giovedì 7 aprile 2016

CATECHESI ADULTI 2015/2016: GENESI 1-11

SETTI MO INCONTRO: GENESI 11 LA TORRE DI BABELE 
1 Tutta la terra aveva un'unica lingua e uniche par ole. 2 Emigrando dall'oriente, gli uomini capitaron o in una pianura nella regione di Sinar e vi si stabilirono. 3 Si di ssero l'un l'altro: «Venite, facciamoci mattoni e cu ociamoli al fuoco». Il mattone servì loro da pietra e il bitume da malta. 4 Poi dissero:
«Venite, costruiamoci una città e un a torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra». 5 Ma il Signore sce se a vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavano co struendo. 6 Il Signore disse: «Ecco, essi sono un u nico popolo e hanno tutti un'unica lingua; questo è l'inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. 7 Scendiamo dunque e confondiamo la lor o lingua, perché non comprendano più l'uno la lingu a dell'altro».8 Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. 9 Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tu tta la terra e di là il Signore li disperse su tutt a la terra.

Normalmente questo testo è interpretato come raccon to di una punizione di Dio come risposta all’orgogl io umano che vuole raggiungere l’immortalità, diventare come Dio e sostituirsi a Lui. E così, per spiegare come mai nel mondo si parlano lingue diverse e vi sono popoli con culture che non si comprendono e si combattono, si ricorre a questo te sto: è una punizione divina per l’orgoglio umano ch e vuole “farsi un nome”, cioè diventare come Dio. E il collegament o del nome Babele (di per sé in ebraico derivato da lla radice che indica confondere, confusione) con la città di Babi lonia, dove c’erano templi a gradini (le ziggurat), il più alto e imponente dei quali era stato costruito proprio neg li anni della deportazione degli ebrei nel VI secol o a.C., sembra dare ragione di questa interpretazione. Contro ques ta interpretazione ci sono diversi elementi. Innanzitutto non si capisce in che cosa consista il vero peccato degli uomini perché qui Dio non aveva dato nessun divieto a riguardo. Inoltre Dio non si esprime con ira a cui debba seguire una condanna e una pena, pi uttosto Dio esprime un timore:quanto gli uomini avranno in prog etto di fare non sarà loro impossibile (v. 6). E pe rché mai Dio ha questo timore? Per capirlo dobbiamo vedere cosa era successo prima , al capitolo 10 dove si parla delle genealogie dei tre figli di Noè (Sem, Cam e Iafet), che sono una vera e propria "ta vola dei popoli" che abbraccia tutto il "mondo" all ora conosciuto. E questa diversità era stata presentata in tutta la sua bellezza proprio come risposta al comandamento di Dio: Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra (Genes i 1, 28 e 9, 1). Non c'è altra possibilità di farlo se non grazie alla "dispersione" dei popoli: Da costoro derivarono le genti disperse per le isole, nei loro territori, ci ascuna secondo la propria lingua e secondo le loro famiglie, nelle ri spettive nazioni (10, 5). In seguito si dispersero le famiglie dei Cananei (10, 18). Queste furono le famiglie dei fig li di Noè secondo le loro genealogie, nelle rispett ive nazioni. Da costoro si dispersero le nazioni sulla terra dopo i l diluvio (10, 32). Ed è proprio questo timore di essere dispersi che s pinge l’umanità, nel racconto della torre di Babele , a desiderare di costruire la città e la torre. E il risultato è che Dio li disperde di nuovo: una strana "punizione", dal momento che il disegno di Dio è proprio quello che gli uomini sian o diversi e abitino tutta la terra. Il punto è che nell’episodio di Babele gli uomini hanno la pretesa di essere uniti arrivando a parlare tutti la stessa lingua, che sig nifica: uniformità culturale. Invece, il progetto che Dio ha in serbo per l'umanità non è questo, ma è l’unità nella dive rsità, resa possibile se gli uomini si riconoscono fratelli per ché figli di un unico Padre, rispettando la diversi tà di ciascuno. L'espressione che apre il racconto in 11, 1, tutta la terra aveva un'unica lingua e uniche parole, ind ica proprio quell’uniformità culturale ritenuta come un bene, c ome necessaria, come buona, che era quello che vole vano fare i