domenica 15 febbraio 2015

ULTIMA DOMENICA DOPO L’EPIFANIA

Se i vangeli delle domeniche dopo l’Epifania ci hanno manifestato chi è il Dio che Gesù ci ha rivelato, i vangeli di queste due ultime domeniche ci manifestano due facce della stessa medaglia: la divina clemenza del Signore che abbiamo contemplato domenica scorsa e che si concretizza nel suo perdono, e oggi è la domenica detta del perdono, perché il modo col quale Dio ci ama è
perdonandoci. Noi vorremmo che ci amasse proteggendoci da ogni male, togliendoci le croci e non facendoci morire, ma se facesse così toglierebbe la libertà a noi e a tutto il creato. Siccome il peccato è ciò che ci separa da Lui e solo stando uniti a Lui noi possiamo affrontare la vita in modo giusto e
quindi essere liberati dall’angoscia che abbiamo di fronte al dolore e alla morte, ecco che l’unico modo con il quale Dio ci può amare senza toglierci la libertà, è quello di continuare a perdonarci quando ci allontaniamo da Lui, e per questo si è fatto uomo e ha condiviso in tutto la nostra esistenza, precisamente per farci capire che Dio è in noi col suo Spirito che ci da la forza di vivere ogni evento della vita come Gesù. Bellissime a riguardo sono le parole del profeta Isaia ascoltate nella lettura dove Dio viene descritto come uno Sposo che non ripudia mai la sua sposa che lo ha abbandonato, ma la cerca e la perdona sempre, e del resto tutti i libri dell’AT non fanno altro che parlare dell’amore
di Dio che fa alleanza con il suo popolo e del popolo che continua a romperla, per cui in questa contrastata storia d’amore spesso Dio viene descritto in modo passionale, come uno che si arrabbia, si ingelosisce, castiga, sembra cattivo, come un genitore quando si arrabbia e castiga suo figlio. Per togliere ogni dubbio sulle intenzioni di Dio e mostrarci che il suo amore è per sempre e comunque, a prescindere dal nostro peccato, Dio si fa uomo in Gesù arrivando a farsi ammazzare sulla croce perdonando i suoi uccisori. E se io capisco questa cosa,  e cioè quanto Dio ama me che non sono giusto, ecco che a mia volta ricevo la forza di fare lo stesso verso gli altri. Dice bene san Paolo nell’epistola di oggi: per questo Cristo è morto ed è tornato alla vita, e allora tu perché giudichi e disprezzi il tuo fratello? Piuttosto cerca di non essere di inciampo per lui, e io sono di inciampo al mio fratello quando non gli faccio capire che Dio è Padre che ama, e non glielo faccio capire precisamente quando lo odio, non lo perdono, lo giudico e lo disprezzo. E così veniamo al vangelo di oggi che in pratica ridice in altro modo le cose che già diceva il vangelo di domenica scorsa che parlava di un fariseo che si riteneva giusto e disprezzava la peccatrice ai piedi di Gesù. Qui abbiamo un fariseo che si sente giusto e disprezza il pubblicano. Ora, cerchiamo di capire cosa vuol dire essere giusti. Essere giusti vuol dire fare la volontà di Dio, e la volontà di Dio è amare gli altri come fratelli. Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà vuol dire questo. Quel fariseo che prega ringraziando Dio perché lui era giusto, quindi perfetto, disprezzando tutti gli altri che non erano come lui, diventa così perfettamente ingiusto. Come mai non se ne rende conto? Come fa a pensare di essere giusto se disprezza gli altri? Dio ha dato le sue leggi, i suoi comandamenti, che hanno lo scopo di indicare la strada per vivere nell’amore, ma il fariseo, invece di capire lo scopo di queste leggi, si limita a rispettarle, anzi, fa anche più di quanto richiesto, e siccome le ha rispettate, si crede giusto. Pensa che Dio sia un tiranno che ci vuole schiavi e si diverte a metterci alla prova: se facciamo quello che lui ci ordina, allora ci premia, se no ci manda all’inferno. Dimentica che le leggi che ci ha dato non sono fini a se stesse, ma per imparare ad amare.
