La vigna del Signore è il suo popolo. È questo il ritornello del salmo che oggi abbiamo pregato, ed è il filo che lega le tre pagine della Scrittura che abbiamo ascoltato. Il profeta Isaia ha declamato le parole con le quali Dio canta l’amore per il suo popolo Israele, lo stesso amore col quale un vignaiolo si prende
cura della sua vigna. Purtroppo, questa vigna ha prodotto frutti acerbi. Dio attendeva giustizia, e ha trovato spargimento di sangue; attendeva rettitudine, e ha udito grida di oppressi. Queste parole risuonano drammaticamente attuali: basta guardare a ciò che accade oggi tra Israele e Palestina. Ma queste parole riguardano anche noi, perché la vigna del Signore si estende fino ai confini della terra, e la Chiesa, in particolare, cioè noi, è la vigna che dovrebbe produrre le migliori primizie. Dio attende che dalle nostre comunità nascano frutti di giustizia, non acini acerbi di indifferenza o di divisione. Infatti, nel Vangelo, Gesù racconta la parabola dei due figli chiamati a lavorare nella vigna: uno dice “no”, poi ci va, mentre l’altro “sì, Signore”, e poi non ci va. Notate: non lo chiama “padre”, ma “signore”. Per lui, il padre è un padrone a cui obbedire, anche se poi non obbedisce. Sono due gli insegnamenti di questa parabola. Che Dio non dobbiamo vederlo come un padrone a cui obbedire, ma come un padre a cui assomigliare nell’amore. Io penso che, quando viviamo il rapporto con Dio con angoscia o pesantezza, e facciamo cose, anche belle, per dovere, ma senza gioia; oppure, quando qualcuno si sente ai margini, fa il lamentoso, non si lascia coinvolgere, fa da spettatore, è perché si pensa a Dio non come fonte di gioia e di vita, ma come un padrone e giudice. Ecco perché Gesù prosegue dicendo “state attenti perché i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio, perché hanno creduto nell’amore di Dio e si sono convertiti”. Questa verità così importante, san Paolo la spiega, come sempre, con un linguaggio contorto, che però si riassume quando dice: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me”. Cioè, quando, finalmente, io che ero un peccatore, mi sono sentito amato da Dio, sono rinato, sono diventato una persona nuova. Così noi: non siamo chiamati a una fede di regole o di facciata, ma a una vita trasformata da Cristo, che ci ama e ha dato se stesso per noi. E allora: che frutti porterà la nostra vigna quest’anno? Con l’inizio del nuovo anno pastorale, anche noi siamo chiamati a fare sul serio. Il nostro Arcivescovo mons. Mario Delpini, nella nuova lettera pastorale, ci dice: le comunità cristiane non devono chiudersi in se stesse, ma devono testimoniare l’amore di Dio, qui, tra la gente, nel mondo. Nessuno escluso. Non spettatori, ma protagonisti. Ecco perché lo slogan che ci accompagnerà per tutto l’anno è molto chiaro: “Fatti avanti!”. Lo scrivo anche sul notiziario. Fatti avanti a Messa: non restare in fondo, siediti davanti. Fatti avanti nella vita della comunità: non dire “qualcun altro ci penserà”. No, tocca anche a te! Fatti avanti nelle relazioni: non fermarti alle formalità, ma cerca legami veri, fraterni, capaci di scaldare il cuore. Impariamo a salutarci, ad accoglierci, a conoscerci, a chiedere come stai, hai bisogno. Quando sono venuto qui (ora inizio il terzo anno), tante persone mi dicevano: “noi di Lecco siamo un po’ orsi”. Ecco, io dico di no. Un orso può essere solo un orso, non può fare altro, come tutti gli animali, ma questo non vale per noi. Se mi comporto da orso è perché sono io che ho deciso di non cambiare. Io sogno che l’inizio dell’anno con la nostra Festa pastorale non sia solo pranzi, cene, serate, corse, giochi, ma un’occasione per gustare la bellezza di vivere insieme per tutto l’anno, contenti di lavorare nella vigna del Signore. Dio ci ha scelti, ci ha piantati, ci ha amati. Ora ci chiede frutti buoni. Non di essere acini acerbi, non di essere orsi, non ci chiede parole vuote, non ci chiede di essere spettatori, ma tutti corresponsabili, appassionati, vivi. Allora, ascoltiamo la sua voce del Signore che chiama ciascuno per nome, e rispondiamogli: “Eccomi, Signore. Mi faccio avanti!”