babilonesi e poi Alessandro Magno e la cultura grec o-macedone ellenistica. Per cui il racconto del des iderio espresso dalle parole: Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, di 11, 4, può senz'altro essere considerato come il desiderio di ogni totalitarismo e di ogni imperialismo, il delir io del dominio umano ha sempre imposto anche uniformità di cultura , costume, morale, "teologia" e pensiero. "Pensiero unico" che regoli ogni pensiero individuo. E attenzione: il no stro testo potrebbe anche essere una critica dei te ntativi religiosi di reprimere il pluralismo. Lo stesso può valere oggi nella tentazione dell'esportazione forzata di un un ico modello di democrazia, considerato quello "buono", o della log ica globalizzata del mercato. Giovanni Paolo II nel 2001 affermava: «La globalizzazione è divenuta rapidamen te un fenomeno culturale. Il mercato come meccanism o di scambio è divenuto lo strumento di una nuova cultur a. Molti osservatori hanno colto il carattere intru sivo, perfino invasivo, della logica di mercato, che riduce sempr e più l'area disponibile alla comunità umana per l' azione pubblica e volontaria a ogni livello. Il mercato impone il s uo modo di pensare e di agire e imprime sul comport amento la sua scala di valori. Le persone che ne sono soggette sp esso considerano la globalizzazione come un'inondaz ione distruttiva che minaccia le norme sociali che le ha nno tutelate e i punti di riferimento culturali che hanno dato loro un orientamento di vita. [...] La globalizzazione n on deve essere un nuovo tipo di colonialismo. Deve rispettare la diversità delle culture che, nell'ambito dell'armon ia universale dei popoli, sono le chiavi interpreta tive della vita. In particolare, non deve privare i poveri di ciò che r esta loro di più prezioso, incluse le credenze e le pratiche religiose, poiché convinzioni religiose autentiche sono la man ifestazione più chiara della libertà umana» (discor so alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali del 27 a prile 2001). Quindi questo testo rappresenta una feroce critica di ogni anelito umano ad appiattire differenze e di versità, nell'imposizione del "pensiero unico" per farsi un nome. Non si può più parlare dell'unità dell'umanit à allora? Forse sarebbe meglio parlare non di unità, ma di cooperaz ione; non di unificazione, ma di armonia; non di un iformità, ma di concordia. Se è da sempre compito difficile e pr oblematico per l'umanità fare i conti con la variet à dei popoli e con la difficoltà delle diverse parole con cui si può d ire l'esperienza umana - che è la caratteristica de lle differenti culture- , la soluzione non può essere il semplice annullame nto delle differenze per costruire "una sola città" che voglia arrivare a essere immortale e onnicomprensiva. Il c ammino che il testo propone apre la strada, invece, alla possibilità del riconoscimento dei diversi come "fr atelli e sorelle", figlie e figli tutti dell'unico padre che non è Abramo (l'identità etnica e religiosa nel monoteism o storico), ma Noè (il giusto con cui viene stipula ta l'alleanza eterna di Dio nei confronti di tutta l'umanità, cfr Genesi 9). Il testo biblico propone cioè sia una p ista di autocomprensione del popolo di Israele nei confront i del resto dell'umanità ("tutti i popoli sono tuoi fratelli anche se non condividono con te la fede nel Signore Dio"), s ia una modalità di possibili relazioni ("per non fa rsi guerra occorre comprendersi anche se si hanno diverse lingue e div erse parole"). Il fatto che il Nuovo Testamento ved rà questo processo possibile solo grazie all'intervento dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste vorrà pur d ire qualcosa... “Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre mi conosce e io conosco il Padre , e do (dispongo) la mia vita per le pecore” (v. 15). L’am ore con cui il Padre ama il Figlio è lo stesso amor e con cui il Figlio ama noi. “Ho altre pecore che non provengono da que sto recinto” (v.16) In alcune traduzioni troviamo l a parola ovile invece di recinto e non va bene. Recinto ha tutta l a portata negativa di coercizione, di mungitura, di macellazione. Cristo è venuto