SETTI
MO INCONTRO: GENESI 11 LA TORRE DI BABELE
1 Tutta la terra aveva un'unica lingua e uniche par
ole. 2 Emigrando dall'oriente, gli uomini capitaron
o in una pianura
nella regione di Sinar e vi si stabilirono. 3 Si di
ssero l'un l'altro: «Venite, facciamoci mattoni e cu
ociamoli al fuoco». Il
mattone servì loro da pietra e il bitume da malta.
4 Poi dissero:
«Venite, costruiamoci una città e un
a torre, la cui
cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non
disperderci su tutta la terra». 5 Ma il Signore sce
se a vedere la
città e la torre che i figli degli uomini stavano co
struendo. 6 Il Signore disse: «Ecco, essi sono un u
nico popolo e hanno
tutti un'unica lingua; questo è l'inizio della loro
opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non
sarà loro
impossibile. 7 Scendiamo dunque e confondiamo la lor
o lingua, perché non comprendano più l'uno la lingu
a
dell'altro».8 Il Signore li disperse di là su tutta
la terra ed essi cessarono di costruire la città.
9 Per questo la si chiamò
Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tu
tta la terra e di là il Signore li disperse su tutt
a la terra.
Normalmente questo testo è interpretato come raccon
to di una punizione di Dio come risposta all’orgogl
io umano
che vuole raggiungere l’immortalità, diventare come
Dio e sostituirsi a Lui.
E così, per spiegare come mai nel mondo si parlano
lingue diverse e vi sono popoli con culture che non
si
comprendono e si combattono, si ricorre a questo te
sto: è una punizione divina per l’orgoglio umano ch
e vuole “farsi
un nome”, cioè diventare come Dio. E il collegament
o del nome Babele (di per sé in ebraico derivato da
lla radice che
indica confondere, confusione) con la città di Babi
lonia, dove c’erano templi a gradini (le ziggurat),
il più alto e
imponente dei quali era stato costruito proprio neg
li anni della deportazione degli ebrei nel VI secol
o a.C., sembra
dare ragione di questa interpretazione. Contro ques
ta interpretazione ci sono diversi elementi.
Innanzitutto non si capisce in che cosa consista il
vero peccato degli uomini perché qui Dio non aveva
dato nessun
divieto a riguardo. Inoltre Dio non si esprime con
ira a cui debba seguire una condanna e una pena, pi
uttosto Dio
esprime un timore:quanto gli uomini avranno in prog
etto di fare non sarà loro impossibile (v. 6). E pe
rché mai Dio ha
questo timore?
Per capirlo dobbiamo vedere cosa era successo prima
, al capitolo 10 dove si parla delle genealogie dei
tre figli di Noè
(Sem, Cam e Iafet), che sono una vera e propria "ta
vola dei popoli" che abbraccia tutto il "mondo" all
ora conosciuto.
E questa diversità era stata presentata in tutta la
sua bellezza proprio come risposta al comandamento
di Dio: Siate
fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra (Genes
i 1, 28 e 9, 1). Non c'è altra possibilità di farlo
se non grazie alla
"dispersione" dei popoli: Da costoro derivarono le
genti disperse per le isole, nei loro territori, ci
ascuna secondo la
propria lingua e secondo le loro famiglie, nelle ri
spettive nazioni (10, 5). In seguito si dispersero
le famiglie dei
Cananei (10, 18). Queste furono le famiglie dei fig
li di Noè secondo le loro genealogie, nelle rispett
ive nazioni. Da
costoro si dispersero le nazioni sulla terra dopo i
l diluvio (10, 32).
Ed è proprio questo timore di essere dispersi che s
pinge l’umanità, nel racconto della torre di Babele
, a desiderare di
costruire la città e la torre. E il risultato è che
Dio li disperde di nuovo: una strana "punizione",
dal momento che il
disegno di Dio è proprio quello che gli uomini sian
o diversi e abitino tutta la terra. Il punto è che
nell’episodio di
Babele gli uomini hanno la pretesa di essere uniti
arrivando a parlare tutti la stessa lingua, che sig
nifica: uniformità
culturale. Invece, il progetto che Dio ha in serbo
per l'umanità non è questo, ma è l’unità nella dive
rsità, resa
possibile se gli uomini si riconoscono fratelli per
ché figli di un unico Padre, rispettando la diversi
tà di ciascuno.