Per cui, ad esempio, digiuna più del dovuto per sentirsi ancor più meritevole, come se Dio si divertisse a volerci affamare, quando invece Dio ci ha fatto per gioire della vita, e si gioisce della vita se si ama, e allora la legge del digiuno è un modo per imparare a non mangiare gli altri. Applicata a noi, non capire questa cosa ci fa sentire in colpa se il venerdì abbiamo mangiato la carne e ci fa sentire a posto se non la abbiamo mangiata, mentre ci sentiamo tranquilli se invece abbiamo buttato via i soldi pensando solo a noi stessi o se ci comportiamo come lupi verso i fratelli. La stessa cosa applicatela a tutte le pratiche religiose: ci sentiamo giusti se le abbiamo osservate, e invece si è giusti se queste sono servite per aiutarci ad amare di più. Non sono giusto perché ho fatto il sacrificio di dire tre rosari al giorno e di partecipare a tre messe quotidiane, così Dio è felice, ma Dio è felice se io sono felice, e io sono felice se amo Dio e i fratelli, e quindi messa, rosario o qualunque preghiera servono a me, non a Dio, per amare Dio e i fratelli, allora si che sono giusto. Per cui, io prego non per fare un piacere a Dio, ma per chiedere al Padre di vivere con lo Spirito di Gesù, di essere come Gesù, di sentire cioè che Dio è un padre che mi ama, che tutto mi è stato donato, che io e gli altri siamo figli amati, che allora gli altri sono miei fratelli, per scoprire che lo scopo della vita è amare gli altri come fratelli, unico modo per avere la vita eterna, la vita stessa di Dio, perché Dio è amore. Altro esempio, la confessione. Mi confesso almeno a Pasqua così Dio è contento, e mi confesso perché è Pasqua, così faccio la comunione. Invece no, mi devo confessare non perché è Pasqua, ma perché sono pentito dei miei peccati e voglio sentire l’amore di Dio che mi perdona. Altrimenti vivo un rapporto perverso con Dio: non capisco lo scopo di queste cose e quindi, pur facendole, poi condanno e disprezzo chi non le fa, e così facendo sto facendo il peccato più grande, senza rendermene conto. Invece il pubblicano è più fortunato. È un peccatore anche lui, ma lui se ne rende conto, anche perché glielo dicono tutti. Nessuno può sentirsi giusto davanti a Dio, perché chi riesce con le sue forze ad amare Dio e il prossimo come Gesù? Nessuno. E allora fa? Fa l’unica cosa saggia. Prega dicendo solo una frase: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Prega riconoscendo che Dio è amore, si lascia riempire dal suo amore, sa che senza l’amore di Dio per lui non può fare niente di buono, e infatti questa è la sua situazione, e allora glielo chiede, così può sperare di riuscire, tornando a casa, a fare meglio: io vi dico che questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro per il quale i ladri, gli assassini, i disonesti, i peccatori sono tutti gli altri, lui no perché lui è andato a messa e digiuna due volte la settimana.
Al cap 13 quando i discepoli chiedono “chi sarà salvato?”, Gesù risponde: sforzatevi per di entrare per la porta stretta, perché per la porta stretta non entrano i giusti che si gonfiano, ma i peccatori che si sgonfiano e si riconoscono tali. Il dramma del giusto è quando sentendosi tale condanna gli altri diventando così ingiusto perché si è giusti se gli altri si amano, e poi quando fa il bene perché considera Dio cattivo e quindi vuole conquistare il suo amore. E la parabola di oggi ci fa vedere quale deve essere la nostra preghiera per essere vera, perché la preghiera serve per farci sentire che Dio è Padre, che noi siamo figli e gli altri nostri fratelli. Ci sono due personaggi contrapposti, ma c’è sempre in queste parabole un terzo personaggio che è il lettore che deve identificarsi con tutti e due. Qui ci fa vedere cos’è la fede, la giustizia e la preghiera del cosiddetto “uomo giusto”, denunciando la falsa religiosità di chi crede che Dio è cattivo e dobbiamo tenerlo buono e meritarci i suoi favori, e fare i bravi e dire tanti rosari, se no finiamo all’inferno.

