domenica 13 dicembre 2015

V DOMENICA DI AVVENTO ANNO C

A pochi giorni dal Natale, vi faccio notare come la liturgia non ci propone i brani di vangelo che rac contano gli eventi immediatamente precedenti la nascita di Gesù. A parte il fatto che dei 4 vangeli, solo quel lo di Matteo e soprattutto quello di Luca raccontano qual cosa, e li ascolteranno nelle ferie prenatalizie ch e inizieranno settimana prossima quelli che verranno a messa, i giorni che più
banalmente continuiamo a chiamare i giorni della novena di Natale. Al contra rio, i vangeli di Marco e di Giovanni non ne parlan o neppure, e infatti iniziano parlando di Gesù quando è già un uomo adulto e lo fanno presentando la grandiosa figura di Giovanni Battista come il precu rsore di Gesù, colui che preannuncia, che prepara i suoi discepoli ad accogliere il Messia: Non sono io il C risto, ma sono stato mandato davanti a lui. Una sce lta liturgica molto interessante, perché serve poco con templare la nascita di Gesù se non lo riconosco com e il Cristo, il Salvatore, se non preparo il mio cuore a d accogliere il suo insegnamento, se non mi lascio sconvolgere la vita da Gesù nello stesso modo in cu i la vita di una coppia di genitori viene sconvolta in tutti i sensi quando nasce un figlio. Come un bambino morir ebbe immediatamente se non ci si prendesse cura di lui, con tutti gli annessi e connessi, allo stesso modo Gesù morirebbe il giorno stesso di Natale se i o non lo accolgo. Per cui il Natale non è una data del calen dario: quello è il Natale in sé. Il vero Natale è q uello in me, quando davvero Gesù diventa il punto di riferimento della mia vita, nel senso che mi accorgo che davve ro è lui il salvatore della mia vita, che senza di lui n on posso fare nulla di buono, che solo lui ha parol e che conducono alla vita eterna, perché egli è il Signor e, via, verità e vita. Per usare le parole di Paolo nella seconda lettura: il Vangelo resterebbe altrimenti v elato, la mente resterebbe accecata perché non vedremmo il glorioso vangelo di Cristo, che è immag ine di Dio. Dio che disse “Rifulga la luce dalle te nebre”, ha fatto risplendere la sua gloria sul volto di Cri sto, e questa gloria deve rifulgere nei nostri cuor i. Fin qui san Paolo. Giovanni, invece, nel suo vangelo, per i ndicare questo rapporto intimo con Gesù, usa spesso la parola amicizia, come spiega bene il cardinal Marti ni in un suo commento al vangelo di Giovanni. L’ami cizia è fidarsi fino in fondo dell’altro, è sentirsi a pr oprio agio con l’altro, è uno scoppio di gioia. Ari stotele scrisse che l’amicizia è quel bene senza il quale nessuno s ceglierebbe di vivere, anche se possedesse tutti gl i altri beni. Dunque è molto bello che Giovanni usa il term ine amicizia per dire come deve essere il rapporto dell’uomo con Dio. Infatti è nel suo vangelo che Ge sù, per spiegare che i suoi discepoli devono amarsi tra loro come li ama lui, usa la parola amicizia: voi s iete miei amici se farete ciò che io vi comando, ne ssuno ha un amore più grande di quello di dare la vita per i propri amici, non vi chiamo più servi, ma amici. E nel suo vangelo vengono descritti alcuni rapporti di amiciz ia di Gesù e con Gesù. Penso ai due discepoli chiam ati per primi a fermarsi con lui, a vivere un’amicizia fatta di intimità. L’amicizia di Gesù con Marta e M aria, fatta di familiarità, dove non c’è soggezione, dove ci si dice quel che si pensa senza timore di essere giud icati, dove ci si sente per questo a proprio agio. L’amici zia con Lazzaro di fronte alla cui morte Gesù si me tte a piangere. Il legame tra Gesù e il discepolo che egl i amava, sempre al fianco di Gesù e che nell’ultima cena reclina la sua testa sul petto di Gesù. Il rapporto con Pietro al quale per tre volte Gesù chiede se l o ama più degli altri e a cui rinnova la sua amicizia nonosta nte il tradimento. E infine, l’ho lasciato per ulti mo, Giovanni Battista, che nel brano di oggi, presentando Gesù, definisce se stesso amico dello sposo, che gioisce quando sente la sua voce, arrivando a dire: egli deve cres cere, io diminuire. L’amico vero è dunque chi si pr eoccupa dell’altro, non di sé, che non è invidioso e posses sivo. Ancora di più. Nella prima lettura Isaia parl a di un maestro mandato da Dio ad indicare qual è la strada giusta da percorrere, quello che di fatto fece Gio vanni Battista. E dunque l’amico è colui che aiuta a perc orrere strade di vita e non di morte. Ecco, da ques to breve quadro, emergono dunque alcune caratteristich e molto belle di come Gesù ci è amico: è colui che da la vita, che vuole un intimo rapporto con lui, nel quale sentirci a proprio agio e non giudicati, che condivide il dolore, che è sempre a fianco, che desidera il n ostro bene e ne gioisce, e nel contempo ci lascia l iberi, senza sentimenti di invidia, gelosia e possesso. E’ così che Gesù ci guarda, ed è così che a nostra vo lta dovremmo