domenica 30 agosto 2015

I DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI IL PREC URSORE ANNO B 2015

INTRODUZIONE
Il tempo dopo Pentecoste prosegue a partire da oggi e fino alla terza domenica di ottobre con le settimane che si chiamano dopo il Martirio di san Giovanni, festa che è stata celebrata ieri. Nelle dodici domeniche precedenti la liturgia ci ha mostrato come le promesse di Dio raccontate
nell’Antico Testamento si sono realizzate in Gesù, e l’AT finisce con Giovanni Battista, perché è lui ad indicare come in Gesù tutte le promesse di Dio si sono realizzate. Per questo le letture di questa e delle prossime domeniche ci vogliono aiutare ad approfondire il mistero di Gesù aiutandoci a rispondere alla domanda: chi è Gesù. E oggi il Battista ci dice che Gesù è colui nel quale si è realizzata in modo definitivo l’alleanza tra Dio e l’umanità, dove Dio è lo sposo che ci ama e si unisce a noi considerandoci sua sposa. (Un’alleanza nuova ed eterna che si realizza in ogni eucaristia che è memoriale della Pasqua del Signore. Ci introduciamo come sempre, ogni sabato sera, in quella Pasqua settimanale che è la domenica, il giorno del Signore, con l’ascolto dell’annuncio gioioso della Risurrezione di Gesù) (Un’alleanza nuova ed eterna che si realizza in ogni eucaristia e che noi spesso infrangiamo con la nostra vita, con le nostre infedeltà, coi nostri peccati che vogliamo riconoscere e di cui vogliamo umilmente domandare perdono)