9Ora disse anche questa parabole verso alcuni che confidavano su se stessi di essere giusti e nientificavano i rimanenti. Questa parabola è verso quelli che confidano in se stessi perché sono giusti! Sono bravo, sono buono, sono religioso, faccio il mio dovere, prego, leggo la Scrittura, vengo qui, se sbaglio vado a confessarmi… cioè confido in me stesso, in quello che faccio. In più nientifico l’altro perché dico: gli altri che non fanno queste cose sono tutti sbagliati, io ho ragione, io sono a posto, io sono salvo! Ma esistono queste persone? Vediamo la descrizione.

10Due uomini salirono al tempio per pregare: l’uno fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo in piedi, davanti a sé, pregava così: O Dio ti tendo grazie che non sono come i rimanenti degli uomini: rapaci, ingiusti, adulteri. O anche come questo pubblicano. 12Digiuno due volte la settimana, pago la decima su tutto quanto acquisto.

La parabola comincia con “due uomini”, come c’erano i “due figli”. “Due”; tutti e due fanno la stessa azione: salgono al tempio a pregare. È interessante che possiamo fare anche la stessa azione buona come è pregare, in un modo perverso, o in un modo giusto. Anche pregare. Oggi diremmo che uno è un bravo cattolico, impegnato in tutti i sensi, e l’altro invece è un po’ un filibustiere, fa i cavoli suoi, non gliene frega niente della religione, comunque fa soldi, si diverte. Allora il fariseo sta ritto, in piedi – è la posizione della preghiera: si sta diritti davanti a Dio, siamo suoi interlocutori – e la traduzione esatta non è che “pregava tra sé”, ma che “stava ritto in piedi davanti a sé - e non davanti a Dio - e pregava così. Cioè lui è diritto davanti a sé, è diritto davanti al suo “io”, è il perfetto narcisista, dove il mio Dio è il mio “io”. E Dio - certo che serve anche Dio - serve perché ammiri come sono bravo. È interessante: stare davanti a sé, non davanti a Dio. E pregava così: “O Dio” – giusto, anche l’altro incomincia così. Comincia bene e poi prosegue dicendo: ti rendo grazie. Incomincia rendendo grazie a Dio, per cui sembrerebbe che le cose dovrebbero andare bene, anche se la posizione già ci preannuncia che questo atteggiamento del cuore è un atteggiamento di chi non vuole uscire da se stesso. Rendere grazie è l’azione fondamentale dell’uomo; è la prima cosa che si insegna al bambino, quella di dire “grazie”, perché noi viviamo di grazia, di ciò che l’altro ci dà. E questo, di cosa rende grazie? Non di ciò che ha ricevuto da Dio, ma di un’altra cosa: ti rendo grazie che io non sono come i rimanenti degli uomini…  gli altri sono niente, sono da disprezzare, non sono bravi come me gli altri, non sono religiosi, non sono osservanti, non hanno le idee giuste, non vengono alla lectio, non pregano tante volte… io non sono come loro. Ti rendo grazie, perché non sono come gli altri. Se Maria, quando ha ricevuto l’annuncio dell’angelo, invece di dire: l’anima mia magnifica il Signore, avesse risposto: bravo Dio, hai capito che valgo, che sono meglio degli altri.. in quel momento, dice Lutero, Maria sarebbe diventata lucifero. Se avesse detto così, non avrebbe riconosciuto la grazia e il dono di Dio e si sarebbe appropriata di Dio, dicendo: me lo sono meritato io, l’ho conquistato. Tutto il male in fondo lo facciamo con i doni che Dio ci fa. E quando una persona è giusta e si ritiene giusta, è implacabile, è inesorabile con tutti, anche in casa, anche in famiglia. È il più grave peccato usare dei doni di Dio per gonfiare il proprio io! Divento bravo! Poi gli altri sono ingiusti. Che cos’è la giustizia? Per sé la giustizia sarebbe la volontà di Dio che è amare Dio e amare il prossimo. Costui disprezza il prossimo e ama il proprio io al posto di Dio, quindi è il perfetto ingiusto. Gli altri fanno delle ingiustizie - ma lui è il perfetto ingiusto! – gli altri sono adulteri, perché vanno con altre donne, o altri uomini… È lui che invece tratta Dio come una prostituta, perché vuole guadagnarsi o guadagnare il suo amore facendo delle cose. In realtà ciò che dice agli altri è una proiezione di ciò che nel cuore è lui. Tra l’altro, invece di amare Dio lo vuol pagare, e per amor del proprio io. Quindi è il perfetto adulterio: non ama Dio, non gli interessa Dio. Dio lo paga per avere dei favori, per gonfiare il proprio io, perché costui s’è