domenica 15 ottobre 2017

DEDICAZIONE DELLA CHIESA CATTEDRALE ANNO A

 C’è una contraddizione evidente, ma che potrebbe essere anche solo apparente (se diamo il giusto significato alle cose) tra quanto ci dice il Signore con la sua Parola che oggi è stata proclamata e la festa che oggi celebriamo, quella del ricordo del giorno della dedicazione, cioè della consacrazione, del nostro splendido Duomo di Milano. E vi faccio notare che quello che dico riferendomi al Duomo,
possiamo dirlo riferendoci a tutte la migliaia e migliaia di altri edifici (chiese, cappelle, cattedrali, santuari) che nel corso della storia la fede dei cristiani ha innalzato in tutto il mondo, dalla cappella più piccola di montagna, alla chiesa dove ora stiamo celebrando messa, passando per il Duomo fino a giungere alla basilica di san Pietro a Roma. Dove sta dunque questa contraddizione? Noi siamo soliti chiamare “casa di Dio” le nostre chiese. Guardiamo invece cosa dicono le letture di oggi, partendo dalla pagina del profeta Baruc: “O Israele, quanto è grande la casa di Dio, è grande e non ha fine” (e leggendo tutto il brano si capisce che il profeta intende dire che la casa di Dio è l’intero universo). Ma per non essere diverso da tutti gli altri popoli, anche Israele volle costruire per Dio una casa dove abitare, sebbene il Signore, per mezzo dei profeti, avesse detto di non avere bisogno di un edificio dove abitare, ma il re Salomone costruì lo stesso il magnifico tempio di Gerusalemme, e quando questo venne distrutto dai Babilonesi, ne costruirono un altro, quello dove si svolge la scena del vangelo di oggi che descrive un episodio così importante che si trova in tutti e quattro i vangeli. Matteo racconta quel che accadde come se fosse un terremoto, dicendo che quando Gesù entrò in Gerusalemme, tutta la città fu scossa. Si aspettavano la venuta di un Messia potente che con la forza avrebbe guidato la rivolta contro i romani, ma i loro piani vengono sconvolti perché Gesù si presenta come uomo di pace cavalcando un asinello. Ma, soprattutto, la prima cosa che Gesù fa entrando in città, è entrare nel tempio, nella casa di Dio, a cacciare tutti quelli che vendevano e compravano. Una scena spesso fraintesa perché uno pensa che Gesù si fosse arrabbiato come si arrabbierebbe oggi il prete di turno se vedesse che in chiesa la gente, invece di venire a pregare, venisse a vendere e comprare e dicesse: queste cose fatele fuori di qui! No, non è questo, la questione è molto più sottile. La gente andava al tempio per offrire a Dio i sacrifici, un’usanza presente in tutte le religioni e che nasce da quest’idea: se voglio ottenere da Dio una grazia o essere perdonato da un peccato vado al tempio, compro un animaletto, lo do al sacerdote, lui lo brucia sull’altare, Dio vede che mi sono privato di qualcosa, è contento e allora mi esaudisce. Più grande è il sacrificio che faccio, più grande sarà la grazia, e maggiori sono i miei peccati, maggiori devono essere i sacrifici (e c’era proprio un tariffario). Ma se sono povero? No problem, c’erano i venditori di colombe, perché quelle costavano poco. Però gli animali si dovevano pagare non con le monete romane, perché su di esse c’era l’immagine dell’imperatore, e quindi erano cosa impura, e dunque nel tempio c’erano i cambiamonete. Da tutto questo giro di affari, il tempio era diventato la più grande banca del medio oriente, e a beneficiarne non era certo la povera gente, ma i sacerdoti, i venditori e i cambiamonete, per i quali Dio non era Jahvè, ma erano i soldi. Gesù, dicendo che avevano trasformato il tempio in un luogo di ladri, prima di tutto denunciava che le vere vittime di questo sistema non erano gli animali che si offrivano, ma le persone, perché i sacerdoti offrivano a Dio quello che rubavano ai poveri. Ma soprattutto rovescia, come un terremoto, l’idea che l’amore di Dio, la sua grazia e il suo perdono fossero qualcosa che avesse un prezzo per essere comprato. Questa invettiva di Gesù, chiara e tremenda, sarà la causa del furore dei sommi sacerdoti. Gesù non tollera che l’uomo, per potere sperimentare l’amore di Dio, si debba privare di qualcosa, debba rinunciare a qualcosa di suo per offrirlo alla divinità. C’è gente che è vissuta o vive dicendo: ho sacrificato a Dio la mia vita. Con questa scena Gesù risponde: e chi te l’ha chiesto? Per Gesù, ogni forma di culto, basata sullo sfruttamento delle persone e sull’idea di un Dio cattivo che bisogna ingraziarselo, va abolita. Dio ci accoglie così come siamo per quello che siamo, suoi figli, belli o brutti, buoni o cattivi. Anzi, proprio coloro che sono più disgraziati, senza grazia, Dio gliela dona. E infatti, subito dopo, nel tempio, gli si avvicinarono tutti coloro che erano emarginati dal sistema, ciechi e storpi, ed egli li guarì. Il re Davide aveva dato l’ordine che nessun cieco o zoppo potesse entrare nella casa del Signore. Con Gesù, invece, tutti si possono avvicinare a Dio. Ecco la casa di Dio, ecco il sacrificio, l’unico che Dio gradisce: Dio abita là dove gli uomini vivono gli uni verso gli altri l’amore che Dio riversa su ciascuno. Capite che conseguenze pazzesche ha questa cosa? Per Gesù, quel che conta, è questo. Uno può venire a Messa vivendola come un sacrificio nel vero senso della parola, soprattutto quando la predica è lunga e il prete è antipatico e la messa non finisce mai. E dice: io Signore ti ho offerto parte del mio tempo, magari ho fatto una bella offerta per la chiesa, adesso tocca a te. Invece è il contrario. La contraddizione di cui parlavo all’inizio tra il fatto che noi celebriamo la festa della dedicazione di un tempio, di una chiesa, e il fatto che Gesù sia venuto proprio per abolire gli edifici nei quali noi celebriamo il culto, diventa apparente e si risolve solo se comprendiamo che l’edificio fatto di pietre (bello o brutto che sia, Duomo di Milano o cappella di montagna) è, come dice san Paolo, simbolo della Chiesa popolo di Dio dove ciascuno ha il suo compito, uno strumento, un luogo nel quale i cristiani si raccolgono come figli e fratelli, riconoscendosi Chiesa (con la lettera maiuscola), popolo di Dio, sapendo che la casa di Dio non è questa, ma sono io, è ciascuno di noi, perché Dio è presente in noi col suo Spirito, e Dio abita dove regna la carità che viviamo gli uni verso gli altri. Quindi l’edificio chiesa diventa il luogo dove in cui ci troviamo a celebrare coi sacramenti il dono di un Dio che si dona a noi per rifornirci del suo amore. Se non si capisce questa cosa essenziale della proposta di Gesù, incorriamo negli stessi errori che Gesù è venuto a denunciare, perché se la casa di Dio è questa, qui in chiesa io sono una persona e fuori dalla chiesa sono un’altra persona.