Nelle domeniche che seguono la memoria del martirio di san Giovanni Battista, le letture ci guidano, passo dopo passo, alla scoperta del volto di Gesù. Oggi il Vangelo ce lo mostra come il “pane vivo disceso dal cielo”. È interessante notare che proprio Giovanni, l’evangelista che non racconta
l’istituzione dell’Eucaristia durante l’ultima cena, è invece quello che più di tutti ne svela il significato profondo, e lo fa nel capitolo sesto del suo Vangelo, che oggi abbiamo ascoltato nei suoi versetti finali. Pensiamo un attimo: quante volte ci facciamo idee sbagliate su Dio! Lo immaginiamo come un sovrano severo che pretende sacrifici, obbedienza cieca, sottomissione. Un Dio che chiede, che assorbe, che toglie. Ma il Vangelo ci dice l’opposto: il vero Dio non pretende nulla, si dona. Non divora, ma si lascia mangiare. È il Dio che offre la propria vita come pane, perché l’uomo viva. Questa intuizione era già presente nell’Antico Testamento, nel libro dei Proverbi: «Mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato». Gesù porta a compimento queste parole, esprimendole con termini forti, persino scandalosi: «Se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue, non avete in voi la vita». Con Lui Dio si è fatto così vicino da volersi fondere con noi, per donarci tutte le sue energie, la sua vita stessa, la sua forza d’amore. Ecco chi è Dio: dono. Pane spezzato. Non è un caso che Gesù nasca a Betlemme, “casa del pane”, e venga deposto in una mangiatoia, perché è nutrimento per ogni uomo e donna. Ma allora chi siamo noi? Siamo creature amate senza condizioni. Non dobbiamo dimostrare nulla, non dobbiamo guadagnarci l’amore di Dio, perché Lui ci ama così come siamo. A noi è chiesto solo di nutrirci del suo amore, per diventare a nostra volta pane che nutre. Eppure, lo sappiamo, quante volte invece di essere agnelli diventiamo lupi! Basta guardare al nostro mondo: fratelli che si combattono, popoli che si sbranano a vicenda. Oggi pensiamo al dramma di Gaza, alla guerra che devasta l’Ucraina, e a tanti altri conflitti dimenticati: situazioni dove uomini e donne, invece di offrirsi come pane, si divorano come nemici. San Paolo, nella lettera ai Corinzi, ci ricorda che chi si nutre del pane di Cristo diventa un solo corpo con Lui. Questo significa che non posso ricevere l’Eucaristia e poi ignorare il fratello, voltarmi dall’altra parte davanti alle sue ferite, alle sue sofferenze. Nutrirmi di Cristo significa accettare di vivere la comunione, di trasformarmi anch’io in pane spezzato per gli altri. E questa non è una fatica da compiere con le sole nostre forze: l’Eucaristia è la medicina contro il nostro egoismo. È la forza che ci libera dall’essere “cannibali”, dall’usare gli altri per i nostri scopi, per renderci invece capaci di amare. Diversamente, anche la più devota adorazione rischia di trasformarsi in illusione. Dice san Paolo che, se non entriamo davvero nella logica di Cristo, rischiamo di partecipare non alla mensa del Signore, ma a quella dei demoni. Cosa significa? Che se cerchiamo Dio solo per ottenere salute, successo, benessere, allora non stiamo adorando Lui, ma un idolo. Non ci nutriamo del suo Spirito, ma assimiliamo le ideologie del mondo: violenza, potere, indifferenza. E allora sì, si può fare la comunione ogni giorno e restare sempre gli stessi. Ma se invece ci lasciamo trasformare da quel Pane, allora da chiesa si esce diversi, più simili a Cristo, capaci di portare nel mondo — anche in mezzo alle guerre e ai conflitti che lo lacerano — il segno di un amore che non si arrende.