sposato con sé questo! L’importante è lui. Qui sembra una cosa così gonfiata, ecc. ma guardate che è il peccato di ogni uomo. Quando facciamo il male è perchè vogliamo primeggiare, magari rubando o dominando gli altri. Ma anche quando facciamo il bene è per lo stesso motivo, senza accorgerci. È meglio fare il bene piuttosto che il male, d’accordo! Però è più grave fare il bene con lo spirito cattivo, perché al pubblicano tutti dicono: tu sbagli e alla fine è costretto a cambiare; il giusto, invece dice: io ho fatto nulla di male. Il vero peccato invece, la radice di ogni male, è la falsa immagine di Dio: che sia da pagare, da tener buono, perché importante è che io salvi il mio io da Dio; per questo nascono tutte le religioni: come salvarsi da Dio. Come se Dio fosse cattivo e perverso e noi dobbiamo imbonircelo con tutte le nostre buone azioni. Anche quando si dice: meritarlo con le buone opere è grave, perché non si merita l’amore, meritare vuol dire “meretricio”. L’amore è “grazia”. Poi è chiaro che si fanno le buone opere, ma non per meritare l’amore, perché ti senti amato e allora puoi amare, che è un’altra cosa. Come il figlio non è che deve meritare l’amore dei genitori, se lo dovesse meritare sarebbe infelice per tutta la vita. Ma perché è amato, allora può amare. Se no, è la morte. Questa concezione del merito, nella religione, è l’origine della idolatria, perché uno non adora Dio ma satana, il Dio cattivo; ed è anche dell’ateismo che dice: quel Dio non esiste. E ha ragione. E guardate che c’è dentro in ogni persona, addirittura anche l’ateo pensa a Dio così, tant’è vero che lo rifiuta. È la conversione tremenda che ha dovuto fare Paolo, dalla legge al Vangelo, che non è mai compiuta neanche nel cammino personale di un credente serio. E poi non finisce il quadro: questo giusto è giusto in un modo eccezionale, perché digiuna due volte la settimana. E spiego: il digiuno era prescritto una volta all’anno per l’espiazione dei peccati; lui non lo fa una volta al mese, non una volta la settimana, ma due; non è solo un giusto al quadrato, al cubo, è due volte al quadrato per espiare, evidentemente, i peccati degli altri! Quindi si inventa anche tanti precetti e tanti digiuni per i peccati degli altri che sono reprobi e ti ringrazio che non sono come loro. È una religiosità che c’è. Come se Dio ci avesse fatto per digiunare e non per gioire della vita e condividere con i fratelli: è quello il vero digiuno gradito a Dio! non mangiare l’altro, condividere il tuo pane, il tuo tempo, la tua vita. Non osservar delle norme per sentirti a posto tu. E la religione è piena di queste cose, non è solo quella cristiana, cattolica, romana; anche le altre sono così, anche le altre non cristiane addirittura. E poi non è solo questo: pago la decima su quanto ho acquistato. Ora la decima la deve pagare il produttore, non il consumatore. Quindi lui pagava anche le tasse che eventualmente l’altro non avesse pagato. Questo sarebbe un buon modello per gli italiani, ma…. Capite che giusto abbiamo davanti? È un super giusto! È quasi una caricatura che Gesù fa. Ci presenta quell’ideale di uno che, al di là della caricatura, io quando prego bene, mi sento soddisfatto, sono bravino. E poi guardo l’altro che prega poco! Nonostante i digiuni è così pieno di se stesso che fa fatica per passare dalla porta stretta. Anzi, si gonfia con i suoi digiuni, con la sua giustizia. Ora qui sembra ridicolizzato il giusto, ma provate a pensarci se non siamo così quelle poco volte che siamo giusti! Critichiamo gli altri, li condanniamo, li disapproviamo, andiamo a cercare il pelo nell’uovo, dove l’altro ha sbagliato, dove non è conforme ai miei canoni o ai sacri canoni! Dico quelle poche volte che siamo “giusti”. Questa è la rovina della Chiesa, questo è il vero ateismo, l’origine dell’ateismo che nega Dio, ma questo non è che lo nega, peggio, lo insulta! Perché lo puoi negare, Dio, se è così, perché non è Dio. Questi insulta il vero Dio, perché lo tratta proprio da prostituta, da uno il cui amore l’ha comprato, non da padre, non da figlio e gli altri non li tratta da fratelli; gli altri sono oggetto da condannare, perché “non sono come me!”. Tant’è vero che Gesù finirà in croce ucciso giustamente dai giusti, perché, dice, Dio non è così. Quindi siamo a un punto nodale del Vangelo.

