domenica 23 agosto 2015

DOMENICA CHE PRECEDE IL MARTIRIO DI SAN GIOVANI BAT TISTA ANNO B

INTRODUZIONE ALLA MESSA
Il tempo dopo Pentecoste è diviso in tre parti: le settimane dopo Pentecoste che abbiamo vissuto finora, quelle dopo il Martirio di san Giovanni Battista che inizieremo domenica prossima e quelle dopo la Dedicazione della Chiesa cattedrale, dalla terza domenica di ottobre fino all’inizio
dell’Avvento. La festa del martirio del Battista cade giusto sabato prossimo 29 agosto, e così oggi celebriamo quella che si chiama domenica che precede il martirio di san Giovanni. Perché questa suddivisione con al centro la figura del Battista? Perché, come disse Gesù, tutti i profeti e la Legge hanno profetato fino a Giovanni. Cioè, col Battista si chiude il tempo della promessa: tutte le promesse di salvezza fatte da Dio al popolo di Israele si realizzano in Gesù, e Giovanni fu colui che proclamò questa buona notizia fino al martirio, fino a dare la vita per Gesù, come Gesù poi darà la vita per tutti per rivelare che Dio è amore che da la vita, che perdona. (Ma ora, com’è di consueto nella messa vigiliare vespertina, entriamo nella domenica, e cioè nella memoria della Pasqua di Cristo, con la proclamazion e di uno dei vangeli della risurrezione) (Per questo iniziamo l’Eucaristia domandando perdono per la nostra spesso debole fede quando non riesce a tradursi in autentica testimonianza)

PRIMA DELLE LETTURE
Non è colpa mia se le letture di oggi, come vedrete, sono così lunghe e io parlando allungo il tempo di ascolto e magari la pazienza, ma ascoltare letture così lunghe e poco note senza capirle serve a poco, e nell’omelia vorrei soffermarmi sul vangelo, che pure è collegato a queste letture, dico allora adesso due parole di spiegazione. Nelle scorse dodici domeniche dopo Pentecoste del nostro rito ambrosiano, le prime letture ci hanno fatto ripercorrere i principali avvenimenti della storia di Israele raccontati dall’AT, e oggi leggiamo gli ultimi, quelli che precedono la venuta di Gesù, e coi quali si conclude l’AT. E il martirio dei Maccabei è un preludio a quello di Giovanni Battista che fa da ponte tra l’AT e il NT. Ora ascoltiamo un episodio che si svolge circa 150 anni prima di Gesù, quando in Palestina, prima che arrivassero i romani , dominavano i greci che cercavano di imporre agli ebrei la loro cultura e la loro religione dei greci. I libri dei Maccabei raccontano quest’epoca in cui la fede di Israele era di nuovo in pericolo. I Maccabei erano dei fratelli, che guidarono la lotta anche armata del popolo di Israele per difendere la propria fede e la propria cultura, fino al martirio. Tra poco leggiamo la testimonianza di una madre davanti al re greco Antioco che mette a morte i suoi sette figli, e lei li incoraggia a non avere paura e fa una bellissima professione di fede. Ed è interessante vedere che uno dei sette fratelli, un ragazzo, sul punto di essere torturato e di dare la sua vita, professa la fede nella risurrezione dei morti, caso raro nell’AT, e infatti, al tempo di Gesù, c’era il dibattito tra chi ci credeva e chi no. Dopo questa lettura ascolteremo il finale della lettera ai Corinti dove Paolo parla proprio della sua fede nella risurrezione, certezza che diede anche a lui la forza di affrontare il martirio. Ecco, io credo che l’ascolto di queste due letture ci sproni a riflettere sia sulla reale consistenza della nostra fede nella risurrezione davanti alla morte in generale, come vedremo meglio dopo ascoltando il vangelo, sia se questa fede sarebbe capace o meno di farci agire come i martiri, considerando invece la fede di tanti martiri cristiani che ancora oggi in molte parti del mondo versano il loro sangue.