OMELIA
Dicevo nell’introduzione alla messa come le letture di queste settimane dopo il Martirio di san Giovanni Battista vogliono aiutarci a penetrare il mistero di Cristo e dunque a cogliere sempre più in profondità chi è Gesù. E il vangelo di oggi vede come protagonista proprio Giovanni Battista che definendosi amico dello Sposo sta dicendo che Gesù è lo Sposo, e allora cercheremo di capire cosa significa. Ma questa pagina di vangelo è preceduta da due letture non facili che però hanno lo scopo proprio di aprirci la strada per comprendere cosa vuol dire che Gesù è lo Sposo. Partiamo dalla prima dove il profeta Isaia anzitutto denuncia il modo formale e ipocrita col quale si vive il rapporto con Dio, molto simile a volte anche al nostro. Un popolo, dice, che onora il Signore solo con la bocca e le labbra e lo venera attraverso un “imparaticcio di precetti umani”. Ho detto le preghiere? Ho fatto il bravo? Sono andato a Messa? Poi, prosegue Isaia, nella vita di tutti i giorni si vive cercando di sottrarsi alla vista del Signore per fare quel che si vuole, invece di mettere in pratica la sua Parola, pensando che magari la facciamo franca perché Dio non ci vede. Certo, Isaia, dicendo così, da un lato denuncia l’incoerenza, ma dall’altro usa l’arma della paura facendoci pensare che Dio è lì pronto a fulminarci. E infatti dice: guai a chi fa così. E conclude dicendo: alla fine il Signore farà giustizia. Cosa viene fuori da questo quadro? Che da un lato è sbagliato ridurre la fede ad una serie di pratiche religiose, di cose da fare e da non fare, ma dall’altro la fede spesso la si vive così perché si pensa che Dio sia un giudice inflessibile, che è lì a vedere quello che facciamo e che alla fine ci premia o ci castiga, come un datore di lavoro, e un datore di lavoro lo si teme, non lo si ama, e uno lavora per solo per avere lo stipendio. Ecco, è bruttissimo vivere così il rapporto con Dio, e infatti molti vivono con angoscia il rapporto con Dio, come un peso, anche il venire a Messa, e una volta sbrigate le pratiche religiose, vive la vita a prescindere da Dio, facendo poi magari la predica a chi si sottrae a queste pratiche, e così chi è più furbo, vedendo queste cose, alla fine cosa fa? O diventa ateo, oppure continua a fregarsene, e giustamente, perché una religiosità vissuta così è solo controproducente, serve a star male non a star bene. Però Isaia dice anche una cosa bellissima. Cosa fa Dio di fronte al nostro modo sbagliato di vivere il rapporto con Lui? Dice: eccomi, continuerò a operare meraviglie e prodigi con questo popolo. Parole riprese poi dal salmo che canta la misericordia di Dio: più noi ci allontaniamo da lui, più lui ci perdona, e già questo dovrebbe farci capire chi è i vece veramente il Signore, e sarà Gesù a farci vedere chi è veramente il Signore col suo insegnamento e con la sua vita, soprattutto con la sua morte in croce, dove distruggerà l’idea diabolica, menzognera, distorta che noi abbiamo di Dio. Gesù purifica l’idea distorta di Dio, per colpa della quale noi viviamo con lui un rapporto o formale, o di paura o di rifiuto. E così arriviamo al vangelo che si apre proprio con queste parole: nacque una discussione tra i discepoli di Giovanni e un Giudeo riguardo la purificazione rituale. Gli ebrei avevano tutta una serie di rituali per purificarsi: pensavano che per essere graditi a Dio bisognava appunto compiere delle pratiche esteriori. Anche il Battesimo che faceva Giovanni poteva essere considerata una pratica esteriore: come faccio per cancellare i miei peccati? Entro nel Giordano, Giovanni mi battezza, e io sono purificato, perdonato, salvato. Vanno dal Battista e gli dicono: guarda che adesso il tuo posto lo sta prendendo un altro, perché quell’uomo di nome Gesù sta battezzando anche lui, non gli dici niente, non sei geloso, dal momento che tutti adesso vanno da lui? E Giovanni risponde: ma non vi avevo detto che non sono io il Cristo? E’ Gesù il Cristo, non io. Gesù è lo Sposo e io sono il suo amico, sono come il testimone di nozze che aiuta lo sposo a preparare la festa, è da lui che dovete andare, lui deve crescere, io diminuire perché ho finito la mia missione. Allora a questo punto san Giovanni evangelista, non Giovanni Battista, spiega meglio queste parole e in sostanza cosa dice? Che Gesù viene da Dio e quindi parla secondo Dio, è Gesù che ci mostra chi è Dio e la fede è credere nella testimonianza resa da Gesù, cioè la fede è credere che quello che Gesù ci ha detto di Dio è vero. E Gesù cosa ha detto di Dio? Tenete conto che poco prima c’era stato il Battesimo di Gesù che si era messo in fila coi peccatori, lo Spirito santo era sceso su di lui e la voce del Padre aveva detto: questi è mio Figlio, ascoltatelo. Ascoltando Gesù capisco che Dio è Padre che ama ciascuno di noi considerandoci suoi figli come il Figlio e riempiendoci del suo Spirito d’amore, e quindi l’alleanza di Dio con noi è eterna e indissolubile, come quella dello Sposo con la sua sposa. Questa cosa già si vede nel suo Battesimo e la si vedrà in modo supremo sulla croce. In questo modo Gesù purifica davvero la nostra idea distorta di Dio. Per questo si dice: chi crede in lui ha la vita eterna, cioè chi crede in quello che ha detto Gesù incontra il vero Dio, mentre per chi non gli crede l’ira di Dio rimane su di lui. Non nel senso che Dio lo punisce, ma al contrario, che uno si autopunisce, perché continua a pensare Dio come al giudice severo, come al datore di lavoro che se sgarri scatena la sua ira, e quindi continua a vivere la fede in modo formale e angosciato, come un peso. Infatti, a questo proposito, sono molto eloquenti le parole dell’autore della lettera agli Ebrei. Dio non è oscurità, tenebra, tempesta, al quale non possiamo accostarci sennò veniamo fulminati, del quale avere paura come se fosse qualcosa di terrificante, sennò si offende, si arrabbia, ci stermina tutti, ma con Gesù noi ci accostiamo alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste, a migliaia di angeli, a coloro i cui nomi sono scritti nei cieli, al mediatore di un’alleanza eterna. Certo, conclude, non troveremo scampo se gli volteremo le spalle. Ma per forza: ma non perché ci castiga, ma perché se voltiamo le spalle a questo Signore, continuiamo a vivere la fede non come liberazione, ma come motivo di angoscia, e di motivi di angoscia ce ne sono già tanti nella vita, se anche Dio, che invece è venuto a salvarci dall’angoscia, non ultima quella della morte, diventa lui per primo motivo di angoscia perché non abbiamo capito chi è, davvero non abbiamo più scampo.