L'espressione che apre il racconto in 11, 1, tutta
la terra aveva un'unica lingua e uniche parole, ind
ica proprio
quell’uniformità culturale ritenuta come un bene, c
ome necessaria, come buona, che era quello che vole
vano fare i
babilonesi e poi Alessandro Magno e la cultura grec
o-macedone ellenistica. Per cui il racconto del des
iderio espresso
dalle parole: Venite, costruiamoci una città e una
torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un
nome, di 11, 4, può
senz'altro essere considerato come il desiderio di
ogni totalitarismo e di ogni imperialismo, il delir
io del dominio
umano ha sempre imposto anche uniformità di cultura
, costume, morale, "teologia" e pensiero. "Pensiero
unico" che
regoli ogni pensiero individuo. E attenzione: il no
stro testo potrebbe anche essere una critica dei te
ntativi religiosi di
reprimere il pluralismo. Lo stesso può valere oggi
nella tentazione dell'esportazione forzata di un un
ico modello di
democrazia, considerato quello "buono", o della log
ica globalizzata del mercato. Giovanni Paolo II nel
2001
affermava: «La globalizzazione è divenuta rapidamen
te un fenomeno culturale. Il mercato come meccanism
o di
scambio è divenuto lo strumento di una nuova cultur
a. Molti osservatori hanno colto il carattere intru
sivo, perfino
invasivo, della logica di mercato, che riduce sempr
e più l'area disponibile alla comunità umana per l'
azione pubblica
e volontaria a ogni livello. Il mercato impone il s
uo modo di pensare e di agire e imprime sul comport
amento la sua
scala di valori. Le persone che ne sono soggette sp
esso considerano la globalizzazione come un'inondaz
ione
distruttiva che minaccia le norme sociali che le ha
nno tutelate e i punti di riferimento culturali che
hanno dato loro
un orientamento di vita. [...] La globalizzazione n
on deve essere un nuovo tipo di colonialismo. Deve
rispettare la
diversità delle culture che, nell'ambito dell'armon
ia universale dei popoli, sono le chiavi interpreta
tive della vita. In
particolare, non deve privare i poveri di ciò che r
esta loro di più prezioso, incluse le credenze e le
pratiche religiose,
poiché convinzioni religiose autentiche sono la man
ifestazione più chiara della libertà umana» (discor
so alla
Pontificia Accademia delle Scienze Sociali del 27 a
prile 2001).
Quindi questo testo rappresenta una feroce critica
di ogni anelito umano ad appiattire differenze e di
versità,
nell'imposizione del "pensiero unico" per farsi un
nome. Non si può più parlare dell'unità dell'umanit
à allora? Forse
sarebbe meglio parlare non di unità, ma di cooperaz
ione; non di unificazione, ma di armonia; non di un
iformità, ma
di concordia. Se è da sempre compito difficile e pr
oblematico per l'umanità fare i conti con la variet
à dei popoli e con
la difficoltà delle diverse parole con cui si può d
ire l'esperienza umana - che è la caratteristica de
lle differenti culture-
, la soluzione non può essere il semplice annullame
nto delle differenze per costruire "una sola città"
che voglia
arrivare a essere immortale e onnicomprensiva. Il c
ammino che il testo propone apre la strada, invece,
alla
possibilità del riconoscimento dei diversi come "fr
atelli e sorelle", figlie e figli tutti dell'unico
padre che non è
Abramo (l'identità etnica e religiosa nel monoteism
o storico), ma Noè (il giusto con cui viene stipula
ta l'alleanza
eterna di Dio nei confronti di tutta l'umanità, cfr
Genesi 9). Il testo biblico propone cioè sia una p
ista di
autocomprensione del popolo di Israele nei confront
i del resto dell'umanità ("tutti i popoli sono tuoi
fratelli anche se
non condividono con te la fede nel Signore Dio"), s
ia una modalità di possibili relazioni ("per non fa
rsi guerra occorre
comprendersi anche se si hanno diverse lingue e div
erse parole"). Il fatto che il Nuovo Testamento ved
rà questo
processo possibile solo grazie all'intervento dello
Spirito Santo nel giorno di Pentecoste vorrà pur d
ire qualcosa...
“Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono
me, come il Padre mi conosce e io conosco il Padre
, e do
(dispongo) la mia vita per le pecore” (v. 15). L’am
ore con cui il Padre ama il Figlio è lo stesso amor
e con cui il Figlio
ama noi. “Ho altre pecore che non provengono da que
sto recinto” (v.16) In alcune traduzioni troviamo l
a parola ovile
invece di recinto e non va bene. Recinto ha tutta l
a portata negativa di coercizione, di mungitura, di
macellazione.
