venerdì 7 marzo 2025

9/3/25 I DOMENICA DI QUARESIMA

Ogni anno, la liturgia quaresimale ambrosiana ci propone sempre gli stessi brani di Vangelo che forse, ormai, almeno gli adulti che vengono da sempre a messa, conoscono a memoria, ma che non finiremo mai di approfondire, e infatti lunedì sera iniziamo gli incontri nei quali ci prendiamo un’ora di tempo 

proprio per spiegarli e cercare di capirli meglio. Sono testi che la nostra liturgia ci propone ogni anno perché, fin dai tempi di Sant’Ambrogio, furono scelti per consentire ai catecumeni, cioè a coloro che sceglievano di diventare cristiani, di compiere un cammino di preparazione al Battesimo che avrebbero ricevuto la notte di Pasqua, perché è dalla Pasqua di Gesù che nascono i sacramenti attraverso i quali il Signore risorto continua a farsi carne in noi, per trasformarci, per farci risorgere donandoci la sua grazia: così nacque la Quaresima. Perciò, per noi, che questi sacramenti li abbiamo già ricevuti, la Quaresima è il tempo nel quale riscoprire il significato del nostro Battesimo, quindi per fare il punto della situazione, per domandarci se stiamo vivendo da battezzati, da uomini e donne che chiamano Dio col nome di Padre, vivendo come suoi figli come Gesù, lasciandoci guidare dallo Spirito Santo, e capire quali sono le nostre distanze dal Vangelo, per compiere un cammino di conversione: questo vuol dire prepararci alla Pasqua. Sebbene i testi dei Vangeli quaresimali, di per sé, non parlino del Battesimo, Sant’Ambrogio li scelse perché contengono elementi che possono essere riletti in chiave battesimale. Il testo di oggi, per esempio, è posto sempre all’inizio della Quaresima per richiamare che la scelta di seguire Gesù che conduceva il catecumeno a chiedere il Battesimo, comporta necessariamente la rinuncia al male, a tutto ciò che non è conforme alla legge dell’amore. Nel rito del Battesimo, infatti, viene posta triplice domanda: rinunci a Satana, alle sue opere e seduzioni? Inoltre, questo testo parla dei 40 giorni di Gesù nel deserto, che richiamano i quarant’anni passati nel deserto dal popolo di Israele durante l’Esodo, e quindi è particolarmente adatto per evocare in modo simbolico i 40 giorni della Quaresima come tempo nel quale riscoprire ciò che veramente conta nella vita, ciò che veramente sazia e disseta. E questo è anche il senso del digiuno: verificare se la nostra scelta di essere cristiani, di essere battezzati, nasce dalla scoperta che possiamo fare a meno di tante cose, ma non di Cristo, oppure se abbiamo ridotto la fede ad una spolverata religiosa che si manifesta solo in alcuni riti che si ripetono stancamente e per forza di inerzia, senza però incidere nella vita. Questi, dunque, sono un po’ i motivi per i quali, all’inizio della Quaresima, si legge questo testo evangelico, perché si presta bene per dare il via alla Quaresima e per una rilettura in chiave battesimale, quella che ho cercato di proporvi. Però non basta, perché è un testo molto difficile, che andrebbe spiegato parola per parola per comprenderne tutta la pregnanza, e questo vale ancor di più per i vangeli che verranno proclamati le prossime domeniche i quali, oltretutto, sono lunghissimi. Per questi motivi, come dicevo prima, negli incontri del lunedì cercheremo di approfondire questi vangeli. Detto questo, vorrei concludere leggendovi (e proiettando) alcune domande molto esistenziali che ci propone Papa Francesco, per il quale non smettiamo di pregare, nel suo messaggio all’inizio della Quaresima di quest’anno giubilare. Il Papa rilegge il percorso della Quaresima come un pellegrinaggio, il pellegrinaggio della vita che non ha come meta il cimitero o l’essere ridotti in cenere, ma la risurrezione, e scrive, anzitutto, che si tratta di un pellegrinaggio, di un cammino di speranza che si percorre insieme, e pone alcune domande molto concrete che lascio alla riflessione di ciascuno di noi: Sono veramente in cammino o piuttosto paralizzato, statico, con la paura e la mancanza di speranza, oppure adagiato nella mia zona di comodità? nella nostra vita, nelle nostre famiglie, nei luoghi in cui lavoriamo, nelle comunità parrocchiali o religiose, siamo capaci di camminare con gli altri, di ascoltare, di vincere la tentazione di arroccarci nella nostra autoreferenzialità e di badare soltanto ai nostri bisogni? Infine, scrive: Dobbiamo convertirci alla speranza, alla fiducia in Dio e nella sua grande promessa, la vita eterna. Chiediamoci: ho in me la convinzione che Dio perdona i miei peccati? Oppure mi comporto come se potessi salvarmi da solo? Aspiro alla salvezza e invoco l’aiuto di Dio per accoglierla? Vivo concretamente la speranza che mi aiuta a leggere gli eventi della storia e mi spinge all’impegno per la giustizia, alla fraternità, alla cura della casa comune, facendo in modo che nessuno sia lasciato indietro?