domenica 8 novembre 2015

CRISTO RE ANNO B 2015

E’ bello che sia la solennità di Cristo Re a concludere l’anno liturgico (domenica prossima si apre quello nuovo con l’Avvento). Perché? Perché l’anno liturgico, di giorno in giorno e di domenica in domenica ci fa contemplare il mistero di Cristo, i suoi insegnamenti, i diversi aspetti della sua persona, e al centro c’è sempre la Pasqua, perché è proprio sulla croce e nella risurrezione che si
riassumono e si compiono tutte le cose fatte e dette da Gesù nella sua vita. E proprio sulla croce viene dato a Gesù il titolo di Re. Strano, perché di solito il trono di un re non è una croce e la sua corona non è fatta di spine. Ed è bello, dicevo, che sia proprio col titolo di Re che contempliamo Gesù al termine di ogni anno liturgico, come se questo titolo riassumesse tutto. Però è un titolo che va capito bene perché è ambiguo. Non dimentichiamoci che questa festa fu istituita agli inizi del 1900 da Papa Pio XI, in un periodo dove iniziavano i regimi totalitari in Europa che stavano minando la libertà religiosa, e con questa festa il Papa voleva dire ad alta voce che è alla regalità di Cristo che bisogna sottomettersi, non ad altre persone, né tantomeno allo Stato. Pochi anni prima, Papa Leone XIII aveva stabilito la consacrazione universale dell’umanità al Sacro Cuore di Gesù, e infatti in questo giorno si recita, fuori dalla messa, l’atto di consacrazione del genere umano a Cristo Re. Ma cosa vuol dire sottomettersi alla regalità di Cristo? cos’è questa regalità? Quando si dice Re uno pensa al potere, e quindi pensa a Gesù, a Dio, come a colui che governa tutto: tuo è il regno, tua è la potenza e la gloria nei secoli. Poi vediamo come va il mondo, vediamo che va male e pensiamo ch e Dio è un pessimo re e governante. Siccome Gesù ribalta tutti i nostri modi di pensare, per Gesù essere re vuol dire essere servo: io sono in mezzo a voi come colui che serve. Lo dice anche san Paolo nel brano della lettera ai Filippesi che abbiamo letto: Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne questo come un privilegio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, umiliando se stesso fino alla morte di croce. Dio si fa servo dell’uomo perché noi impariamo a farci servi gli uni degli altri. Ecco il suo Regno. Il Regno di Dio è quando tutti riconosciamo come Gesù di essere figli amati da un Dio che è Padre e quindi impariamo ad amare gli altri come fratelli, come ha fatto Gesù nostro fratello. Questa è la salvezza, questo è il Paradiso. Altrimenti c’è solo l’inferno. Per questo san Paolo scrive: abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù, perché così e solo così potete essere salvi. Allora, vedete, Gesù dimostra che Dio non è re nel senso che governa direttamente il mondo, perché il mondo lo costruiamo noi con le nostre scelte giuste o sbagliate, ma lo governa attraverso una legge, quella dell’amore, seguendo la quale, e solo seguendo questa legge, avendo in sé gli stessi sentimenti di Cristo, sentendoci amati da Dio e amando gli altri come Dio ama noi, possiamo costruire il suo Regno. Certo che Dio è onnipotente, può tutto, ma non come lo intendiamo noi. Può tutto perché l’amore è onnipotente, perché l’amore può tutto, perdonare i nostri peccati e vincere anche la morte, e infatti Gesù risorge, e con lui tutti coloro che avranno vissuto come lui. Guardate bene la scena del vangelo. Uno dei due condannati crocifissi accanto a Gesù gli dice: “Tu sei Cristo, allora salva te e noi”, e intende chiaramente la salvezza dalla morte. Noi vorremmo che Dio ci salvasse dalla morte. Invece dalla morte non ci salva nessuno, siamo mortali. Ma perché vogliamo essere salvati dalla morte? Perché abbiamo paura di morire? Perché ci dimentichiamo quello che ha detto Gesù, che la morte è tornare a casa, alla casa del Padre. Questo è il peccato da cui Gesù ci libera. Se metto al centro me stesso, cosa succede? Quando finisco io, finisce tutto. Invece la vita è un cammino verso l’incontro, è una gestazione, e se la prima dura nove mesi, la seconda può durare 90-100 anni, ma poi siamo maturi e torniamo a casa. Oggi tutti cercano gli elisir dell’eterna giovinezza, ma Gesù ha detto che chi vuole salvare la sua vita la perde. La vita è da donare, l’assoluto è la vita eterna, e la vita eterna è l’amore per il prossimo. Salvare se stesso è il principio dell’egoismo, il principio di tutti i mali. E l’egoismo nasce per la paura che abbiamo della morte. L’altro ladro crocifisso, che noi chiamiamo buon ladrone, e che i nvece è un reo confesso, che dice che non era buono affatto perché ammette le sue colpe, proprio ammettendole fa l’unica cosa giusta che lo salva, perché vedendo Gesù morire così capisce che Dio è colui che non ci salva dalla morte, ma dalla paura della morte, perché arriva a condividere con noi anche la morte, accettando su di sé il male senza restituirlo, ma perdonando, e infatti gli dice: ricordati di me quando sarai nel tuo regno. Capisce che l’amore è più forte della morte, che Gesù fa così perché sa dove sta andando. E Gesù gli risponde: ti dico che oggi sarai con me in paradiso. Oggi. Adesso, ora che non sono ancora morto sono già in paradiso se capisco queste cose, altrimenti, anche se sono vivo e campo cent’anni, vivrò da disperato.