domenica 6 settembre 2015

II DOMENICA DOPO IL MARTIRIO ANNO B

Voi sapete che le letture delle domeniche dopo il Martirio di san Giovanni Battista hanno lo scopo di aiutarci a penetrare in profondità il mistero di Ge sù, cioè di farci capire l’identità profonda di Gesù, chi è questo Gesù nel quale crediamo o diciamo di credere, perché non basta dire credo in un solo Signore Ge sù Cristo unigenito figlio di Dio, ma occorre capire c osa significa questo e quali sono le
conseguenze. Forse già l’espressione figlio di Dio è ambigua e anche l’aggettivo unigenito. Dire che Gesù è figlio di Dio, vuol dire affermare che Dio è Padre, e che Dio è Padre Gesù lo testimonia perché vive come comportandosi da figlio, un figlio che obbedisce alla legge del Padre, e qual è questa legge del Padre? Noi pensiamo alla legge in termini di divieti, e in effetti la legge ci dice quello che va fatto e quello che non va fatto, ma non ci da la forza di fare il bene e di evitare il male, per cui alla fine la legge ci accusa perché ci fa capire che siamo tutti colpevoli. Invece la legge di Dio, la legge che Dio diede a Mosè, e tutte e tre le letture di oggi par lano di Mosè, è solo una, ed è quella che Gesù viene a rivelare, e cioè che impariamo a sentirci amati da un Dio che è Padre per poter amare così gli altri considerandoli nostri fratelli. E Gesù è stato obbediente a questa legge perché si è comportato da Figlio amando noi come fratelli, cioè ci ha testimoniato, parola che ricorre più volte nel vangelo di oggi, questa verità. Ecco chi è Gesù e cosa vuol dire che Gesù è figlio di Dio: vuol dire che Gesù è colui che ci testimonia che Dio è un Padre che ci ama e ce lo testimonia amandoci e perdonandoci proprio quando noi trasgrediamo la legge dell’amore. Ed è unigenito, cioè unico, non nel senso che è figlio unico di Dio, ma nel senso che lui è l’incarnazione di questo amore del Padre, che in lui tutto l’amore di Dio si è fatto visibile con lo scopo di farci finalmente scoprire che tutti noi siamo suoi figli amati e amati ciascuno in modo unico. Per questo, dice Gesù nel vangelo, se non venite a me, se non guardate me, non capirete mai chi è Dio e chi siete voi. Gesù lo dice usando nel vangelo di Giovanni la parola gloria. La gloria è la consistenza, il valore di una persona. Ebbene, dice Gesù, la gloria io non la ricevo dagli uomini e anche voi dovete smetterla di cercarla gli uni dagli altri. La gloria viene da Dio, è Dio che ci dice chi siamo e quello che valiamo, l’altra è vana gloria e serve solo per farvi star male. Io sono venuto nel nome del Padre mio per dirvi che Dio è Padre vostro e che siete amati come figli: questa è la vostra identità, questa è la vostra gloria. Ma voi cosa fate? Non accogliete la mia testimonianza, non ci credete. E a cosa credete, invece? A quello che gli altri dicono di voi, e così passate tutta la vita a star male facendo di tutto per essere accettati dagli altri e non sarete mai voi stessi. L’autostima non deriva dal fatto che gli altri parlano bene o male di voi: l’autostima ce l’avete se sapete chi siete, e io vi dico che voi siete figli di un Dio che vi ama, e questa cosa, se la capite, è sufficiente. Se non la capite cercate la vana gloria, una gloria inutile, cercate l’approvazione degli altri, come se fossero gli altri a dirvi chi siete, e questo vi rende schiavi, vi impedisce di amare, vi fa star male, mentre dovreste cercare la gloria che viene dall’unico Dio, che non è vana, perché è Dio a dirvi chi siete: siete suoi figli amati e dunque preziosi ai suoi occhi. Punto. Purtroppo, aggiunge, invece di credere a me, alla mia testimonianza, voi continuate imperterriti a credere in quello che dicono gli altri e così l’amore di Dio non abita in voi. Bellissima è anche la testimonianza del profeta Isaia che abbiamo ascoltato nella lettura che parla dell’amore col quale il Signore aveva guidato Mosè e il suo popolo verso la libertà, eppure il suo popolo si allontanò da lui, e Isaia si domanda: perché Signore ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci che il nostro cuore si indurisca? E la risposta è semplice: perché all’amore o si risponde liberamente con l’amore o non è amore, ma è costrizione, è paura, e si può andare avanti anche tutta la vita ad essere persone religiosissime, attente a non trasgredire nessuna norma e a giudicare con durezza i trasgressori, restando così lontanissime dall’amore di Dio. E questo è il senso delle ultime parole di Gesù del vangelo di oggi e che si collegano con quelle ascoltate nella lettera agli Ebrei. Gesù era stato accusato di essere un trasgressore della legge di Mosè perché in giorno di sabato aveva guarito un uomo infermo. E Gesù dice loro: Voi mi a ccusate di trasgredire la legge, invece io vi sto facendo vedere che la legge di Dio è l’amore, e lo faccio a mandovi, dandovi la vita. E queste cose sono già scritte nella legge di Mosè, io sono venuto a mostrarvele, e allora se davvero credeste a Mosè, dovreste credere a me. Invece no. Voi vi fermate ai divieti della legge senza coglierne il senso che io sono venuto a mostrarvi. Voi vi fermate al fatto che nella legge c’è scritto che di sabato non si lavora, ma senza capirne il senso. Perché non si lavora? Per essere liberi di amare. Per questo non capite, anzi, mi accusate di bestemmia, se io in giorno di sabato faccio alzare uno dalla barella e lo faccio camminare anziché lasciarlo lì bloccato. Gesù ci libera da tutte le paure che ci bloccano e ci portano a fare il male, e la prima di queste paure è che Dio non ci ami se trasgrediamo la sua legge. Ma la sua legge è quella dell’amore. E dunque quando noi la trasgrediamo Dio cosa fa? Può fare solo una cosa, perdonarci, e così c’è speranza che noi, sentendo che questa è la nostra gloria, il nostro valore, l’essere amati da Lui a prescindere, finalmente cominciamo a vivere a nostra volta secondo la sua legge. Che poi è quello che celebriamo in ogni eucaristia. Noi veniamo riempiti del suo amore per vivere di conseguenza una vita nuova, una vita da figli, quando usciamo di chiesa.