domenica 6 dicembre 2015

IV DOMENICA DI AVVENTO ANNO C

Noi fedeli ambrosiani siamo abituati ad ascoltare i n Avvento lo stesso vangelo che si legge la domenic a delle Palme, dunque un testo pasquale. Perché questa scelta litu rgica? L’ingresso del Messia, così si intitola ques ta quarta domenica di Avvento, e il Messia, il Cristo, che no i riconosciamo essere Gesù, fa il suo ingresso nel mondo con la sua nascita nella carne che celebriamo
a Natale e viene da molti riconosciuto Messia nel suo solenne ingre sso a Gerusalemme sei giorni prima della sua passione, mo rte e risurrezione, ed è proprio la Pasqua che svel a il senso del Natale: solo guardando al Cristo crocifisso e risor to si capisce per quale motivo Dio si è fatto uomo e quindi chi è questo Dio. Questo Signore che a Betlemme, nel suo Natale, ha la figura di un bambino, a Pasqua ha la figura di un asino, ed entrambe le cose dicono la stessa cosa, e cioè che il nostro Dio non è chissà dove, ma è qui , è con me, è uno come me, è dentro di me, condivide con me in tu tto e per tutto le mie fragilità, le mie difficoltà , le mie croci, le mie sofferenze, i miei limiti e problemi, le mie sp eranze, i miei bisogni. Un Dio scandaloso perché tu tti gli uomini e anche noi ci aspetteremmo altro. Per questo Gesù ne l vangelo di domenica scorsa diceva: beato chi non si scandalizza di me. Perché invece è questo il modo i n cui Dio ci ama: non facendo il mago che ci risolv e i problemi, ma condividendo e dandoci la reale possibilità di vive re in modo autentico l’esistenza e di affrontare il male che ci sovrasta, con la forza della sua Parola, dei sacram enti, del suo Spirito, che ci rendono capaci, se lo vogliamo, di vivere come Gesù, sapendo che vivendo così otteniamo gioia , pace, salvezza, vita eterna, ma questo dipende da noi, da ciascuno, dalla libertà di ciascuno. Il Natale acca de non il 25 dicembre, ma quando davvero Gesù nasce in me, e allora è subito Pasqua, perché questa nascita in me genera il passaggio dalla morte alla vita, dalla v ita nel peccato alla vita nello Spirito, dalla schiavitù alla liber tà. Il nome stesso, Gesù, significa Dio salva: per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo. E la salvezza è questa, una vita libera, non più schiava della paur a della morte e di tutte le altre paure che nascono da questo, perché Gesù rivela il volto di un Dio che ci vuole con sé per sempre perché è Padre. E l’autore della lungo e difficile brano della lettera agli Ebrei usa spesso una parol a che esprime bene cosa significa permettere l’ingresso del Messia den tro di noi affinchè egli nasca e possa salvarci, la parola, il verbo sottomettere, ripetuto in alcune espressioni per 5 volte. Un verbo che ci fa storcere il naso, perché nessuno di noi vuole essere sottomesso a nessuno. In realtà poi no n è così, perché di fatto noi siamo sempre sottomes si al nostro io, che ci rende schiavi del peccato, dei nostri is tinti e desideri che ci conducono al male. Avendo i nvece sottomesso a lui tutte le cose, nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso, dice la lettera agli Ebrei. Sotto mettersi a Cristo vuol dire dunque sottomettere a lui tutto ciò che ci imp edisce di vivere la vita in modo vero e autentico, e quindi, in realtà, a differenza di quello che verrebbe immedia tamente da pensare, il sottomettersi a Cristo, non è schiavitù, ma è riporre in lui la nostra fiducia, e quindi libert à. Liberi di amare, come l’asinello che viene slega to, perché ci sentiamo amati da un Dio così. Se ricordate, sempre nel vangelo di Luca, la notte di Natale gli angeli dicono pace in terra e gloria in cielo. Qui invece si dice: Pace i n cielo! Certo, perché Dio trova pace quando gli uo mini lo accolgono così, per quello che è, come colui che ci ama. Solo così può iniziare il regno di Dio, perché Dio regn a quando noi lo accogliamo così, e i frutti dell’amore cominciano a d estendersi. Si realizzano le difficili parole di Isaia ascoltate nella lettura dove si parlava di un nuovo inizio per Geru salemme, destinata a qualcosa di grande grazie all’ intervento purificatore di Dio che cancella il peccato. Un don o che dunque dobbiamo imparare ad accogliere: alzat evi, porte eterne, ed entri il re della gloria, abbiamo ripetu to nel ritornello del salmo. Aprire le porte del cu ore al Signore, perché diventi davvero il Signore della mia vita, è il modo vero col quale prepararsi al Natale, perch é davvero il Natale accada. Lo sappiamo bene quanto siano import anti i preparativi. Prepararsi al Natale, perché da vvero accada la nostra Pasqua, vuol dire questo, e per fare ques to occorre che ognuno trovi spazi di silenzio dove mettersi davanti al Signore che ci parla con la sua Parola, ascoltar lo, guardare dentro di sé per vedere dove questa pa rola ci raggiunge. I preparativi di pranzi, cene, luminarie , regali, sono decorazioni, tutte cose belle, ma no n essenziali, simili ai mantelli gettati sull’asino e stesi sulla strada dai discepoli per accogliere Gesù a Gerusalemme. S e qualcuno vi domanda perché, risponderete così: Il Signore ne ha bisogno. Ma non era ai mantelli che Gesù si riferi va. Non era di quelli che aveva bisogno per entrare a Gerusalemme. Quelli erano segni di devozione. Gesù aveva bisogn o di un asino pronto per essere slegato e su cui salire. Si amo chiamati a portare Cristo sulle spalle, sottome tterci a Lui come Lui si è sottomesso all’amore del Padre, per scopri re che in realtà è Lui l’asino che porta noi sulle strade che conducono alla libertà, per arrivare a scoprire che in sostanza Dio pesa quanto la felicità.