Ci avviamo alla conclusione del tempo dopo l’Epifania che ci conduce tra due domeniche a iniziare la Quaresima. Come ripete sempre l’Arcivescovo, “dobbiamo imparare a lasciarci educare nel cammino di fede dai tempi dell’anno liturgico che ci fanno rivivere i misteri della vita di Cristo affinché ciascuno di
noi diventi pian piano la dimora in cui abita la potenza di Cristo”. I vangeli delle domeniche di questo tempo dopo l’Epifania avevano lo scopo di aiutarci a contemplare in che modo Cristo, nella sua carne, ha manifestato (Epifania vuol dire manifestazione) il volto di Dio che poi si manifesterà in pienezza sulla croce, nella Pasqua, che è il culmine di tutto l’anno liturgico. Siamo partiti dalla visita dei Magi, che rappresentano tutti i popoli della terra e che, riconoscendo la divinità di Gesù bambino, manifestano che nessun uomo è escluso dal raggio d’azione dell’amore di Dio. Lo hanno testimoniato anche le pagine evangeliche delle ultime due domeniche, quando Gesù agisce in favore di un centurione romano che lo pregava per la guarigione del suo servo e, domenica scorsa, nella purificazione dei lebbrosi, tra cui un samaritano, una categoria di persone che era giudicata esclusa dalla salvezza. Sono icone evangeliche fondamentali, da cui non possiamo prescindere: fintanto che non impariamo a considerare come fratello e come sorella ogni uomo e ogni donna, quale che sia la sua provenienza, la sua etnia, la sua religione, la sua situazione, i suoi bisogni, non saremo mai veri discepoli di Cristo, non saremo mai manifestazioni, epifanie del volto di Dio. E questo vale anche per chi, a causa del suo peccato, noi dovessimo giudicarlo, dall’alto di un piedistallo, come un reietto. Lo dimostrano il brano di Vangelo di oggi e quello che ascolteremo domenica prossima che sarà l’ultima domenica dopo l’Epifania. Domenica prossima incontreremo la figura di Zaccheo, anch’egli un esattore delle tasse, come Levi, il primo protagonista del Vangelo di questa domenica che, non a caso, viene chiamata “domenica della divina clemenza”. Gli esattori delle tasse, chiamati pubblicani, erano ebrei al soldo dei romani, e pertanto giudicati come traditori della patria dai loro confratelli, peccatori all’ennesima potenza, esclusi da ogni possibilità di salverzza. Dall’alto del nostro piedistallo, anche a noi parrebbe impossibile che Dio possa amare quelle categorie di persone che noi aborriamo ed escludiamo per via del loro comportamento, quelle persone che, per usare un’espressione che spesso esce purtroppo dalla bocca anche di tanti cristiani, vorremmo vedere “marcire in galera”. Era così anche ai tempi di Gesù. Gli uomini religiosi del suo tempo erano scandalizzati nel vedere che Gesù non solo avesse chiamato a seguirlo un pubblicano come Levi, ma che addirittura fosse andato a mangiare in casa sua, insieme a tanti altri pubblicani e peccatori, come si legge nella seconda scena di questo episodio del vangelo. Per i benpensanti e per tutti quelli che continuano a ritenere che l’amore di Dio sia un premio per i giusti, il fatto che Gesù amasse frequentare le cattive compagnie continua a restare anche oggi, come allora, uno scandalo. Ma il Dio di Gesù nel quale diciamo di credere è questo. E meno male, perché altrimenti non si salverebbe nessuno, nemmeno noi che siamo qui, anche se nessuno di noi è un criminale. La divina clemenza, invece, come scrive san Paolo, si rivela proprio nel fatto che “Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io” e, aggiunge, è proprio così che Dio ha voluto “dimostrare tutta quanta la sua magnanimità”, perché così “io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna”. E’ solo riconoscendo (come direbbe il papa) che io per primo sono continuamente “misericordiato” dal Signore, che allora posso a mia volta essere epifania dell’amore del Signore verso gli altri. Ed è per questo che siamo ancora una volta invitati alla sua cena: per ricevere ed essere trasformati dal suo amore.