domenica 20 gennaio 2019

II DOMENICA DOPO L’EPIFANIA

Se leggiamo il vangelo in maniera letterale, trasformiamo un episodio come questo in una barzelletta: c’è un matrimonio, manca il vino, Gesù converte seicento litri d’acqua in seicento litri di vino di grande qualità, e alla fine l’evangelista dice che qui Gesù dimostrò la sua gloria, cioè che era Dio, al che si rimane perplessi e i casi sono due: o si trasforma il vangelo in un libro di fiabe, oppure non c’è
da stupirsi se poi uno diventa ateo. Per forza. Se Dio può fare miracoli, perché non li fa per tanta gente che versa in situazioni drammatiche? Spreca il miracolo per fare bere seicento litri di vino a gente già ubriaca, e poi non li fa a chi chiede la guarigione da una malattia? Oltretutto, noi, per quanta fede possiamo avere, non riusciremo mai a cambiare l’acqua in vino, eppure Gesù, proprio nel vangelo di Giovanni, dice: voi potrete fare cose più grandi di me. Vedete, il vangelo va decifrato parola per parola per capirlo, perché ogni parola è un indizio da capire. Il mio intento, ogni volta che faccio un’omelia, è quello di far nascere l’interesse ad approfondire il vangelo senza limitarsi alla predica che, se cerca di spiegare tutto diventa lunga, ma se è corta non riesce a spiegare tutta la ricchezza della Parola di Dio. Ad esempio, tornando a questo famoso brano di vangelo, che è difficilissimo da capire, vi dovrei farei notare dei particolari importantissimi che poi però dovrei spiegare perché detti così potrebbero sconvolgere qualcuno, cosa che andrebbe benissimo, perché la Parola di Dio deve sempre sconvolgerci la vita, sconvolgere le nostre certezze, tutto quello che pensiamo di sapere di Dio, perché è la Parola di Gesù a farci vedere chi è veramente Dio, per cui ogni volta dobbiamo ascoltarla come se fosse la prima volta. Ad esempio. Cana è una località che non esiste, l’evangelista non sta parlando di un matrimonio, infatti non c’è nessun accenno agli sposi, ma sta parlando delle nozze tra Dio e il suo popolo; Maria non è viene mai chiamata per nome, ma è presentata come madre di Gesù e Gesù a sua volta si rivolge a lei chiamandola “donna”, che vuol dire sposa, oltretutto in un modo che appare maleducato (Donna, che vuoi da me?), mentre questa frase significa un’altra cosa perché è un’espressione ebraica, e dunque l’evangelista non sta descrivendo il dialogo tra Gesù e la Madonna; e poi, cosa sono le anfore di pietra per la purificazione dei giudei, e perché sono sei e non cinque o sette?; chi è quello che dirigeva il banchetto e perché non si accorge che mancava il vino?; perché si lamenta che il vino migliore sia stato servito per ultimo?; ma soprattutto cos’è questo vino? E mi sto limitando al vangelo, perché se andassimo a commentare le altre letture, non andiamo più a casa. La storia della regina Ester che si fa tutta bella per far colpo sul re così da ottenere quello che vuole, e anche qui bisognerebbe conoscere tutta la storia, senza dimenticare che non è un fatto storico, perché il libro di Ester è un romanzo dell’Antico Testamento, che ovviamente è stato scelto perché ha un collegamento col vangelo. Poi c’è come sempre una pagina di san Paolo, e quella di oggi è tanto splendida quanto complicata, ma dove si dicono cose importantissime per la nostra vita. Per questo, ripeto, ho sempre la speranza che siano numerose le persone adulte interessate a partecipare ai momenti più distesi che la comunità offre per approfondire queste cose: il lunedì sera dove si spiegano le letture, i gruppi di ascolto, le lectio divine, il corso biblico, le catechesi degli adulti. Allora, in conclusione, visto che finora ho volutamente perso tempo a non spiegare niente delle letture appunto per lanciare queste provocazioni, cosa potrei dire, almeno sulla pagina del vangelo, senza ovviamente entrare in tutti i particolari a cui accennavo? Che le nozze di Cana raccontano non un gioco di prestigio fatto da Gesù per una banda di ubriaconi, complice la Madonna che si accorge delle piccole cose, come spesso si usa dire, proprio perché il vino, nei matrimoni in generale, ma nei matrimoni di quel tempo è una cosa non da poco, ma importantissima, perché rappresenta l’amore. Quindi l’evangelista sta parlando di un matrimonio senza amore, e ce ne sono tanti, ma non del matrimonio tra due persone, bensì del nostro rapporto con Dio, che può essere vissuto in due modi: o con paura e timore, per cui io mi devo meritare con i miei sforzi di piacergli, senza mai riuscirci, per cui mi sento sempre in colpa, in difetto, in angoscia, magari per una preghiera non detta o per uno sbaglio fatto, e questo primo modo è simboleggiato dalle sei anfore di pietra vuote che servivano per la purificazione; oppure nel modo nuovo che Gesù viene a manifestare, simboleggiato dalla trasformazione dell’acqua in vino. L’evangelista non sta descrivendo un miracolo, infatti non lo chiama miracolo, ma segno. Il cambiamento dell’acqua in vino è segno del cambiamento del modo di vivere il rapporto con Dio e che Gesù è venuto a inaugurare. La gloria di Dio Gesù la manifesterà nell’ora della croce, e questo episodio la anticipa, e la gloria di Dio è comunicarci il suo amore, cioè il vino, non guardando i nostri meriti, aspettando che ci purifichiamo e che ne siamo degni, ma guardando i nostri bisogni. Non siamo a noi a doverci purificare per essere degni dell’amore di Dio, ma è il suo amore che, se viene accolto, ci purifica e ci fa diventare come Lui, ripieni del suo amore e quindi capaci di amare, realizzando così la nostra esistenza umana. Un Dio non più da cercare, ma da accogliere; un Dio che non va servito per ottenere favori e miracoli; un Dio che non è un peso o un di più, per cui si gioca al ribasso cercando di fare il minimo, e così anche la Messa diventa un dovere da espletare, per cui più breve è meglio è, ma un Dio sposo che mi chiama alle nozze con lui per fecondarmi con la sua energia vitale.