E’ bello che sia la solennità di Cristo Re a concludere l’anno liturgico (domenica prossima si apre quello nuovo con
l’Avvento). Perché? Perché l’anno liturgico, di giorno in giorno e di domenica in domenica ci fa contemplare il
mistero di Cristo, i suoi insegnamenti, i diversi aspetti della sua persona, e al centro c’è sempre la
Pasqua, perché è
proprio sulla croce e nella risurrezione che si
riassumono e si compiono tutte le cose fatte e dette da Gesù nella sua
vita. E proprio sulla croce viene dato a Gesù il titolo di Re. Strano, perché di solito il trono di un
re non è una croce e
la sua corona non è fatta di spine. Ed è bello, dicevo, che sia proprio col titolo di Re che contempliamo Gesù al
termine di ogni anno liturgico, come se questo titolo riassumesse tutto. Però è un titolo che va capito bene perché è
ambiguo. Non dimentichiamoci che questa festa fu istituita agli inizi del 1900 da Papa Pio XI, in un periodo dove
iniziavano i regimi totalitari in Europa che stavano minando la libertà religiosa, e con questa festa
il Papa voleva dire
ad alta voce che è alla regalità di Cristo che bisogna sottomettersi, non ad altre persone, né tantomeno allo Stato.
Pochi anni prima, Papa Leone XIII aveva stabilito la consacrazione universale dell’umanità al Sacro Cuore di Gesù, e
infatti in questo giorno si recita, fuori dalla messa, l’atto di consacrazione del genere umano a Cristo Re. Ma cosa
vuol dire sottomettersi alla regalità di Cristo? cos’è questa regalità? Quando si dice Re uno pensa al
potere, e quindi
pensa a Gesù, a Dio, come a colui che governa tutto: tuo è il regno, tua è la potenza e la gloria nei
secoli. Poi vediamo
come va il mondo, vediamo che va male e pensiamo ch
e Dio è un pessimo re e governante. Siccome Gesù ribalta
tutti i nostri modi di pensare, per Gesù essere re
vuol dire essere servo: io sono in mezzo a voi come
colui che serve.
Lo dice anche san Paolo nel brano della lettera ai
Filippesi che abbiamo letto: Gesù, pur essendo nella condizione di
Dio, non ritenne questo come un privilegio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, umiliando se
stesso fino alla morte di croce. Dio si fa servo dell’uomo perché noi impariamo a farci servi gli uni
degli altri. Ecco il
suo Regno. Il Regno di Dio è quando tutti riconosciamo come Gesù di essere figli amati da un Dio che è
Padre e
quindi impariamo ad amare gli altri come fratelli,
come ha fatto Gesù nostro fratello. Questa è la salvezza, questo è il
Paradiso. Altrimenti c’è solo l’inferno. Per questo
san Paolo scrive: abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù,
perché così e solo così potete essere salvi. Allora, vedete, Gesù dimostra che Dio non è re nel senso
che governa
direttamente il mondo, perché il mondo lo costruiamo noi con le nostre scelte giuste o sbagliate, ma lo governa
attraverso una legge, quella dell’amore, seguendo la quale, e solo seguendo questa legge, avendo in sé
gli stessi
sentimenti di Cristo, sentendoci amati da Dio e amando gli altri come Dio ama noi, possiamo costruire
il suo Regno.
Certo che Dio è onnipotente, può tutto, ma non come
lo intendiamo noi. Può tutto perché l’amore è onnipotente,
perché l’amore può tutto, perdonare i nostri peccati e vincere anche la morte, e infatti Gesù risorge,
e con lui tutti
coloro che avranno vissuto come lui. Guardate bene
la scena del vangelo. Uno dei due condannati crocifissi accanto
a Gesù gli dice: “Tu sei Cristo, allora salva te e
noi”, e intende chiaramente la salvezza dalla morte. Noi vorremmo che
Dio ci salvasse dalla morte. Invece dalla morte non
ci salva nessuno, siamo mortali. Ma perché vogliamo essere
salvati dalla morte? Perché abbiamo paura di morire? Perché ci dimentichiamo quello che ha detto Gesù,
che la
morte è tornare a casa, alla casa del Padre. Questo
è il peccato da cui Gesù ci libera. Se metto al centro me stesso,
cosa succede? Quando finisco io, finisce tutto. Invece la vita è un cammino verso l’incontro, è una gestazione, e se la
prima dura nove mesi, la seconda può durare 90-100
anni, ma poi siamo maturi e torniamo a casa. Oggi
tutti
cercano gli elisir dell’eterna giovinezza, ma Gesù
ha detto che chi vuole salvare la sua vita la perde. La vita è da
donare, l’assoluto è la vita eterna, e la vita eterna è l’amore per il prossimo. Salvare se stesso è il principio
dell’egoismo, il principio di tutti i mali. E l’egoismo nasce per la paura che abbiamo della morte. L’altro ladro
crocifisso, che noi chiamiamo buon ladrone, e che i
nvece è un reo confesso, che dice che non era buono
affatto
perché ammette le sue colpe, proprio ammettendole fa l’unica cosa giusta che lo salva, perché vedendo
Gesù morire
così capisce che Dio è colui che non ci salva dalla
morte, ma dalla paura della morte, perché arriva a
condividere con
noi anche la morte, accettando su di sé il male senza restituirlo, ma perdonando, e infatti gli dice:
ricordati di me
quando sarai nel tuo regno. Capisce che l’amore è più forte della morte, che Gesù fa così perché sa dove sta
andando. E Gesù gli risponde: ti dico che oggi sarai con me in paradiso. Oggi. Adesso, ora che non sono ancora morto
sono già in paradiso se capisco queste cose, altrimenti, anche se sono vivo e campo cent’anni, vivrò da disperato.