domenica 29 gennaio 2017

FESTA SACRA FAMIGLIA 2017

Se uno pensa di trovare nel vangelo e più in generale nella Bibbia le ricette pronte per diventare una famiglia felice tipo Mulino Bianco, pensa sbagliato. Gesù stesso non ha mai fatto discorsi specifici su questi argomenti. Se è per questo nemmeno su come fare il prete e su mille altre questioni. Noi sappiamo che Gesù, nato da donna, è cresciuto in una famiglia ebrea di duemila anni fa, e possiamo dedurre il modo in cui fu educato sulla base di quello che sappiamo delle tradizioni ebraiche raccontate dall’AT e testimoniate anche dai vangeli. Vedete, i vangeli sono come la luce che quando illumina fa vedere la realtà delle cose così come sono, e si scopre che ogni cosa è diversa dall’altra. La luce non cambia le cose, ma ce le fa vedere. E dunque il vangelo, come la luce, è per tutti. Poi ognuno, illuminato da questa luce, deve capire come vivere la sua vita, e questo vale anche per una famiglia. Cioè, Gesù non ha insegnato alcune cose specifiche sul modo in cui bisogna essere mariti, mogli, genitori, figli. Ha spiegato chi è Dio, chi siamo noi, qual è il nostro destino, come vivere la nostra esistenza perché sia davvero umana. Essere suoi discepoli vuol dire seguire Lui, lasciarci illuminare da questa luce in ogni ambito della sua vita che è diversa da quella di un altro. E infatti anche la scelta del vangelo di questa domenica è arbitraria e del resto non c’è molta scelta: i brani di vangelo che vedono riuniti insieme Gesù, Maria e Giuseppe, a parte i racconti della nascita, sono solo due, quello che abbiamo appena ascoltato e il ritrovamento al tempio quando Gesù aveva 12 anni, e questi due racconti non sono scritti per spiegare come si fa a fare i genitori, perché sono rivolti a tutti, e a me serviranno per capire come devo fare il prete e a chi vive in una famiglia il modo in cui essere marito, moglie, genitore, figlio da discepoli di Gesù. Quindi io non mi sento molto d’accordo quando si dice che la santa famiglia è un modello di come devono essere le famiglie. Prima di tutto perché stiamo parlando di una famiglia ebrea di duemila anni fa e poi perché l’esperienza che fecero Maria e Giuseppe fu unica nel suo genere, e dunque irripetibile, a meno che vi sia qui qualche donna che ha concepito suo figlio per opera dello Spirito santo. Allora prendiamo proprio questa pagina di vangelo. Luca non la scrive per insegnare ai genitori quello che devono fare con i figli, ma per insegnare a tutti, e quindi anche ai genitori e ai figli (e se non tutti siamo genitori, certamente tutti siamo figli) cosa vuol dire essere discepoli di Gesù e come si fa. E lo racconta presentando anzitutto i genitori di Gesù che da bravi ebrei seguono le tradizioni della Legge di Mosè che quando nasceva il loro primo bambino maschio, dopo essere stato circonciso, prevedeva che andassero nel tempio per la purificazione della madre e per presentarlo al Signore. Infatti la Legge vedeva il mettere al mondo un bambino, che è la cosa più bella del mondo, come una cosa che, per via del sangue sparso, rendeva impura la donna, e occorreva una purificazione di sette giorni e l’offerta di alcuni animali come sacrificio. Inoltre il figlio maschio primogenito doveva venire consacrato a Dio perché poi fosse a servizio nel tempio e come segno di ringraziamento al Signore, e per riscattarlo da questo servizio occorreva anche qui un’offerta. Ma cosa succede? I genitori di Gesù erano andati al tempio obbedienti alla Legge, e improvvisamente nel tempio arriva un uomo, Simeone, guidato dallo Spirito santo, che quasi toglie Gesù dalle braccia dei genitori e lo prende tra le sue, impedendo di fatto questi riti, e loda Dio perché lo Spirito gli fa capire che le promesse dei profeti si sono avverate:
Dio entra nel suo tempio, entra nel mondo non per premiare e punire, non per chiedere sacrifici o far sentire in colpa una donna per aver partorito, non per essere servito, ma per essere Lui a servire noi, per essere accolto tra le nostre braccia e per donare la salvezza a tutta l’umanità, anche a quelli che non erano del popolo di Israele. Allora il padre e la madre, scrive Luca, erano meravigliati e sconcertati. Notate che Luca non li chiama per nome, Maria e Giuseppe, perché rappresentano il popolo d’Israele da cui è nato il Messia e che avrà difficoltà ad accettarlo. Bene, come vedete, questo vangelo non sta parlando della famiglia, e vangelo, non dimentichiamolo, vuol dire bella notizia, e questa bella notizia è per tutti, e dunque anche per le famiglie, e ciascuno deve trarre le conseguenze che ne derivano per lui. Io penso che per una famiglia questo vangelo dica tante cose: che un figlio è sempre un dono meraviglioso di cui rendere grazie, ma non un diritto; che i figli (e siamo tutti figli) appartengono a Dio e non ai genitori e dunque nessuno ha il diritto di possedere nessuno (e questo vale anche nel rapporto tra coniugi); che Dio non è quello che abbiamo in mente noi, che a Dio non dobbiamo sacrificare nulla, che è Lui a mettersi nelle nostre braccia, come fu per Simeone, che noi dobbiamo accogliere il suo amore e dunque amarci a vicenda con lo stesso suo amore, come spiega san Paolo nel brano ai Colossesi, dando, lui si, alcuni modi concreti di vivere l’amore che se vengono messi in pratica nei rapporti familiari consentono a una famiglia di non sfasciarsi, come la mansuetudine e la sopportazione reciproca. Ma soprattutto, dice Paolo, “la parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza”, perché è la sua Parola a rivelarci il vero volto di Dio e il modo vero di vivere la vita, anche in famiglia, e la parola di Barbara

D’Urso, tanto per dire. La Parola di Dio ascoltata e meditata dai membri di una famiglia risveglia lo Spirito santo che ci è stato dato e ci fa diventare come Simeone, rendendoci capaci di accogliere tra le braccia il Signore nello stesso modo in cui lo accogliamo tra poco tra le mani nell’eucaristia, pone i membri della famiglia in una logica di accoglienza reciproca nel rispetto di ciascuno, e la sua Parola diventa luce con la quale affrontare le scelte spesso difficili a cui dover far fronte ogni giorno, le sofferenze, i dolori legati magari ad una malattia, alla perdita del lavoro, alla morte di un proprio caro. Tutto in un modo nuovo, appunto con lo Spirito di Gesù.