domenica 29 ottobre 2017

II DOMENICA DOPO LA DEDICAZIONE ANNO A

Le letture di queste domeniche dopo la festa della Dedicazione del Duomo di Milano celebrata tre settimane fa sono scelte per parlare della Chiesa e della sua missione, e oggi siamo proprio al termine del mese di ottobre che ha al centro la giornata missionaria mondiale celebrata domenica scorsa. Chiesa e missione cosa vuol dire? Vuol dire mettere al centro il compito che Gesù affida ai suoi
discepoli che siamo noi. E la parabola di oggi spiega bene in cosa consiste questo compito. Guardiamola da vicino. Gesù disse ai suoi discepoli, quindi sono parole che Gesù dice a noi in questo momento, ognuno deve sentirsele rivolte personalmente. Il regno dei cieli è simile a una rete gettata in mare che raccoglie ogni genere di pesci. Ricordate quando Gesù aveva detto ai suoi discepoli che la loro missione era quella di diventare pescatori di uomini? Cosa voleva dire questa frase? Pescare un pesce significa farlo morire perché l’acqua è il suo habitat naturale; quindi pescare un uomo significa farlo vivere, perché l’uomo nell’acqua annega, non avendo le branchie come i pesci. Quindi Gesù sta dicendo a noi che siamo qui, e dunque alla Chiesa intera: quello che dovete fare è dare la vita agli uomini, come ho fatto io per voi. Questa è la missione della Chiesa. Cosa vuol dire dare la vita? Io vivo quando mi sento amato, accolto, perdonato, capito, ascoltato, aiutato, compreso, secondo le mie necessità. Appunto perché non sono un pesce. A un pesce per vivere basta nuotare e nutrirsi. Noi per vivere abbiamo bisogno di essere amati e di amare. Ecco cosa vuol dire dare la vita. Annunciare a tutti gli uomini che Dio è Padre e noi siamo tutti suoi figli amati, e che realizziamo la nostra esistenza imparando ad amarci come fratelli. Ma questo annuncio, questo gettare la rete e pescare gli uomini da parte della Chiesa, non va fatto con le parole come sto facendo io adesso, ma deve avvenire attraverso gesti concreti. Come fa uno a capire l’amore di Dio? Certamente non se io mi presento col bazuka in mano, ma con mani aperte capaci di accogliere e donare. E se l’altro a sua volta accoglie me è perché ha capito che siamo fratelli, figli di un unico Dio che ci è Padre. E allora cosa succede? Che viene il Regno di Dio. Infatti Gesù racconta questa parabola per spiegare cos’è il regno dei cieli (regno dei cieli e regno di Dio sono la stessa cosa). Gesù ci ha insegnato a pregare il Padre dicendo: venga il tuo Regno. Il Regno di Dio non è qualcosa che riguarda il futuro. Dio regna quando noi ci lasciamo guidare dal suo Spirito d’amore, e quindi il regno di Dio è un modo nuovo di vivere i rapporti tra le persone. I discepoli di Gesù che formano la Chiesa devono testimoniare al mondo questo nuovo modo di vivere i rapporti, per cui quando noi per primi ci dividiamo in campanilismi e ci chiudiamo agli altri diventando razzisti, stiamo contraddicendo il nostro Battesimo. L’amore di Dio è per tutti, per tutte le genti (ogni genere di pesci). Dio non fa differenze di persone, diceva l’apostolo Pietro domenica scorsa, se ricordate. Poi, però, la parabola prosegue in un modo che sembra contradditorio: quando la rete è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Ma aggiunge: così sarà alla fine dei tempi quando gli angeli separeranno i cattivi dai buoni. Qui occorre capire bene il significato delle parole. La fine dei tempi non è la fine del mondo. Gesù non parla mai della fine del mondo, perché Dio è uno che crea, non che distrugge. La fine dei tempi è quando finisce un’epoca e inizia un’altra, per cui può essere anche adesso: quando io comincio a vivere in modo diverso, da pesce buono, cioè come figlio che ama i fratelli, inizia un nuovo tempo, una nuova epoca. Diversamente sono un pesce non cattivo (la traduzione esatta non è pesci “cattivi”), ma “marcio”. E’ importante questa precisazione. Gesù non sta dicendo che Dio premia i buoni e punisce i cattivi, ma fa una constatazione: ci sono persone piene di vita (i pesci buoni) perché hanno scelto di vivere nell’amore, e persone che vivono come morti in via di putrefazione, marci, perché vivono nell’egoismo, nella logica del possesso e del potere. Chi accoglie la logica di Gesù vive, perché è immerso nell’amore di Dio, chi la rifiuta, vivendo solo per sé, porta la propria esistenza alla putrefazione. Se io non amo, marcisco. Non un giorno, non nell’aldilà, ma adesso, e se è così adesso, è così per sempre, perché è l’amore che unisce a Dio, che ci rende eterni come Dio, anche dopo la morte di questo nostro corpo. I pesci marci non sono quelli che hanno compiuto degli errori, degli sbagli, delle mancanze nella propria esistenza (chi non le compie?), ma sono quelli che hanno votato la vita al male, i maligni, che quindi, essendo senza amore, sono senza vita, sono appunto morti, marci, separati da Dio, già adesso, quindi inutili perché hanno fallito la loro esistenza, e come tutte le cose marce hanno come destino quello di essere bruciate: saranno gettati nella fornace ardente. La fornace ardente, nel libro di Daniele, era il luogo dove, quando gli ebrei erano sottomessi ai babilonesi, venivano gettati quelli che non adoravano la statua del re Nabucodonosor che rappresentava il potere. Quella che era la pena per chi non adorava il potere, diventa invece la fine per chi ha adorato il potere. Quindi Gesù sta dicendo: chi orienta la propria vita per il bene degli altri, vivendo nel perdono e nel servizio, si realizza; chi ha pensato soltanto a sé, chi ha pensato al proprio potere in realtà si distrugge. Non sta esprimendo un giudizio, ma sta facendo una constatazione. Come se stesse dicendo la cosa più ovvia del mondo: se vi buttate giù da una finestra, non è Dio o qualcun altro che vi sta ammazzando, ma siete voi che vi state ammazzando da soli. Sarà pianto e stridore di denti: per forza, perché avete fallito la vostra esistenza. A questo punto Gesù chiede ai suoi discepoli e anche a noi: “«Avete compreso tutte queste cose?» Gli risposero: «Sì». Noi cosa rispondiamo?