imparare a vivere rapporti autentici di am icizia. Anzi, è proprio vivendo rapporti così con g li altri che possiamo provare sentimenti di gioia e pienezza , riuscendo ad avvertire la presenza di Dio amore, appunto perché Dio per primo, in Gesù, si comporta così con noi. Natale accade dunque quando riusciamo a vivere questo rapporto di amicizia col Signore ch e poi si riflette nel modo di vivere rapporti di am icizia fraterni. È la grazia che vogliamo chiedere oggi al Signore. E voglio concludere leggendovi le parole finali, molto belle e simpatiche, di una poesia del filosof o Manlio Sgalambro: i mille astuti agguati di un ba ndito sono meno complicati del gesto di un amico; la scop erta di un nuovo continente, l'irresistibile ascesa di un capo, il pianto sfrenato di una vedova, nulla sono in confronto al gesto di un amico. Amici. Un detto greco dice: "Non ci sono amici". Ma che m'importa dei gre ci... Lettura del profeta Isaia 30, 18-26b L'orizzonte, entro cui ci si muove, è il mondo Assi ro, violento di una violenza predatoria, che vuole combattere, vincere e saccheggiare i popoli dell'ar ea mediterranea. Perciò tutti sono in subbuglio, po iché la guerra procura devastazione e morte. In Gerusalemme i consiglieri e il re, responsabili dei rapporti c on i popolo vicini, stanno progettando alleanze con l'Eg itto. Il profeta suggerisce invece che l'unico rime dio debba essere il ritorno a Dio, senza confidare nelle alle anze. Perciò tutta la prima parte del cap. 30 è una duris sima critica a questa fiducia nell'Egitto dei farao ni. Tra l'altro l'Egitto viene chiamato "Rahab l'oziosa" (3 0,7) e Rahab è il mostro marino femminile della mit ologia corrente (a Babilonia è chiamato Tiamat) che Dio sc onfigge nella creazione quando controlla e mette i confini al mare. Scelte non fondate sulla fiducia n el Signore comportano per se stesse tragedie e scon fitte: "Il Signore aspetta con fiducia per farvi grazia, per q uesto sorge per avere pietà di voi, perché un Dio g iusto è il Signore; beati coloro che sperano in lui" (v 18). Questo popolo deve mettere in conto che ci saranno sofferenze ("Anche se il Signore ti darà il pane dell'afflizione e l'acqua della tribolazione" v 20) e ci saranno momenti tristi. Ma tutto questo non d imostrerà certamente che Dio vi abbia dimenticati. Anzi il Si gnore vi accompagnerà con dolcezza e vi correggerà se vi saranno sbandamenti. (v 21). Le deviazioni sono in riferimento a quelle accettate tentazioni dl rivolg ersi agli idoli. E il male che fa l'idolatria non è sempre co mpreso. Gli dei, costruiti dagli uomini con legno e metallo, non hanno e non propongono un orientamento morale. Allora tutta la legge di Dio, che è stata data sul Sinai nel deserto per conservare la propria libertà, dive nta insignificante. Quando la si dimentica, si dive nta schiavi delle proprie passioni senza verifiche e senza aiut i. Ma se Israele si purificherà, allora ci saranno gra ndi doni per il lavoro che darà frutto. Si parla di agricoltura e di pastorizia che rappresentano i lavoro comuni e r aggiungeranno risultati floridi. Le immagini si acc avallano per raccontare l'abbondanza, la bellezza e la bontà dei doni. Il contrasto interessante tra le torri che cadono ( le difese sono sbriciolate) e i canali e torrenti s ui monti dicono la difesa di Dio al popolo e l'abbondanza ag ricola di raccolti e di bestiame che si sviluppano perfino su terreni inadatti all'agricoltura. Anche la luce della luna e del sole aumenteranno in credibilmente e Dio stesso si fa medico che guarisc e "le piaghe del suo popolo" (v 26). Seconda Lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi 4, 1-6 In questa parte della lettera Paolo desidera svilup pare un confronto tra l'Antica Alleanza con le sue istituzioni e la Nuova Alleanza e il suo ministero che ha già s volto nella Comunità di Corinto, ma che alcuni cris tiani, ancora molto legati all'ebraismo e alla sua cultura ("giudaizzanti"), gli contestano. (cap. 3). Così Paolo, nel cap. 4, che leggiamo in parte oggi, inizia la descrizione del ministero della Nuova Al leanza, chiamato in precedenza, "il ministero dello Spirito ". Paolo afferma con convinzione e consapevolezza c he centro della propria predicazione è "Gesù, Messia e Signore" e che sua preoccupazione è quella di far splendere nel mondo la luce divina che brilla sul v olto di Gesù. Paolo stesso elenca le esigenze che il suo minister o comporta: manifestare la verità alla coscienza di ciascuno, preoccupato di non dissimularla, non nasc onderla, proposta con un coordinamento corretto e coerente, in modo integro. Paolo si impegna di dare un profilo alto dell'apost olo, ricco della sua esperienza di evangelizzatore itinerante: costanza, fortezza di spirito, sincerit à, fedeltà, umiltà, servizio. Paolo si rammarica, ma constata che il Vangelo pred icato non è percepito nella sua genuinità e risulta