Cristo è venuto per liberare l’umanità dai recinti
di tutti i tempi. “Dio vuole che tutti gli uomini s
iano salvi”. La
salvezza portataci da Cristo che ci ama di un amore
“folle” è per tutti e per tutti i tempi, non solo
per la chiesa
cattolica, santa e apostolica! E’ per tutti: per tu
tta l’umanità, per tutte le chiese, le religioni, p
er tutti i pagani, per
tutti... Capite che così le cose cambiano! Gesù è ven
uto a spezzare un recinto, a creare una porta perch
é tutti gli
uomini possano essere salvi. “Ascolteranno la mia v
oce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore”
(v. 16)
Stiamo attenti. Giovanni non usa mai una parola sen
za averla prima soppesata. Scrive “un solo gregge,
un solo
pastore”. Purtroppo è stato tradotto e usato il ter
mine: “ovile”. Pericolosissimo! E’ come dire che tu
tti dovranno
entrare nella Chiesa e questo versetto è stato usat
o per perpetrare le violenze più assurde sugli uomi
ni! “E’ scritto
così”, bisogna far entrare tutti nello stesso ovile
e - guarda caso - l’ovile sarà quello della Chiesa
cattolica. Gesù è
venuto perché tutti gli uomini arrivino alla libert
à. L’obiettivo di Dio è che gli uomini arrivino ad
usare la propria
intelligenza per arrivare ad essere pienamente bell
i, capaci di amare. Tra la fine del 300 e il 400 c’
era un filosofo che
aveva questa idea di ecumenismo e usava questo vers
etto per dire che arriverà finalmente il tempo in c
ui ci sarà
finalmente un solo ovile. In un’epoca in cui c’era
no greci,tartari, saraceni, cattolici, questo perso
naggio diceva:
“Verrà il tempo che i greci torneranno all’obbedien
za della Chiesa cattolica romana, i tartari si conv
ertiranno alla
fede e i saraceni saranno distrutti e ci sarà final
mente un solo gregge e un solo pastore”. A costo di
far entrare tutti
nella Chiesa cattolica... li facciamo anche fuori! Il
vero ecumenismo è far comunione esaltando le diffe
renze. Non si
tratta solo di ecumenismo ecclesiastico, ma vuol di
re fare ecumenismo anche a livello civile, nelle no
stre relazioni.
Abbiamo una paura tremenda delle differenze! Noi vo
rremmo frullare tutto. Invece la verità è comunione
che esalta
le differenze, è permettere che ciascuno sia pienam
ente se stesso e in questa differenza amarsi come f
ratelli.
Altrimenti scadiamo nella concezione di Caino che p
ensava di essere il primo, l’unigenito e, quando è
arrivato Abele
gli ha rovinato i piani, allora lo ha eliminato. La
verità è esaltare le differenze e in queste differ
enze creare possibilità
di relazioni amorose. La differenza fa paura, a tut
ti i livelli, perché mette in crisi. Una perversa i
dea di pace ci fa
pensare che questa avverrà quando tutti saremo omol
ogati, quando non ci saranno più tensioni... La vera
pace
paradisiaca sarà quando le differenze (con tutte le
conseguenze della differenza) saranno occasioni pe
r vivere
l’amore. Questo è il vero paradiso. Altrimenti fare
mo sempre fuori tutti: chi la pensa in modo diverso
, chi si veste in
modo diverso, chi mangia in modo diverso... Non è un
caso che dopo l’episodio di Caino abbiamo la torre
di Babele. Il
fatto che intervenga Dio, disperda e moltiplichi le
lingue è un atto di benedizione e non di maledizio
ne. La
maledizione era quando tutti avevano la stessa ling
ua. Se tutto è omologato vuol dire che c’è qualcuno
-capo che
gestisce il tutto. Dio non può accettare che ci sia
un solo “capo” pensante e tutte le membra debbano
sottostare a
questo. Ben venga un Dio che frantumi questa torre
di Babele che si sta costruendo. L’episodio biblico
viene sempre
interpretato come una punizione da parte di Dio, è
invece un atto di benedizione: l’amore esalta le di
fferenze.
Quando una coppia molto avanti negli anni, viene a
dirmi che ormai sono una cosa sola, che pensano una
cosa sola,
che ormai basta anche non parlare più..,io dico - d
entro di me - “poveri voi!”. Vuol dire che uno dei
due è diventato
un piccolo dittatore, che ha imposto il suo modo di
pensare, di vedere. Dopo una vita passata insieme
dovreste
essere sempre più diversi. L’amore permette all’alt
ro di essere quello che è veramente... anche a costo
di esporre,
deporre la propria vita. Se non deponi la vita, tu
la imponi sull’altro.