Il 25 dicembre abbiamo celebrato il Natale secondo Luca e oggi, festa dell’Epifania, il Natale secondo Matteo. Luca e Matteo sono gli unici due evangelisti a raccontare la nascita di Gesù, e lo fanno in modo diverso e discordante: siamo noi che abbiamo fatto un misto dei due racconti, ma è un errore, perché i vangeli, soprattutto i racconti della nascita e dell’infanzia di Gesù, non sono cronache
storiche, ma vogliono trasmettere verità di fede, e in questi racconti gli evangelisti anticipano il contenuto del loro vangelo. Luca scrive un vangelo incentrato sulla misericordia di Gesù verso i peccatori, e allora, nel momento della sua nascita, parla dei pastori come primi destinatari dell’annuncio della salvezza perché essi, a quei tempi, erano giudicati peccatori. Matteo, invece, che scrive per gli ebrei convertiti al cristianesimo che si consideravano i soli eredi delle promesse divine, vuole mostrare che le cose non stanno così, e allora vediamo un po’ cosa racconta. Per Matteo, a differenza di Luca, Gesù nasce in una casa e non arrivano pastori, ma alcuni Magi dall’oriente. Questo era un fatto scandaloso, perché il termine adoperato da Matteo è “maghi”, e l’attività di mago, nella Bibbia, è un’attività proibita, scandalosa, perché i maghi erano considerati ingannatori e corruttori, e come tali lontani da Dio, esclusi dal suo amore: come è possibile che questi qui, che sono stranieri, che non sono “dei nostri”, che sono dei maledetti per l’attività che svolgono, sono proprio quelli che per primi riconoscono la divinità di quel Bambino? Allo stesso modo, al termine del vangelo, sarà un centurione romano, un pagano, straniero e nemico di Israele, a riconoscere la divinità di Gesù crocifisso. Il messaggio di Matteo è chiarissimo: Dio ama tutti, è il Signore di tutti, anche di coloro che noi escluderemmo, perciò chi esclude un solo uomo, esclude Dio, perché Dio è amore, e l’amore di Dio si manifesta quando ogni uomo impara ad amare gli altri come suoi fratelli. Un messaggio così chiaro e rivoluzionario che anche noi oggi dopo 2000 anni fatichiamo ad accoglierlo, ed è per questo che la figura dei maghi venne subito edulcorata e annacquata cambiandone il nome, da “maghi” al più innocuo “magi”, trasformati in sapienti re e facendoli diventare tre, in base ai doni che portarono. Cosa che comunque ha un suo valore molto bello, perché diventano simbolo di tutti quegli uomini che cercano Dio scoprendo che, con Gesù, Dio non è più da cercare, ma da accogliere. La stella che seguono, poi, non è un astro: a quei tempi si pensava che ogni uomo avesse una stella che sorgeva con la sua nascita e si spegneva con la sua morte, e una profezia dell’Antico Testamento parlava di una stella che sarebbe sorta a Betlemme riferendosi alla nascita del Messia che avrebbe portato Israele a dominare tutti i popoli. Per questo Erode, che era un re illegittimo, a questa notizia tremò di spavento, per paura di vedersi spodestato. Ma Matteo cambia il finale di questa profezia scrivendo: “da te Betlemme nascerà un capo che pascerà il mio popolo, Israele”, dunque nascerà un pastore, non un re che domina, ma che serve. E così arriviamo al centro di tutto il racconto, quello dei doni, che hanno un grandissimo significato simbolico. Il primo, l’oro, indica che Gesù viene riconosciuto come re non solo dei giudei, ma anche dei pagani: vuol dire che il regno di Dio non è il regno di Israele, non è confinato a una nazione, ma è un amore che vuole dilagare fino all’ultima persona dell’umanità. Il secondo dono, l’incenso, che veniva offerto nel tempio dai sacerdoti, ora viene portato dai pagani, come già diceva il profeta Isaia nel brano della prima lettura. E’ una rivoluzione. Dio non è quello che si adora nel tempio di Gerusalemme, è il Dio con noi, un tema ricorrente in tutto il vangelo di Matteo, un Dio che entra in diretta comunicazione con ogni uomo, facendo diventare ogni uomo sacerdote, e questo è un tema peraltro su cui dovremmo tornare bene tutti a riflettere, perché in forza del Battesimo siamo diventati tutti sacerdoti e sacerdotesse, e occorre capire bene cosa significa, e qual è la differenza tra il sacerdozio di tutti col sacerdozio del prete che non è certamente quella che si è soliti erroneamente pensare, ovvero che il prete sia più di voi in diretto contatto con Dio, ma soprassediamo perché entriamo in un altro argomento. E infine, terzo dono, la mirra: nel Cantico dei Cantici la mirra è il profumo che indica l’amore tra gli sposi. Israele si considerava il popolo sposa di Dio per indicare questa intimità con il Signore. Ebbene, anche questo privilegio passa a tutta l’umanità. In conclusione, da questa analisi veloce del testo evangelico, penso che si intuisca bene l’intento di Matteo nel raccontare in questo modo la nascita di Gesù e l’impatto rivoluzionario e sconvolgente che suscitava nei suoi primi ascoltatori. Israele era una nazione dove era sviluppato un forte razzismo. Gli Ebrei credevano di essere il popolo eletto, superiore agli altri popoli, che dunque andavano dominati. Gli scribi erano arrivati addirittura alla conclusione che uccidere un pagano non era peccato o reato, perché non era un omicidio, ma un malicidio, cioè si toglieva del male. Vigeva già a quel tempo lo slogan molto attuale del “ci siamo prima noi”, gli avanzi sono per gli altri. Ma è sempre stato così, in ogni società della storia: lo straniero ha sempre messo paura per quello che può prendere o per quello che può togliere, e viene visto con diffidenza. Nella lingua latina c’è un solo termine che indica insieme straniero e nemico, il termine hostis, da cui deriva il termine “ostile”, per indicare chi causa disturbo e verso il quale si ha un atteggiamento di ostilità. Ebbene, i vangeli, come vedete, non sono d’accordo. So che queste affermazioni possono continuare a turbare e a dar fastidio e storcere il naso anche a noi dopo 2000 anni, che molte persone non
sono d’accordo, che nei discorsi da bar anche molti cristiani che vanno a messa la domenica la pensano come i primi ascoltatori del Vangelo, ma il Vangelo è scritto proprio per suscitare la conversione di chi lo ascolta, e chi non è d’accordo se la prenda col Signore oppure rifletta bene su cosa voglia dire definirsi cristiano cattolico, considerando che “cristiano” vuol dire essere discepolo di Cristo, e “cattolico” è un termine che significa “universale” e indica che il popolo di Dio è formato da tutti i popoli della terra, che il Dio di Gesù è uno che chiede di essere accolto e, con la forza del suo amore, di andare con lui e come lui verso gli altri.