OMELIA
Ci sono due motori che muovono la nostra vita, la fede e la paura. La paura è importante perché nasce dall’istinto di conservazione: se non abbiamo paura di niente diventiamo temerari, sventati e incoscienti. La paura serve per evitare tutto quell o che ci fa male. La fede, invece, cioè la fiducia, dovrebbe essere il primo motore del nostro agire. Senza fiducia e speranza siamo morti, non faremmo più nulla, vivremmo nella disperazione, cioè senza speranza, e quindi bloccati in tutto il nostro agire. Si dice che oggi è difficile aver fede e speranza di fronte al futuro: la paura è grande. Il problema è che abbiamo mille paure che ci bloccano e ci fanno star male che nascono dalla paura più grande di tutte che è quella della morte, sebbene la morte sia l’evento più naturale che ci sia. Tutti nasciamo con una malattia mortale, che è la vita. La morte, in sé, non è un male, è giusto non cercarla, ma rifiutarla è assurdo, tanto è vero che chi la rifiuta diventa patetico, penso a chi diventando vecchio si fa rifare il corpo per sembra re giovane. Perché questo accade? Appunto, perché non vogliamo accettare che si invecchia e si muore, e quindi viviamo male, non solo la morte, ma anche la vita. A causa del peccato. Si, perché la morte ci fa capire che siamo limitati, ma il peccato ci fa credere che la morte sia la fine di tutto, e così pensiamo di venire dal nulla e di andare a finire nel nulla, e allora viviamo la vita pieni di mille altre paure, quella di perdere le cose, le persone, gli affetti, la salute, e per colpa di queste paure diventiamo egoisti, lupi rapaci, facciamo di tutto per essere accettati, quando invece dovremmo aver paura di non curare l’anima, che a differenza del corpo non perisce. Per questo Gesù esordisce nel vangelo di oggi dicendo: Non temete quelli che uccidono il corpo, perché il corpo non è la vita: viene dalla terra e torna ad essa. Piuttosto, dice, abbiate paura di chi può gettare nella Geenna, cioè Dio. La Geenna era la valle dove si bruciavano le immondizie, la discarica. Gesù sta dicendo: abbiate il timor di Dio, che non è aver paura di Dio, ma capire che Dio è un Padre che ci ama. Se abbiamo questo timore, allora non abbiamo più paura della morte, altrimenti finiamo nella Geenna, buttiamo nell’immondizia la nostra vita. Dobbiamo avere paura non di morire, ma di non amare, perché se non amiamo siamo già morti e invece, se amiamo, viviamo e vivremo per sempre, perché siamo animati dallo Spirito santo che non muore mai. Chi avrà tenuto per se la vita la perde, chi la perde per causa mia la trova. Perché? E’ una legge fisica, prima che teologica. La vita è il respiro. Se il respiro lo trattengo muoio, se butto fuori l’aria vivo. Lo Spirito santo è il resp ro di Dio, ed è il suo amore, l’amore che unisce i l Padre e il Figlio. Io vengo riempito di questo spirito, lo respiro, ma per vivere devo donarlo, buttarlo fuori, e allora vivo. E siccome questo Spirito è quello di Gesù, quando esalo l’ultimo respiro il mio spirito è unito al suo e io vivo in eterno, entro in comunione totale con Dio. Splendido, se ci pensate: il limite della morte che mi spaventa, Dio lo fa diventare il momento in cui si entra in totale comunione con Lui. Per cui Gesù fa capire che il valore assoluto non è la vita, ma dare la vita, amare, perché se no sono già morto ora. Il male non è essere uccisi, ma uccidere; non è aver fame, ma affamare; non è soffrire, ma far soffrire. Un passero vale ben poco, e tante volte è quello che ognuno pensa di sé. Ma se Dio si occupa anche dei passeri, dice Gesù, volete che non si occupi di voi che siete suoi figli? Pensate di valere meno di un uccello? A volte pensiamo così davvero, perché anche noi moriamo come gli uccelli, e ci sono uomini e donne che vivono in tali stati di sofferenza che giustamente ci si chiede in che modo Dio si prende cura di noi, se valiamo più degli uccelli, dov’è la sua Provvidenza. Ma le parole che seguono fanno capire cos’è questa provvidenza, quando Gesù dice: non sono venuto a portare la pace, ma la spada, che taglia, separa, anche i componenti di una stessa famiglia. E’ la spada della sua Parola e del suo amore che fa piazza pulita del peccato e di tutte le mie false paure che mi portano a non credere nell’amore di Dio e a fare il male. Ecco perché in altri passi del vangelo Gesù dice: vi lascio la pace, ma la pace che vi do io non è quella del mondo. Per il mondo che non conosce Dio la pace è la serenità totale e l’assenza dei problemi, ma questa pace non esiste. La pace che porta Gesù non è che tutto ci va bene, ma che bisogna ogni giorno lottare contro il peccato, la menzogna che ci fa credere che Dio non ci ama, e così possiamo portare ogni giorno la croce che abbiamo perché Gesù l’ha portata per tutti, e quindi, in mezzo ai problemi della vita, non ho più paura e non vengo schiacciato perché lo Spirito di Cristo mi sostiene. Se la croce non la porto, la croce mi schiaccia. Ecco perché lui va amato più del padre e della madre, perché solo lui può darmi questa forza che mi fa vincere le paure, e questa è la sua provvidenza, è così che Di o provvede a me, è una cosa interiore, non è legata ad avvenimenti esteriori, come quando uno dice, sommando tutto, “mi è andata bene, grazie Signore”. Perché altrimenti non avrebbe senso che la provvidenza di Dio aiuta uno e non aiuta un altro. La provvidenza è Dio che provvede a me perché io sento la sua presenza che dona la pace in mezzo alle croci della vita che riesco a portare e che così non mi schiacciano perché le porto col suo aiuto. Ecco perché aggiunge: chi mi riconoscerà davanti agli uomini anch’io lo riconoscerò davanti al Padre e chi mi rinnegherà anch’io lo rinnegherò. Riconoscere Gesù vuol dire credere che lui è Figlio e allora capisco di essere figlio anch’io di questo Padre, e non ho paura. Se lo rinnego, vuol dire che non riconosco di essere figlio, che Dio non è Padre e vivo nella paura, e sono fregato. Ma davvero poi anche lui ci rinnegherà? Questa è un’affermazione di Gesù che poi Gesù stesso ha contraddetto sulla croce dove ha perdonato tutti, e infatti san Paolo in un passo scriverà che non può rinnegarci, sennò rinnegherebbe se stesso. Lui è il Figlio che ci dimostra che Dio è Padre amandoci come fratelli: se ci rinnegasse come fratelli ammazzandoci, rinnegherebbe se stesso come Figlio. E quindi c’è davvero speranza per tutti. Grazie a Dio, cioè a Gesù.