domenica 14 ottobre 2018

VII DOMENICA DOPO MARTIRIO

 E’ la terza domenica di fila in cui ascoltiamo alcune parabole di Gesù, oggi addirittura tre. Le parabole, che non sono quelle di Sky, sono dei racconti molto concreti, presi dalla vita quotidiana, che Gesù usava per parlare di Dio alla folla. Racconti spesso enigmatici e misteriosi, da interpretare, come avevano predetto i profeti. Ma perché con parabole e non in modo più chiaro? Perché Gesù non
diceva apertamente tutto quello che sapeva, ma lo diceva in questo modo così misterioso? La risposta si trova in altri passi del vangelo, dove Gesù in sostanza dice: io di Dio parlo in questo modo perché solo chi è disposto a cambiare mentalità può capire la novità del mio messaggio. «Chi ha orecchie per intendere, intenda», cioè «chi è in grado di capire, cerchi di capire». E chi è in grado di capire? Chi davvero desidera mettersi in cammino per comprendere il mistero di Dio abbandonando i suoi schemi e preconcetti. Se tu davvero desideri metterti in cammino per comprendere il mistero di Dio, allora puoi capire, altrimenti no. Chi continua a restare ancorato alle sue idee su Dio, e non è disposto interiormente a cambiarle e a fidarsi della mia parola, non capirà mai, perché io dico delle cose che sono esattamente il contrario di quello che tutti si aspettano. E’ molto importante e bella questa cosa anche per noi, oggi, dopo duemila anni. Gesù non spiattella in faccia la verità su Dio, come scrivere nero su bianco, come per dire “prendere o lasciare”, ma lo faceva con questi racconti che facevano sorgere interrogativi, come una pulce nell’orecchio, per stimolare e disporre chi lo desidera veramente a compiere un cammino alla ricerca della verità, senza forzare nessuno. Questo perché nel cammino di fede si cammina, si cresce. Chi si adagia nelle sue certezze e non continua a farsi interrogare e penetrare dalla Parola di Gesù, non andrà da nessuna parte, non capirà mai. E’ una cosa che personalmente sento molto vera, infatti ogni volta che nelle diverse stagioni della mia vita ascolto e medito una stessa pagina del vangelo, vedo che ogni volta c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire. Chi nelle cose di Dio ragiona dicendo “ho sempre pensato e fatto così”, voglio vederci subito chiaro, non cammina, non cresce, perché continua a guardare indietro. E questo atteggiamento, se è importante averlo sempre nei confronti di tutto e delle persone (pensate quando uno pensa di avere capito già tutto della vita e degli altri), figuriamoci se non vale a maggior ragione nei confronti del mistero di Dio. E, non so se è un forzatura, ma a me sembra che questo cammino di crescita sia anche il filo rosso che percorre le letture di oggi: nel vangelo ci sono queste tre parabole che parlano di un seme seminato nel campo che deve crescere, di un granello di senape che cresce in un terreno, di tre misure di farina che una donna ha impastato e che deve crescere. E di germogli parlava anche il profeta Isaia, dove Dio dice: “Ecco, io faccio una cosa nuova, proprio ora germoglia – cresce – non ve ne accorgete?”. Anche Paolo nella lettera ai Corinti scrive di germogli: “Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere”. Bene, detto questo, che sarebbe già sufficiente come motivo di riflessione per tutti, vorrei provare lo stesso, ma brevemente, a dire qualcosa di queste tre parabole con le quali Gesù parla del Regno di Dio. Cos’è il Regno di Dio? Non è il Paradiso, ma è la società alternativa dove, chi capisce che Dio è Padre, impara a vivere i rapporti con gli altri considerandoli suoi fratelli, vivendo nella logica del dono, del servizio, dell’accoglienza, del perdono. Ebbene, se il Regno di Dio è questo, ogni comunità, di ogni tempo, quindi anche noi oggi, possiamo essere sottoposti a tre tentazioni. La prima è quella di pensare che il Regno di Dio sia fatto da una comunità di eletti, di gente superiore agli altri. A questa tentazione Gesù risponde con la parabola del seminatore e della zizzania. Non entro nei dettagli, lo farò lunedì sera, ma in sostanza Gesù vuol far capire che nella società, nella Chiesa, dentro ciascuno di noi, continuamente convivono il bene e il male, e quindi non dobbiamo stupirci o lamentarci del fatto che Dio sia così tollerante nel non volere subito far piazza pulita del male, precisamente perché rispetta il cammino di crescita di ciascuno, con le sue luci e le sue ombre, affinchè ciascuno abbia il tempo e la possibilità di convertirsi, e così dobbiamo fare anche noi verso noi stessi e verso gli altri. Non esistono persone perfette e comunità di perfetti. La seconda tentazione è quella della manìa di grandezza, di pensare che il Regno di Dio sia qualcosa che si impone con la forza, col potere, tentazione nella quale spesso è caduta la Chiesa nella storia, e anche oggi ci sono nostalgici che vorrebbero una Chiesa trionfante che domina su tutti, esattamente il contrario di quello che vuole Gesù, perché Dio non si impone a nessuno, e un Dio d’amore tanto meno, perché l’amore non si impone, ma si propone, e accoglie tutti, belli e brutti. A questa tentazione Gesù risponde con la parabola del granello di senape, il più piccolo tra tutti i semi, che quando cresce diventa si una grossa pianta, ma, se a qualcuno di voi fosse capitato di vederla, è una pianta insignificante, che non attira l’attenzione, eppure è capace di accogliere tutti (gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami). E infine la terza tentazione, che soprattutto in questi tempi ci tocca molto da vicino: la comunità cristiana è piccola, il lavoro da fare è tanto, e c'è il rischio di scoraggiarsi. Allora Gesù risponde con la parabola del lievito capace di far lievitare una grande quantità di farina, per indicare che i suoi discepoli devono mescolarsi con gli altri uomini, vivendo con uno spirito diverso, lo spirito dell’amore, capace di contagiare tutti, diventando appunto lievito (in due altre parabole dirà di diventare sale e luce). E dunque… chi ha orecchie per intendere, intenda!