tempio perché la Legge ebraica prevedeva che i primogeniti venissero offerti, presentati, cioè, consacrati, al Signore, e questo era un segno per dire che quel bambino è un dono di Dio e che appartiene a Dio. Questa è una cosa bellissima: presentare a
Dio un figlio e lasciarlo a Dio vuol dire riconoscere che un figlio non è proprietà dei genitori, e permettere così che sia Dio ad agire nella vita di una persona. E tutti noi siamo figli di questo Dio. Col Battesimo, tutti siamo stati presentati, consacrati al Signore, cioè, apparteniamo a lui: vuol dire che lo scopo della nostra vita è permettere al Signore di agire col suo Spirito dentro di noi, per diventare suoi figli assomigliandogli nell’amore, quale che sia il percorso di vita che uno intraprende. Com’è importante, dunque, che ogni genitore cristiano si chieda se è così che ha educato o educa i propri figli, e che ogni figlio (cioè, tutti noi, perché non tutti siamo genitori, ma tutti siamo figli) si domandi se è questo lo scopo della propria vita. La festa di oggi, poi, giustifica il fatto che, questa sia anche la “Giornata mondiale della vita consacrata”: come Gesù bambino viene offerto al Signore, così ci sono uomini e donne che si sono offerti a Dio scegliendo una vita di speciale consacrazione all’interno di un ordine religioso, insomma, quelli che noi chiamiamo i frati e le suore. Si chiama consacrazione “speciale”, non perché, come spesso si pensa, questi consacrati siano più “speciali” o più “vicini a Dio” di tutti gli altri battezzati, ma perché hanno fatto i voti di povertà, castità e obbedienza. Questi voti sono un dono per tutti gli altri battezzati, cioè per tutti noi, perché non dimentichiamo tutti siamo chiamati a vivere queste virtù, naturalmente in un modo diverso da loro. La povertà è un richiamo per tutti a cercare la gioia non in quello che si possiede, ma che si dona; la castità è un richiamo a non confondere l’amore col possesso della persona che si dice di amare; l’obbedienza richiama tutti ad obbedire alla Parola del Signore, e non alle ideologie del mondo, riconoscendo, come dice Simeone quando prende in braccio Gesù bambino, che solo lui è davvero la “luce” con la quale Dio rivela la sua salvezza a tutte le genti, a tutti i popoli. Dire che Gesù è “luce” vuol dire che è lui a farci vedere la realtà con gli occhi di Dio: di questo sono simbolo le candele che sono state benedette. Cosa vuol dire imparare a vedere la realtà con gli occhi di Dio? Le stesse cose, ognuno le vede a seconda della luce da cui si fa illuminare, a seconda degli occhiali che porta. Noi siamo chiamati a portare gli occhiali di Dio, cioè a vedere le cose con gli occhi di Gesù, ma questo è possibile man mano che impariamo ad ascoltare, a comprendere e a lasciarci illuminare e guidare dalla sua Parola. Infine, oggi si celebra anche la “Giornata nazionale per la Vita” che, ogni anno, ci invita a guardare la vita umana, dal suo nascere al suo morire, proprio con questi occhiali, gli occhiali di Dio, una giornata che, quest’anno accade nel contesto del Giubileo, e quindi nel segno della speranza. I Vescovi, nel messaggio scritto in questa occasione, denunciano la strage degli innocenti, cioè di tanti bambini, a causa delle guerre, delle migrazioni, delle malattie e della fame, senza dimenticare quelli cui è impedito di nascere attraverso la pratica dell’aborto, considerato come un diritto. Al contrario, pensate che i centri di aiuto alla vita, i consultori cattolici sparsi su tutto il territorio italiano e che vengono sostenuti dalle offerte di chi si mette gli occhiali di Dio, in 50 anni hanno aiutato a far nascere oltre 280.000 bambini, che purtroppo sono un numero molto basso rispetto ai milioni di bambini che, invece, ogni anno vengono volutamente abortiti. Un orribile paradosso se consideriamo che, nel frattempo, da un lato c’è una forte denatalità che ha conseguenze sociali ed economiche non indifferenti e, dall’altro, ci sono genitori che non possono avere figli e che, però, vogliono diventare genitori a qualsiasi costo, con metodi inumani, ritenendo che i figli non siano un dono, ma un diritto. Io credo che ognuno di noi oggi sia stimolato a domandarsi se, su questi temi, come su tanti altri, il nostro giudizio sia espresso indossando gli occhiali del Dio della vita in cui noi diciamo di credere. Infine, vorrei concludere queste riflessioni, tornando al cuore della festa della Presentazione di Gesù al tempio, facendovi notare, anche qui, uno strano paradosso, che è questo: se c’era un bambino che sicuramente non aveva bisogno di essere consacrato a Dio, questi era proprio Gesù. La riprova è che, quando i suoi genitori lo portano al Tempio, non arriva un sacerdote ad accoglierli (era ai sacerdoti che i bambini venivano consegnati perché li offrissero al Signore), ma arriva un profeta, Simeone, che prende Gesù tra le braccia riconoscendo che quel bambino è il Cristo mandato da Dio. Vuol dire che, con Gesù, le cose si ribaltano: è Dio, prima di tutto, che si consacra a noi, cioè che si dona a noi, che si fa prendere in braccio, per essere accolto, appunto, come luce di salvezza, come senso della vita. Che, poi, non è altro che ciò che celebriamo in ogni eucaristia.