domenica 8 ottobre 2017

VI DOMENICA DOPO IL MARTIRIO ANNO A

Facendosi uomo in Gesù, Dio ha fatto la sua scelta: Gesù ci ha fatto vedere che Dio è Padre e noi siamo suoi figli amati, come lui, il Figlio. E siccome Gesù è il Figlio che assomiglia al Padre, e chi vede lui vede il Padre, se diventiamo come Gesù diventiamo come Dio, e possiamo davvero diventarlo, perché Gesù ci ha chiamato amici, e gli amici sono simili tra loro. Capite dunque che se
Dio, con Gesù, ha fatto la sua scelta, adesso spetta a noi fare la nostra, o guardare Dio in questo modo e vivere una vita da figli, o continuare a guardare Dio come un Padre padrone, e quindi vivere la vita come schiavi, come servi. Di questo parlano le letture di oggi. Abbiamo letto l’inizio della vicenda di Giobbe, che è un racconto, non una storia vera, però è il racconto di tante storie vere, che accadono sempre. Giobbe, a causa di una scommessa tra Dio e Satana, viene colpito prima con la perdita di tutti i suoi beni, poi con la morte dei suoi dieci figli, poi con una dolorosa malattia che gli rende putrida la carne. Il brano di oggi si concludeva con Giobbe che esclama: il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore. Una conclusione fuorviante, perché se andiamo avanti a leggere il racconto, poi Giobbe giunge a maledire il giorno della sua nascita. Perché? La credenza era che fosse Dio l’autore non solo del bene, ma anche del male, che i mali e le malattie fossero un castigo mandato da Dio per le colpe degli uomini. Dio è il padrone, e noi siamo i suoi servi che devono subire i suoi misteriosi voleri, anche il male. E che questo sia lo stesso modo di pensare che hanno anche molti cristiani, è testimoniato da alcune frasi che spesso si sentono dire, del tipo: “è la volontà di Dio”, “non cade foglia che Dio non voglia”, “andava tutto troppo bene, sentivo che doveva accadere qualcosa”, “ognuno ha la sua croce secondo le sue spalle, Dio non ti da croci che non puoi portare”, tutte frasi alla cui base c’è la convinzione che è Dio a decidere e governare tutto, peccato che questo Dio non assomiglia molto al Padre di Gesù che ama i suoi figli, ma ad un padrone sadico di fronte al quale o ci si rassegna come all’inizio fa Giobbe, oppure si diventa atei. Il punto è che Giobbe era innocente, era un uomo giusto, per cui all’inizio si sottomette al volere di Dio, poi però si ribella e dice: non è giusto. Come facciamo noi. Per questo Gesù propone un’alternativa. Se Dio è Padre buono e noi siamo suoi figli amati, la risposta al problema del male dobbiamo andare a cercarla da altre parti, e questo è un argomento di cui spesso mi è capitato di parlare e lo farò ancora nelle catechesi per gli adulti di quest’anno. Se invece non accogliamo quello che ha detto Gesù, Dio resta un Padre padrone da cui dipende tutto, anche il male, e noi i suoi servi sottomessi. La novità portata da Gesù è che Dio non chiede di essere servito dagli uomini, ma è Lui stesso a mettersi a servizio degli uomini. Pensate quando Gesù, nell’ultima cena, dice: “Ecco io sono in mezzo a voi come colui che serve”, e in una parabola paragona Dio a un signore che torna di notte nella sua casa e, trovando i servi ancora in piedi, non chiede loro di servirlo, ma si mette lui a servirli. E servizio vuol dire che ci dà la vita perché noi viviamo, e la vita non è quella fisica, ma è il suo sangue, il suo amore, il suo spirito che ci permette di diventare come lui, di amare come lui, di affrontare ogni evento dell’esistenza, anche il più tragico, sapendo di essere abitati da un amore capace di superare anche la morte. Eppure, nella parabola che abbiamo letto oggi, sembra che Gesù stia dicendo invece tutto il contrario, paragonando Dio a un padrone che quando il suo servo torna a casa dal lavoro, invece di farlo sedere a tavola, gli ordina di continuare a servirlo. Cos’è questa apparente contraddizione? E’ un’immagine usata da Gesù proprio per dire: nessun padrone si metterebbe a servire i suoi servi, eppure Dio lo fa, come vi ho insegnato, per cui Dio non è un padrone e voi non siete suoi servi. O accogliete questa offerta d’amore di un Dio che si mette a servirvi, o altrimenti rimanete nella condizione di servi nei confronti di Dio, e dunque “quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato…”, quindi quando da bravi servi avrete osservato tutte le sue leggi, l’unica cosa che potrete dire è “siamo servi inutili, cioè semplicemente servi, abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. Certo, perché se si vive con Dio un rapporto da sudditi obbedienti che fanno tutto per avere una ricompensa, prima di tutto questo non si chiama amore, ma prostituzione. E poi, se si fa tutto per obbedienza e per paura, anche questo non si chiama amore, ma sottomissione, e un sottomesso cosa fa? Anche se non riceve alcuna ricompensa, non si ribella, non chiama neanche i sindacati, e come Giobbe dice: se da Dio accetto il bene, accetto anche il male. Salvo poi a un certo punto, ribellarsi a un Dio così. Invece, ecco l’alternativa di Gesù: se si diventa figli di un Dio che è lui a farsi nostro servo, le cose cambiano. Non siamo più servi di Dio, ma suoi figli amati, siamo fratelli di Gesù e impariamo a nostra volta a fare come lui, a scegliere liberamente di farci servi, ma non di Dio, bensì gli uni degli altri, come ha fatto Gesù con noi. Così facendo abbiamo fatto davvero quello che dovevamo fare, cioè quello che diceva il vangelo domenica scorsa: amarci come Lui ha amato noi. E lo abbiamo fatto non per aspettarci uno stipendio, una ricompensa, ma per amore, gratis, per cui siamo si “inutili servi”, ma nel senso di servi “senza utile, senza guadagno”. E qual è la ricompensa che otteniamo? Che realizziamo la nostra vita, perché diventiamo quello che Dio ci chiama ad essere, suoi figli amati che amano i fratelli. La ricompensa è che siamo diventati come Dio. E quindi sta a noi la scelta: a quale Dio vogliamo credere, a quello che ci rende servi o a quello che ci fa liberi.