13Ora il pubblicano, stando lontano, non voleva neppure alzare gli occhi al cielo, ma batteva il suo petto dicendo 

Ecco la posizione diversa del pubblicano che neppure osava alzare gli occhi al cielo. Era quel che voleva. E si batte il petto, non si vanta, si sgonfia, è colui che poi riesce a passare per la porta stretta, perché non si vanta, non si gonfia e accoglie la sua verità, la verità di se stesso che ha visto di fronte a Dio che ha fatto verità su di lui e riconosce questo. Ed è bello che chi conosce se stesso non giudica nessuno, è umile (vuole dire “uomo”, vuol dire “umano”) e può conoscere anche Dio. E di fatti, questo cosa dice?

13aO Dio, sii propizio a me, peccatore…

Anzitutto: O Dio! E Dio chi è? È colui che è propizio. Propizio vuol dire che fa grazia, che è amore, che è misericordia, propizio non è uno che va guadagnato, è uno che propende, cioè ha compassione di me, ha misericordia di me se è amore e compassione. Dio è madre, non può non amare. E poi l’altra verità, la prima è che Dio è così, che è amore e grazia e l’amore e la grazia non si meritano, è data gratuitamente. E io chi sono? Io sono il peccatore. Non “un”, perché “un” vuol dire uno dei tanti; no, basta che pensi a me. Se uno pensa a sé non dice più che gli altri sono peccatori. Io sono il peccatore! Glielo dicevano anche gli altri! Il fariseo lì davanti glielo diceva, quindi era facile essere persuaso. Ma è anche uno che conosce sé, non osa più giudicare nessuno, perché si scopre che in fondo è come tutti gli altri; ma non gli interessa che gli altri siano così, gli interessa che lui è così, è peccatore! Poi è bello, perché, mentre nella preghiera del fariseo, c’è tutto alla prima persona: Io ti rendo, Io non sono, io digiuno, qui invece c’è un solo verbo: Sii tu, proprio un riconoscere Dio che mi fa il bene, che mi dà la grazia. Il primo, in fondo, va da Dio a pregarlo, per dire: sei tu che devi ringraziarmi, vedi come sono bravo! Vuole lui il complimento da Dio, perché vuole che anche Dio si complimenti con lui, che approvi, che lui faccia questo, perché non è come gli altri; questi invece no, dice: O Dio, sii propizio a me, perché io sono peccatore, non è che ti devi complimentare! Alla mia miseria, tu sei misericordia! E non so se ricordate la preghiera del pellegrino russo: Gesù, figlio di David, abbi pietà di me, peccatore! È la stessa. È la preghiera fondamentale, la preghiera che contiene la verità di Dio che è misericordia, la verità nostra, che siamo come tutti gli altri, per di più, nella falsa immagine di Dio e di uomo, siamo peccatori, siamo falliti, e però, qui dico, in questo luogo, in questa miseria, io sperimento la grazia e la misericordia, conosco me, amato infinitamente, quindi scopro di essere figlio, quindi di altissima dignità. Non è per avere sensi di colpa! Riconoscere il proprio peccato è la cosa più bella del mondo! Se uno dice oggi: com’ero scemo, ieri! Vuol dire oggi è un po’ più intelligente! E quindi potrà anche dire: oggi sono un po’ scemo, lo capirò domani! Lo stesso vale anche proprio sulla via della bontà: uno che cresce scopre quanto è lontano, quanto è peccatore! Più cresce nella sensibilità del bene, più scopre quanto manca di amore, di delicatezza, di comprensione, di accoglienza, nell’accettare tutti, nel giudicare. Neanche col pensiero. La prima cosa che facciamo è giudicare e condannare! Quanto più uno va avanti, più vede questo. Basta che uno pensi al suo peccato e diventa tollerante con tutti. Per un motivo profondo: siamo tutti della stessa pasta! Perché siamo chiamati tutti a un cammino di amore e di misericordia: questa è la dignità dell’uomo e vuol dire che uno non si accorge, che non è arrivato, e che c’è tutto il cammino aperto, è il cammino della verità che dà la grazia, la misericordia che ricevi e che accordi. Che è ben più della tolleranza. E questa è la preghiera fondamentale. quella preghiera che si arrende alla misericordia di Dio nella mia miseria, nel mio bisogno, esperimento la grazia e la misericordia. Perché noi tutti viviamo di grazia. E non c’è bisogno nemmeno di tante parole, perché il fariseo usa sette righe per pregare a se stesso e il pubblicano ne usa due:poche parole per esprime il senso profondo del suo stare davanti a Dio.