per liberare l’umanità dai recinti di tutti i tempi. “Dio vuole che tutti gli uomini s iano salvi”. La salvezza portataci da Cristo che ci ama di un amore “folle” è per tutti e per tutti i tempi, non solo per la chiesa cattolica, santa e apostolica! E’ per tutti: per tu tta l’umanità, per tutte le chiese, le religioni, p er tutti i pagani, per tutti... Capite che così le cose cambiano! Gesù è ven uto a spezzare un recinto, a creare una porta perch é tutti gli uomini possano essere salvi. “Ascolteranno la mia v oce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore” (v. 16) Stiamo attenti. Giovanni non usa mai una parola sen za averla prima soppesata. Scrive “un solo gregge, un solo pastore”. Purtroppo è stato tradotto e usato il ter mine: “ovile”. Pericolosissimo! E’ come dire che tu tti dovranno entrare nella Chiesa e questo versetto è stato usat o per perpetrare le violenze più assurde sugli uomi ni! “E’ scritto così”, bisogna far entrare tutti nello stesso ovile e - guarda caso - l’ovile sarà quello della Chiesa cattolica. Gesù è venuto perché tutti gli uomini arrivino alla libert à. L’obiettivo di Dio è che gli uomini arrivino ad usare la propria intelligenza per arrivare ad essere pienamente bell i, capaci di amare. Tra la fine del 300 e il 400 c’ era un filosofo che aveva questa idea di ecumenismo e usava questo vers etto per dire che arriverà finalmente il tempo in c ui ci sarà finalmente un solo ovile. In un’epoca in cui c’era no greci,tartari, saraceni, cattolici, questo perso naggio diceva: “Verrà il tempo che i greci torneranno all’obbedien za della Chiesa cattolica romana, i tartari si conv ertiranno alla fede e i saraceni saranno distrutti e ci sarà final mente un solo gregge e un solo pastore”. A costo di far entrare tutti nella Chiesa cattolica... li facciamo anche fuori! Il vero ecumenismo è far comunione esaltando le diffe renze. Non si tratta solo di ecumenismo ecclesiastico, ma vuol di re fare ecumenismo anche a livello civile, nelle no stre relazioni. Abbiamo una paura tremenda delle differenze! Noi vo rremmo frullare tutto. Invece la verità è comunione che esalta le differenze, è permettere che ciascuno sia pienam ente se stesso e in questa differenza amarsi come f ratelli. Altrimenti scadiamo nella concezione di Caino che p ensava di essere il primo, l’unigenito e, quando è arrivato Abele gli ha rovinato i piani, allora lo ha eliminato. La verità è esaltare le differenze e in queste differ enze creare possibilità di relazioni amorose. La differenza fa paura, a tut ti i livelli, perché mette in crisi. Una perversa i dea di pace ci fa pensare che questa avverrà quando tutti saremo omol ogati, quando non ci saranno più tensioni... La vera pace paradisiaca sarà quando le differenze (con tutte le conseguenze della differenza) saranno occasioni pe r vivere l’amore. Questo è il vero paradiso. Altrimenti fare mo sempre fuori tutti: chi la pensa in modo diverso , chi si veste in modo diverso, chi mangia in modo diverso... Non è un caso che dopo l’episodio di Caino abbiamo la torre di Babele. Il fatto che intervenga Dio, disperda e moltiplichi le lingue è un atto di benedizione e non di maledizio ne. La maledizione era quando tutti avevano la stessa ling ua. Se tutto è omologato vuol dire che c’è qualcuno -capo che gestisce il tutto. Dio non può accettare che ci sia un solo “capo” pensante e tutte le membra debbano sottostare a questo. Ben venga un Dio che frantumi questa torre di Babele che si sta costruendo. L’episodio biblico viene sempre interpretato come una punizione da parte di Dio, è invece un atto di benedizione: l’amore esalta le di fferenze. Quando una coppia molto avanti negli anni, viene a dirmi che ormai sono una cosa sola, che pensano una cosa sola, che ormai basta anche non parlare più..,io dico - d entro di me - “poveri voi!”. Vuol dire che uno dei due è diventato un piccolo dittatore, che ha imposto il suo modo di pensare, di vedere. Dopo una vita passata insieme dovreste essere sempre più diversi. L’amore permette all’alt ro di essere quello che è veramente... anche a costo di esporre, deporre la propria vita. Se non deponi la vita, tu la imponi sull’altro.