Se uno pensa di trovare nel vangelo e più in generale nella Bibbia
le ricette pronte per diventare una famiglia felice tipo Mulino Bianco, pensa
sbagliato. Gesù stesso non ha mai fatto discorsi specifici su questi argomenti.
Se è per questo nemmeno su come fare il prete e su mille altre questioni. Noi
sappiamo che Gesù, nato da donna, è cresciuto in una famiglia ebrea di duemila
anni fa, e possiamo dedurre il modo in cui fu educato sulla base di quello che
sappiamo delle tradizioni ebraiche raccontate dall’AT e testimoniate anche dai
vangeli. Vedete, i vangeli sono come la luce che quando illumina fa vedere la
realtà delle cose così come sono, e si scopre che ogni cosa è diversa
dall’altra. La luce non cambia le cose, ma ce le fa vedere. E dunque il vangelo,
come la luce, è per tutti. Poi ognuno, illuminato da questa luce, deve capire
come vivere la sua vita, e questo vale anche per una famiglia. Cioè, Gesù non
ha insegnato alcune cose specifiche sul modo in cui bisogna essere mariti,
mogli, genitori, figli. Ha spiegato chi è Dio, chi siamo noi, qual è il nostro
destino, come vivere la nostra esistenza perché sia davvero umana. Essere suoi
discepoli vuol dire seguire Lui, lasciarci illuminare da questa luce in ogni
ambito della sua vita che è diversa da quella di un altro. E infatti anche la
scelta del vangelo di questa domenica è arbitraria e del resto non c’è molta
scelta: i brani di vangelo che vedono riuniti insieme Gesù, Maria e Giuseppe, a
parte i racconti della nascita, sono solo due, quello che abbiamo appena
ascoltato e il ritrovamento al tempio quando Gesù aveva 12 anni, e questi due
racconti non sono scritti per spiegare come si fa a fare i genitori, perché
sono rivolti a tutti, e a me serviranno per capire come devo fare il prete e a
chi vive in una famiglia il modo in cui essere marito, moglie, genitore, figlio
da discepoli di Gesù. Quindi io non mi sento molto d’accordo quando si dice che
la santa famiglia è un modello di come devono essere le famiglie. Prima di
tutto perché stiamo parlando di una famiglia ebrea di duemila anni fa e poi
perché l’esperienza che fecero Maria e Giuseppe fu unica nel suo genere, e
dunque irripetibile, a meno che vi sia qui qualche donna che ha concepito suo
figlio per opera dello Spirito santo. Allora prendiamo proprio questa pagina di
vangelo. Luca non la scrive per insegnare ai genitori quello che devono fare
con i figli, ma per insegnare a tutti, e quindi anche ai genitori e ai figli (e
se non tutti siamo genitori, certamente tutti siamo figli) cosa vuol dire
essere discepoli di Gesù e come si fa. E lo racconta presentando anzitutto i
genitori di Gesù che da bravi ebrei seguono le tradizioni della Legge di Mosè
che quando nasceva il loro primo bambino maschio, dopo essere stato circonciso,
prevedeva che andassero nel tempio per la purificazione della madre e per
presentarlo al Signore. Infatti la Legge vedeva il mettere al mondo un bambino,
che è la cosa più bella del mondo, come una cosa che, per via del sangue
sparso, rendeva impura la donna, e occorreva una purificazione di sette giorni
e l’offerta di alcuni animali come sacrificio. Inoltre il figlio maschio
primogenito doveva venire consacrato a Dio perché poi fosse a servizio nel
tempio e come segno di ringraziamento al Signore, e per riscattarlo da questo
servizio occorreva anche qui un’offerta. Ma cosa succede? I genitori di Gesù
erano andati al tempio obbedienti alla Legge, e improvvisamente nel tempio
arriva un uomo, Simeone, guidato dallo Spirito santo, che quasi toglie Gesù
dalle braccia dei genitori e lo prende tra le sue, impedendo di fatto questi
riti, e loda Dio perché
lo Spirito gli fa capire
che le promesse dei profeti
si sono avverate:
Dio
entra nel suo tempio, entra nel mondo non per premiare e punire, non per
chiedere sacrifici o far sentire in colpa una donna per aver partorito, non per
essere servito, ma per essere Lui a servire noi, per essere accolto tra le
nostre braccia e per donare la salvezza a tutta l’umanità, anche a quelli che
non erano del popolo di Israele. Allora il padre e la madre, scrive Luca, erano
meravigliati e sconcertati. Notate che Luca non li chiama per nome, Maria e
Giuseppe, perché rappresentano il popolo d’Israele da cui è nato il Messia e
che avrà difficoltà ad accettarlo. Bene, come vedete, questo vangelo non sta parlando della famiglia, e vangelo,
non dimentichiamolo, vuol dire bella notizia, e questa bella notizia è per
tutti, e dunque anche per le famiglie, e ciascuno deve trarre le conseguenze
che ne derivano per lui. Io penso che per una famiglia questo vangelo dica
tante cose: che un figlio è sempre un dono meraviglioso di cui rendere grazie,
ma non un diritto; che i figli (e siamo tutti figli) appartengono a Dio e non
ai genitori e dunque nessuno ha il diritto di possedere nessuno (e questo vale
anche nel rapporto tra coniugi); che Dio non è quello che abbiamo in mente noi,
che a Dio non dobbiamo sacrificare nulla, che è Lui a mettersi nelle nostre
braccia, come fu per Simeone, che noi dobbiamo accogliere il suo amore e dunque
amarci a vicenda con lo stesso suo amore, come spiega san Paolo nel brano ai
Colossesi, dando, lui si, alcuni modi concreti di vivere l’amore che se vengono
messi in pratica nei rapporti familiari consentono a una famiglia di non
sfasciarsi, come la mansuetudine e la sopportazione reciproca. Ma soprattutto,
dice Paolo, “la parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza”, perché è
la sua Parola a rivelarci
il vero volto di Dio e il modo vero di vivere
la vita, anche in famiglia, e la parola di Barbara
D’Urso, tanto per dire. La Parola di Dio ascoltata e meditata dai
membri di una famiglia risveglia lo Spirito santo che ci è stato dato e ci fa
diventare come Simeone, rendendoci capaci di accogliere tra le braccia il
Signore nello stesso modo in cui lo accogliamo tra poco tra le mani
nell’eucaristia, pone i membri della famiglia in una logica di accoglienza
reciproca nel rispetto di ciascuno, e la sua Parola diventa luce con la quale
affrontare le scelte spesso difficili a cui dover far fronte ogni giorno, le
sofferenze, i dolori legati magari ad una malattia, alla perdita del lavoro,
alla morte di un proprio caro. Tutto in un modo nuovo, appunto con lo Spirito
di Gesù.