domenica 4 ottobre 2015

SESTA DOMENICA DOPO IL MARTIRIO ANNO B

Sapete che le letture di queste domeniche dopo il Martirio di San Giovanni Battista ci aiutano di volta in volta a penetrare sempre più in profondità il mistero di Cristo, cioè a capire chi è Gesù. Gesù è colui che ci ha rivelato il vero volto di Dio, e se non guardiamo a Lui, se non lasciamo penetrare in noi il suo pensiero, come ci richiama il nostro vescovo nella sua lettera pastorale (educarci al pensiero
di Cristo) siamo fregati perché, nonostante ci diciamo cristiani, cioè suoi discepoli, di fatto non lo sia mo perché pensiamo Dio in modo opposto a quello che Gesù ci ha mostrato, e la parabola di oggi è molto eloquente a riguardo, e ci tocca tutti da vicino, perché ha al centro il tema della giustizia di Dio e della ricompensa. Isaia nella prima lettura diceva: un Dio giusto e salvatore non c’è all’infuori di me, e dunque volgetevi a me e sarete salvi, voi tutti confini della terra. Ma cosa vuol dire che Dio è giusto e salvatore? La parabola di Gesù ci indica una cosa certa: che le nostre idee di giustizia e di salvezza non corrispondono a quelle di Dio. Ora, qui non si sta parlando di giustizia sociale. I sindacati e i lavoratori troverebbero pane per i loro denti leggendo questa parabola, se un datore di lavoro pagasse allo stesso modo uno che lavora tutto il giorno e uno che lavora solo un'ora. Nel contempo però è interessante vedere che questo padrone della vigna è proprio contro la disoccupazione perché non ci sta a vedere qualcuno disoccupato, ma qui si tratta di capire qual è il lavoro di cui si parla perché la parabola di Gesù, come dicevo, non parla di giustizia sociale, ma vuole spiegare chi è Dio e qual è la ricompensa di chi lavora nella sua vigna. Se ricordate, domenica scorsa abbiamo letto la parabola del buon samaritano, che Gesù racconta perché un tale gli aveva domandato cosa fare per avere la vita eterna, e la vita eterna è la vita stessa di Dio, è appartenere a Lui, è sentire che Lui ci ama come figli, è amarlo come Padre e diventare capaci di amare gli altri come fratelli. Noi siamo programmati per sentirci amati e per amare. Quando questo accade abbiamo la gioia, questa è la vita eterna, che dunque può cominciare già adesso. Questo è il Regno di Dio, questa è la nostra ricompensa, il modo in cui Dio ci retribuisce, e qui veniamo alla parabola di oggi dove Gesù paragona il Regno di Dio a una vigna Dio chiama tutti a lavorare per avere questa ricompensa. Non è facile capire questa cosa, ma è essenziale, ne va di tutto il Vangelo, cioè della bella notizia che Gesù è venuto ad annunciare e che siamo chiamati ad annunciare. La missione della Chiesa è questa, non solo in questo mese di ottobre, ma sempre, però, ripeto, non è facile capire questa cosa, come dimostrano gli operai chiamati a lavorare fin dalle prime ore del mattino. Capire, in sostanza, che Dio ci salva perché ci vuol bene e non per i nostri meriti, e che la ricompensa, e dunque la salvezza, è quando ci sentiamo riempiti d'amore e impariamo ad amare. Non è facile capirlo perché noi vorremmo altro come ricompensa, e infatti siamo spesso arrabbiati con Dio, e perché lo siamo? Precisamente perché siamo come i lavoratori della prima ora che vediamo Dio come un datore di lavoro che deve premiarci a seconda dei nostri sforzi e dei nostri meriti. Infatti, questi operai si arrabbiano quando il padrone al termine della giornata li paga esattamente come paga gli ultimi. È il dramma di chi è giusto o si crede tale perché ha cercato di fare il bravo tutta la vita, magari non riuscendoci sempre perché nessuno è impeccabile, però ci ha provato, e in fin dei conti, dice, non ho mai ammazzato nessuno, ho cercato di fare il bene, ho sempre pregato, sono venuto a messa, e il risultato qual è? Che la mia ricompensa è che le cose mi vanno male, mentre a chi non ha mai fatto queste cose non solo gli vanno bene, ma addirittura scopro che Dio vuol bene anche a lui e anche se si converte all'ultimo momento vuole ricompensarlo lo stesso. La specialità di chi si ritiene giusto è proprio quella di essere perennemente brontolone perché Dio non lo ripaga come vorrebbe. In fondo questa parabola dice la stessa cosa di quella più famosa del figlio prodigo e di suo fratello narrata da Luca. Dio, è questo che vuole spiegare Gesù, chiama a tutte le ore i suoi figli a lavorare nella sua vigna, cioè ad entrare nel suo regno, e il frutto che vuole raccogliere è la ricompensa che vuole darci, cioè la vita eterna, la sua stessa vita, sentirci amati da lui come figli, amarlo come Padre e amare gli altri come fratelli. Questo è il salario che ci promette, un denaro, che era quanto bastava per vivere un giorno. Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Questo è il pane di cui abbiamo bisogno per vivere bene la vita ogni giorno, sentirci amati e amare. Ed è un pane che vuole darlo a tutti, anche a quelli che si svegliano per ultimi. Quel denaro è lui stesso, è la sua vita. E non può dare a nessuno meno di questo. La mia ricompensa, se sto col Signore, se vivo come Gesù sentendomi figlio e fratello, non è che non mi succedono guai o che non mi arrivano le croci da portare, ma che esse non mi schiacciano; non è che non muoio, ma che la morte non mi fa più paura; non è che tutti mi amano, ma che io imparo a d amare tutti perché mi sento amato da Dio e così realizzo la mia vita. Questa pace è la ricompensa che ci viene data. Se invece io penso a Dio come un datore di lavoro, lo tratto come una prostituta che deve darmi certe prestazioni a seconda di quanto la pago, per cui svolgo tutte le pratiche religiose, compreso il venire a Messa o il vivere secondo i comandamenti, come dei doveri e degli obblighi per avere altre cose come ricompensa, e quindi non amo Dio per se stesso, ma per quello che mi può dare e che deciso io: tranquillità, soldi, salute, benessere. Tanto è vero che quando queste cose non arrivano e, al contrario, vedo che ce le hanno gli operai dell'ultima ora mi arrabbio, perché io, che mi ritengo giusto che ho lavorato, non lo sopporto. Insomma, il giusto, o chi si crede tale perché di fatto non lo è, è quello che si arrabbia con Dio perché è buono. Come il figlio maggiore della parabola che si arrabbia col Padre perché ammazza il vitello grasso per festeggiare il ritorno del figliol prodigo dimenticandosi che era suo fratello, e qui si capisce bene come proprio chi si ritiene giusto è colui che è più lontano da Dio, perché giusti lo diventiamo se portiamo i frutti dell'amore, non dell'invidia, se sentiamo gli altri come fratelli e non se ci arrabbiamo perché Dio li perdona. Se io ho lavorato fin dall'inizio nella vigna del Signore, come il fratello maggiore che non si era mai allontanato dalla casa del Padre, è questa la mia fortuna, di aver potuto sempre godere dell'amore del Padre. Se invece ci sono restato per avere altro che sia meno di Dio, allora non ho capito niente, e infatti mi arrabbio quando vedo che il Padre vuole perdonare il mio fratello. Il fatto che Dio chiami a tutte le ore del giorno vuol dire che Dio vuole la salvezza di tutti, e ognuno ha i suoi temp i, e che chi lavora di più è più fortunato di chi ci arriva per ultimo perché ha potuto sempre godere della ricompensa di sentirsi figlio e fratello, perché la ricompensa per tutti è questo denaro, non di più, perché questo denaro è ciò di cui abbiamo bisogno. Se invece uno è restato a lavorare nella vigna per avere altra ricompensa, allora per forza si arrabbia, perché ha capito niente. E Dio gli dice: sei invidioso perché io sono buono? Guarda che io non ti sto facendo un torto. A te do il denaro che ti ho promesso, che è il mio amore. Tu ti arrabbi perché scopri che io amo tutti come miei figli? Vuol dire che proprio tu che ti ritieni giu sto non sei giusto, e allora vattene, perché mi rifiuti come Padre. Vatte ne, sì, tra gli ultimi, perché sei lontano da me. E sarà proprio quando ti accorgerai di essere lontano da me e che io vengo a cercare proprio chi è più lontano, allora sarai tra i primi, perchè capirai che tutto è grazia, che tu ti salvi se non perché sei bravo, ma perché io ti voglio bene, e che la tua ricompensa è questa. La Chiesa non è fatta di santi e perfetti, ma di peccatori che capiscono di essere salvati, e per questo possono annunciare a tutti la misericordia di Dio, perché senza ipocrisia possono dire a tutti non che fanno schifo perché non sono bravi come noi, giudicandoli, ma possono dire: se Dio ama uno come me che sono quello che sono, vuol dire che c'è speranza per tutti!!!!