14Dico a voi: questo discese a casa sua giustificato, a differenza di quello.

Ecco il primo commento di Gesù: dico a voi, questo discese a casa sua giustificato, che vuol dire “reso giusto”. E quando uno è giusto? non quando è bravo o quando disprezza gli altri o quando usa anche Dio per garantirsi da Dio, ma quando accoglie la giustizia di Dio che è il suo amore che ci giustifica, che ci accoglie. È giustificato, dice sì alla grazia e all’amore: questa è la giustificazione. A differenza di quello. Quello che diceva: tutti i rimanenti sono niente, io, io invece… è chiamato “quello”, non esiste. È nel suo io, nel suo peccato. Il vero peccatore quindi è esattamente il fariseo, il giusto, rapace, ingiusto, adultero, che offende direttamente Dio come amore, come Padre e offende i fratelli nientificandoli e si serve dei doni che Dio gli dà, perché certamente ha dei doni, semplicemente per distinguersi dagli altri, per opprimerli e per allontanarsi da Dio e difendersi da lui. Quindi è la preghiera perversa. Guardate che molto preghiere sono così. Sembra quasi che il pubblicano vada a casa sua, abbia qualcuno da cui ritornare, mentre invece il fariseo no, ha disprezzato talmente tanto gli altri che è rimasto quasi solo, non si fa riferimento ad una casa, ad un ambito in cui possa essere accolto. Gesù alla fine dice: questo tornò a casa giustificato, tutto a posto, a differenza di quello che invece scompare nel nulla, quello che si vantava tanto! Che non ha casa e che non è giusto.

14bPoiché ognuno che si innalza sarà umiliato e chi si umilia sarà innalzato.

Umiltà, homo, humus: han la stessa radice. Conoscere la propria verità ci rende umani. E l’amore è possibile solo nell’umiltà. Non c’è amore che sia orgoglioso, l’amore è sempre umile. E l’umiltà è la qualità più sublime di Dio che è servo di tutti, perché ama tutti. Per questo chi si umilia è innalzato. Ha la grandezza di Dio che è amore e umiltà e servizio. Chi invece gonfia il proprio io è il contrario di Dio che svuotò se stesso per lasciar posto agli uomini, donò tutto se stesso.