martedì 1 gennaio 2019

OTTAVA DI NATALE 2019

Perché la Chiesa, al termine di un anno civile, canta il Te Deum per ringraziare il Signore dell’anno trascorso e poi, all’inizio del nuovo anno, invoca lo Spirito santo? La risposta più ovvia, quella che si dà normalmente, è questa: ringraziamo il Signore per tutti i doni che ci ha fatto e lo invochiamo perché ce la mandi buona. Ecco, questa è una risposta che io non riesco più ad accettare e che, come
me, penso che non riescano ad accettare tutti quelli che in chiesa non vengono mai, e sono la maggior parte, perché non credono più in questo Dio, e hanno ragione. Perché se viene insegnato che Dio ci ama, è buono, ci aiuta e ci protegge, non si capisce cosa ci sia da ringraziare se l’anno trascorso è stato pieno di problemi, difficoltà, disgrazie o tragedie, e così preferiscono affidarsi agli oroscopi. Una persona a cui l’anno trascorso fosse andato malissimo avrebbe ragione a dire: meno male che Dio mi ama, perché se invece io gli fossi stato sulle scatole chissà cosa mi sarebbe successo peggio di quello che mi è capitato. Allora qui i casi sono: o che Dio non ci ama, oppure che è un altro il modo con cui Dio ci ama. Ma per capire questo dobbiamo guardare Gesù e imparare a conoscere il suo vangelo. Solo Gesù ci fa vedere chi è Dio. Invece no. Anche noi cristiani continuiamo a pensare a Dio, che nessuno ha mai visto e conosce, come quello a cui chiedere favori e grazie, che ci ascolta, ci premia o ci castiga a seconda di come ci siamo comportati, tanto è vero che quando a uno sembra, tutto sommato, di essere una brava persona, e poi vede come gli vanno le cose si domanda: ma cosa ho fatto di male per meritare tutto questo? Giusto, se uno pensa che Dio sia così, e poi vede che Dio non si comporta come dovrebbe, cosa fa? Lo licenzia, lo abbandona. Ma qui, il problema, non è Dio, ma siamo noi. Gesù è venuto a salvarci da questa idea sbagliata di Dio, ci ha fatto vedere che Dio è un’altra cosa, ma noi niente. Gesù, innocente, ha patito e sofferto, e noi gli chiediamo di toglierci le sofferenze. È morto ed è risorto, quindi vuol dire che Dio ci toglie la morte del corpo, ma la paura che la morte del corpo sia la fine di tutto, e noi continuiamo ad avere paura della morte, pur professando la fede nella Pasqua che celebriamo in ogni eucaristia. Gesù, insegnandoci a chiamare Dio col nome di Padre, ci ha fatto vedere che ogni uomo va accolto e amato come un fratello, che la comunione con Dio non è quando mangiamo l’ostia consacrata, ma se mangiamo quell’ostia per ricevere la forza di amare gli altri allo stesso modo, e noi cosa facciamo? Siamo onesti: facciamo la comunione per chiedergli le grazie di cui abbiamo bisogno, che esaudisca i nostri desideri, mica di trasformarci, e infatti poi, finita la messa, tutto continua come prima. Nel Padre nostro ci ha insegnato cosa chiedere a Dio nella preghiera, con la fiducia di ottenere quel che chiediamo, e nel Padre nostro non c’è nulla che riguardi il farci andar bene le cose come vogliamo noi, e noi diciamo il Padre nostro a macchinetta senza nemmeno pensare a quello che stiamo chiedendo. Ora, non c’è da stupirsi delle nostre resistenze: basta leggere i vangeli per consolarci, infatti i vangeli parlano di tutte le resistenze di fronte al messaggio di Gesù. Il problema è che i vangeli si conoscono ancora troppo poco e sono in pochi che cercano di trovare il modo di comprenderli. Basterebbero anche solo i pochi versetti che la liturgia di oggi ci propone, e che ci presenta i pastori che glorificavano e lodavano Dio per tutto quello che avevano visto e udito, e la gente che si stupiva delle cose che essi dicevano, cioè si mostrava incredula. Tranne Maria, che invece di scandalizzarsi, cercava di meditare queste cose nel suo cuore, cioè di comprenderle. Qual era la cosa scandalosa che era successa? Che fossero proprio dei pastori a lodare il Signore, cosa inaccettabile, perché, a quel tempo, essi erano ritenuti peccatori e lontani da Dio in quanto non potevano partecipare alle funzioni del tempio, e infatti si credeva che quando il messia sarebbe arrivato, li avrebbe castigati. Invece furono i primi ad essere avvolti della sua luce, del suo amore. Vedete come il Dio di Gesù fin dall’inizio si mostra diverso dal Dio che abbiamo in mente noi e ci sconvolge? Guarda un po’, Dio è uno che ama tutti, indipendentemente dalla propria condizione o dal proprio comportamento, per cui la domanda “cosa ho fatto di male per meritarmi questo?” decade subito. Ciononostante cosa fanno i genitori di Gesù? Otto giorni dopo la sua nascita lo fanno circoncidere, come prevedeva la tradizione, perché con questo rito iniziatico un bambino entrava a far parte del popolo ebraico, il solo erede delle promesse divine, per cui se sei circonciso sei salvo altrimenti no. Anche Maria e Giuseppe sono vittime dell’idea che Dio ama solo quelli che sono dei nostri. Ma come è possibile, se proprio i pastori, i peccatori, erano appena stati avvolti dall’amore di Dio alla nascita di Gesù? E’ possibile per i motivi che dicevamo prima e che i vangeli ci raccontano: è difficile accogliere la novità portata da Gesù ed è più facile andare avanti ingabbiando Dio nei nostri schemi, tra i quali c’è quello che di pensare che Dio sia quello che ci fa andare bene o male le cose a seconda di quello che abbiamo fatto o meno. Gesù invece, in tutto il vangelo, ha rivelato che è solo uno il dono che Dio fa sempre a tutti, ma che fa presa e ha il suo effetto su chi se ne rende conto e lo accoglie: il dono del suo Spirito, della sua Parola, dei suoi sacramenti, che non viene a cambiare il mondo, ma a cambiare me. L’amore di Dio non si manifesta facendomi andar bene le cose, tantomeno a farmele andar male a seconda se sono bravo o cattivo, ma a insegnarmi come affrontare la vita e a darmene la forza. Se il Natale serve per farci commuovere e cantare le ninna nanna a Gesù bambino, tra pochi giorni disfiamo il presepe e tutto prosegue come prima. Se invece capiamo che facendosi uomo in Gesù, Dio ha assunto la nostra carne per abitare in noi col suo Spirito, affinchè noi possiamo vivere della sua forza che mai abbandona nelle vicende felici e tristi della vita, del suo amore che ci rende capaci sempre e comunque di amare come Gesù, allora si che non diventiamo atei quando le cose ci vanno male, ma possiamo davvero cantare il Te Deum dicendogli grazie, pronti ad affrontare con lo spirito giusto, cioè col suo Spirito, l’anno che verrà.