Noi fedeli ambrosiani siamo abituati ad ascoltare i
n Avvento lo stesso vangelo che si legge la domenic
a delle Palme,
dunque un testo pasquale. Perché questa scelta litu
rgica? L’ingresso del Messia, così si intitola ques
ta quarta
domenica di Avvento, e il Messia, il Cristo, che no
i riconosciamo essere Gesù, fa il suo ingresso nel
mondo con la sua
nascita nella carne che celebriamo
a Natale e viene
da molti riconosciuto Messia nel suo solenne ingre
sso a
Gerusalemme sei giorni prima della sua passione, mo
rte e risurrezione, ed è proprio la Pasqua che svel
a il senso del
Natale: solo guardando al Cristo crocifisso e risor
to si capisce per quale motivo Dio si è fatto uomo
e quindi chi è
questo Dio. Questo Signore che a Betlemme, nel suo
Natale, ha la figura di un bambino, a Pasqua ha la
figura di un
asino, ed entrambe le cose dicono la stessa cosa, e
cioè che il nostro Dio non è chissà dove, ma è qui
, è con me, è
uno come me, è dentro di me, condivide con me in tu
tto e per tutto le mie fragilità, le mie difficoltà
, le mie croci, le
mie sofferenze, i miei limiti e problemi, le mie sp
eranze, i miei bisogni. Un Dio scandaloso perché tu
tti gli uomini e
anche noi ci aspetteremmo altro. Per questo Gesù ne
l vangelo di domenica scorsa diceva: beato chi non
si
scandalizza di me. Perché invece è questo il modo i
n cui Dio ci ama: non facendo il mago che ci risolv
e i problemi, ma
condividendo e dandoci la reale possibilità di vive
re in modo autentico l’esistenza e di affrontare il
male che ci
sovrasta, con la forza della sua Parola, dei sacram
enti, del suo Spirito, che ci rendono capaci, se lo
vogliamo, di vivere
come Gesù, sapendo che vivendo così otteniamo gioia
, pace, salvezza, vita eterna, ma questo dipende da
noi, da
ciascuno, dalla libertà di ciascuno. Il Natale acca
de non il 25 dicembre, ma quando davvero Gesù nasce
in me, e
allora è subito Pasqua, perché questa nascita in me
genera il passaggio dalla morte alla vita, dalla v
ita nel peccato
alla vita nello Spirito, dalla schiavitù alla liber
tà. Il nome stesso, Gesù, significa Dio salva: per
noi uomini e per la
nostra salvezza discese dal cielo. E la salvezza è
questa, una vita libera, non più schiava della paur
a della morte e di
tutte le altre paure che nascono da questo, perché
Gesù rivela il volto di un Dio che ci vuole con sé
per sempre
perché è Padre. E l’autore della lungo e difficile
brano della lettera agli Ebrei usa spesso una parol
a che esprime bene
cosa significa permettere l’ingresso del Messia den
tro di noi affinchè egli nasca e possa salvarci, la
parola, il verbo
sottomettere, ripetuto in alcune espressioni per 5
volte. Un verbo che ci fa storcere il naso, perché
nessuno di noi
vuole essere sottomesso a nessuno. In realtà poi no
n è così, perché di fatto noi siamo sempre sottomes
si al nostro
io, che ci rende schiavi del peccato, dei nostri is
tinti e desideri che ci conducono al male. Avendo i
nvece sottomesso
a lui tutte le cose, nulla ha lasciato che non gli
fosse sottomesso, dice la lettera agli Ebrei. Sotto
mettersi a Cristo vuol
dire dunque sottomettere a lui tutto ciò che ci imp
edisce di vivere la vita in modo vero e autentico,
e quindi, in
realtà, a differenza di quello che verrebbe immedia
tamente da pensare, il sottomettersi a Cristo, non
è schiavitù, ma
è riporre in lui la nostra fiducia, e quindi libert
à. Liberi di amare, come l’asinello che viene slega
to, perché ci
sentiamo amati da un Dio così. Se ricordate, sempre
nel vangelo di Luca, la notte di Natale gli angeli
dicono pace in
terra e gloria in cielo. Qui invece si dice: Pace i
n cielo! Certo, perché Dio trova pace quando gli uo
mini lo accolgono
così, per quello che è, come colui che ci ama. Solo
così può iniziare il regno di Dio, perché Dio regn
a quando noi lo
accogliamo così, e i frutti dell’amore cominciano a
d estendersi. Si realizzano le difficili parole di
Isaia ascoltate nella
lettura dove si parlava di un nuovo inizio per Geru
salemme, destinata a qualcosa di grande grazie all’
intervento
purificatore di Dio che cancella il peccato. Un don
o che dunque dobbiamo imparare ad accogliere: alzat
evi, porte
eterne, ed entri il re della gloria, abbiamo ripetu
to nel ritornello del salmo. Aprire le porte del cu
ore al Signore,
perché diventi davvero il Signore della mia vita, è
il modo vero col quale prepararsi al Natale, perch
é davvero il
Natale accada. Lo sappiamo bene quanto siano import
anti i preparativi. Prepararsi al Natale, perché da
vvero accada
la nostra Pasqua, vuol dire questo, e per fare ques
to occorre che ognuno trovi spazi di silenzio dove
mettersi davanti
al Signore che ci parla con la sua Parola, ascoltar
lo, guardare dentro di sé per vedere dove questa pa
rola ci
raggiunge. I preparativi di pranzi, cene, luminarie
, regali, sono decorazioni, tutte cose belle, ma no
n essenziali, simili
ai mantelli gettati sull’asino e stesi sulla strada
dai discepoli per accogliere Gesù a Gerusalemme. S
e qualcuno vi
domanda perché, risponderete così: Il Signore ne ha
bisogno. Ma non era ai mantelli che Gesù si riferi
va. Non era di
quelli che aveva bisogno per entrare a Gerusalemme.
Quelli erano segni di devozione. Gesù aveva bisogn
o di un
asino pronto per essere slegato e su cui salire. Si
amo chiamati a portare Cristo sulle spalle, sottome
tterci a Lui come
Lui si è sottomesso all’amore del Padre, per scopri
re che in realtà è Lui l’asino che porta noi sulle
strade che
conducono alla libertà, per arrivare a scoprire che
in sostanza Dio pesa quanto la felicità.