A pochi giorni dal Natale, vi faccio notare come la
liturgia non ci propone i brani di vangelo che rac
contano
gli eventi immediatamente precedenti la nascita di
Gesù. A parte il fatto che dei 4 vangeli, solo quel
lo di
Matteo e soprattutto quello di Luca raccontano qual
cosa, e li ascolteranno nelle ferie prenatalizie ch
e
inizieranno settimana prossima quelli che verranno
a messa, i giorni che più
banalmente continuiamo a
chiamare i giorni della novena di Natale. Al contra
rio, i vangeli di Marco e di Giovanni non ne parlan
o
neppure, e infatti iniziano parlando di Gesù quando
è già un uomo adulto e lo fanno presentando la
grandiosa figura di Giovanni Battista come il precu
rsore di Gesù, colui che preannuncia, che prepara i
suoi
discepoli ad accogliere il Messia: Non sono io il C
risto, ma sono stato mandato davanti a lui. Una sce
lta
liturgica molto interessante, perché serve poco con
templare la nascita di Gesù se non lo riconosco com
e il
Cristo, il Salvatore, se non preparo il mio cuore a
d accogliere il suo insegnamento, se non mi lascio
sconvolgere la vita da Gesù nello stesso modo in cu
i la vita di una coppia di genitori viene sconvolta
in tutti i
sensi quando nasce un figlio. Come un bambino morir
ebbe immediatamente se non ci si prendesse cura di
lui, con tutti gli annessi e connessi, allo stesso
modo Gesù morirebbe il giorno stesso di Natale se i
o non lo
accolgo. Per cui il Natale non è una data del calen
dario: quello è il Natale in sé. Il vero Natale è q
uello in me,
quando davvero Gesù diventa il punto di riferimento
della mia vita, nel senso che mi accorgo che davve
ro è
lui il salvatore della mia vita, che senza di lui n
on posso fare nulla di buono, che solo lui ha parol
e che
conducono alla vita eterna, perché egli è il Signor
e, via, verità e vita. Per usare le parole di Paolo
nella
seconda lettura: il Vangelo resterebbe altrimenti v
elato, la mente resterebbe accecata perché non
vedremmo il glorioso vangelo di Cristo, che è immag
ine di Dio. Dio che disse “Rifulga la luce dalle te
nebre”,
ha fatto risplendere la sua gloria sul volto di Cri
sto, e questa gloria deve rifulgere nei nostri cuor
i. Fin qui
san Paolo. Giovanni, invece, nel suo vangelo, per i
ndicare questo rapporto intimo con Gesù, usa spesso
la
parola amicizia, come spiega bene il cardinal Marti
ni in un suo commento al vangelo di Giovanni. L’ami
cizia
è fidarsi fino in fondo dell’altro, è sentirsi a pr
oprio agio con l’altro, è uno scoppio di gioia. Ari
stotele scrisse
che l’amicizia è quel bene senza il quale nessuno s
ceglierebbe di vivere, anche se possedesse tutti gl
i altri
beni. Dunque è molto bello che Giovanni usa il term
ine amicizia per dire come deve essere il rapporto
dell’uomo con Dio. Infatti è nel suo vangelo che Ge
sù, per spiegare che i suoi discepoli devono amarsi
tra
loro come li ama lui, usa la parola amicizia: voi s
iete miei amici se farete ciò che io vi comando, ne
ssuno ha
un amore più grande di quello di dare la vita per i
propri amici, non vi chiamo più servi, ma amici. E
nel suo
vangelo vengono descritti alcuni rapporti di amiciz
ia di Gesù e con Gesù. Penso ai due discepoli chiam
ati
per primi a fermarsi con lui, a vivere un’amicizia
fatta di intimità. L’amicizia di Gesù con Marta e M
aria, fatta
di familiarità, dove non c’è soggezione, dove ci si
dice quel che si pensa senza timore di essere giud
icati,
dove ci si sente per questo a proprio agio. L’amici
zia con Lazzaro di fronte alla cui morte Gesù si me
tte a
piangere. Il legame tra Gesù e il discepolo che egl
i amava, sempre al fianco di Gesù e che nell’ultima
cena
reclina la sua testa sul petto di Gesù. Il rapporto
con Pietro al quale per tre volte Gesù chiede se l
o ama più
degli altri e a cui rinnova la sua amicizia nonosta
nte il tradimento. E infine, l’ho lasciato per ulti
mo, Giovanni
Battista, che nel brano di oggi, presentando Gesù,
definisce se stesso amico dello sposo, che gioisce
quando
sente la sua voce, arrivando a dire: egli deve cres
cere, io diminuire. L’amico vero è dunque chi si pr
eoccupa
dell’altro, non di sé, che non è invidioso e posses
sivo. Ancora di più. Nella prima lettura Isaia parl
a di un
maestro mandato da Dio ad indicare qual è la strada
giusta da percorrere, quello che di fatto fece Gio
vanni
Battista. E dunque l’amico è colui che aiuta a perc
orrere strade di vita e non di morte. Ecco, da ques
to
breve quadro, emergono dunque alcune caratteristich
e molto belle di come Gesù ci è amico: è colui che
da
la vita, che vuole un intimo rapporto con lui, nel
quale sentirci a proprio agio e non giudicati, che
condivide
il dolore, che è sempre a fianco, che desidera il n
ostro bene e ne gioisce, e nel contempo ci lascia l
iberi,
senza sentimenti di invidia, gelosia e possesso. E’
così che Gesù ci guarda, ed è così che a nostra vo
lta
dovremmo imparare a vivere rapporti autentici di am
icizia. Anzi, è proprio vivendo rapporti così con g
li altri
che possiamo provare sentimenti di gioia e pienezza
, riuscendo ad avvertire la presenza di Dio amore,
appunto perché Dio per primo, in Gesù, si comporta
così con noi. Natale accade dunque quando riusciamo
a vivere questo rapporto di amicizia col Signore ch
e poi si riflette nel modo di vivere rapporti di am
icizia
fraterni. È la grazia che vogliamo chiedere oggi al
Signore. E voglio concludere leggendovi le parole
finali,
molto belle e simpatiche, di una poesia del filosof
o Manlio Sgalambro: i mille astuti agguati di un ba
ndito
sono meno complicati del gesto di un amico; la scop
erta di un nuovo continente, l'irresistibile ascesa
di un
capo, il pianto sfrenato di una vedova, nulla sono
in confronto al gesto di un amico. Amici. Un detto
greco
dice: "Non ci sono amici". Ma che m'importa dei gre
ci...
Lettura del profeta Isaia 30, 18-26b
L'orizzonte, entro cui ci si muove, è il mondo Assi
ro, violento di una violenza predatoria, che vuole
combattere, vincere e saccheggiare i popoli dell'ar
ea mediterranea. Perciò tutti sono in subbuglio, po
iché la
guerra procura devastazione e morte. In Gerusalemme
i consiglieri e il re, responsabili dei rapporti c
on i
popolo vicini, stanno progettando alleanze con l'Eg
itto. Il profeta suggerisce invece che l'unico rime
dio debba
essere il ritorno a Dio, senza confidare nelle alle
anze.
Perciò tutta la prima parte del cap. 30 è una duris
sima critica a questa fiducia nell'Egitto dei farao
ni. Tra
l'altro l'Egitto viene chiamato "Rahab l'oziosa" (3
0,7) e Rahab è il mostro marino femminile della mit
ologia
corrente (a Babilonia è chiamato Tiamat) che Dio sc
onfigge nella creazione quando controlla e mette i
confini al mare. Scelte non fondate sulla fiducia n
el Signore comportano per se stesse tragedie e scon
fitte: "Il
Signore aspetta con fiducia per farvi grazia, per q
uesto sorge per avere pietà di voi, perché un Dio g
iusto è il
Signore; beati coloro che sperano in lui" (v 18).
Questo popolo deve mettere in conto che ci saranno
sofferenze ("Anche se il Signore ti darà il pane
dell'afflizione e l'acqua della tribolazione" v 20)
e ci saranno momenti tristi. Ma tutto questo non d
imostrerà
certamente che Dio vi abbia dimenticati. Anzi il Si
gnore vi accompagnerà con dolcezza e vi correggerà
se vi
saranno sbandamenti. (v 21). Le deviazioni sono in
riferimento a quelle accettate tentazioni dl rivolg
ersi agli
idoli. E il male che fa l'idolatria non è sempre co
mpreso. Gli dei, costruiti dagli uomini con legno e
metallo,
non hanno e non propongono un orientamento morale.
Allora tutta la legge di Dio, che è stata data sul
Sinai
nel deserto per conservare la propria libertà, dive
nta insignificante. Quando la si dimentica, si dive
nta schiavi
delle proprie passioni senza verifiche e senza aiut
i.
Ma se Israele si purificherà, allora ci saranno gra
ndi doni per il lavoro che darà frutto. Si parla di
agricoltura e
di pastorizia che rappresentano i lavoro comuni e r
aggiungeranno risultati floridi. Le immagini si acc
avallano
per raccontare l'abbondanza, la bellezza e la bontà
dei doni.
Il contrasto interessante tra le torri che cadono (
le difese sono sbriciolate) e i canali e torrenti s
ui monti
dicono la difesa di Dio al popolo e l'abbondanza ag
ricola di raccolti e di bestiame che si sviluppano
perfino
su terreni inadatti all'agricoltura.
Anche la luce della luna e del sole aumenteranno in
credibilmente e Dio stesso si fa medico che guarisc
e "le
piaghe del suo popolo" (v 26).
Seconda Lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi 4,
1-6
In questa parte della lettera Paolo desidera svilup
pare un confronto tra l'Antica Alleanza con le sue
istituzioni
e la Nuova Alleanza e il suo ministero che ha già s
volto nella Comunità di Corinto, ma che alcuni cris
tiani,
ancora molto legati all'ebraismo e alla sua cultura
("giudaizzanti"), gli contestano. (cap. 3).
Così Paolo, nel cap. 4, che leggiamo in parte oggi,
inizia la descrizione del ministero della Nuova Al
leanza,
chiamato in precedenza, "il ministero dello Spirito
". Paolo afferma con convinzione e consapevolezza c
he
centro della propria predicazione è "Gesù, Messia e
Signore" e che sua preoccupazione è quella di far
splendere nel mondo la luce divina che brilla sul v
olto di Gesù.
Paolo stesso elenca le esigenze che il suo minister
o comporta: manifestare la verità alla coscienza di
ciascuno, preoccupato di non dissimularla, non nasc
onderla, proposta con un coordinamento corretto e
coerente, in modo integro.
Paolo si impegna di dare un profilo alto dell'apost
olo, ricco della sua esperienza di evangelizzatore
itinerante: costanza, fortezza di spirito, sincerit
à, fedeltà, umiltà, servizio.
Paolo si rammarica, ma constata che il Vangelo pred
icato non è percepito nella sua genuinità e risulta