domenica 23 giugno 2019

CORPUS DOMINI ANNO C

Dicevo domenica scorsa che le due feste che si celebrano le prime due domeniche dopo Pentecoste, ovvero la festa della Trinità domenica scorsa e quella del Corpus Domini oggi, sono due feste “strane”. Strane perché ogni domenica è festa della Trinità, il nostro Dio è Trinità, siamo sempre riuniti nel suo nome, siamo battezzati nel suo nome; e ogni volta che celebriamo la Messa è festa del Corpus Domini, perché sempre, nell’Eucaristia, Gesù si rende presente col suo corpo e col suo
sangue. Quindi, oggi, di per sé, siamo invitati semplicemente, come il giovedì santo, a riflettere su cosa vuol dire celebrare l’eucaristia e cosa vuol dire fare la comunione col corpo e col sangue di Gesù. E mi capite che qui potremmo parlarne per ore dicendo di tutto e di più. Allora vorrei dire qualcosa partendo dai testi che ci offre la liturgia quest’oggi, a partire dalla breve lettura che, anch’essa, racconta un fatto strano che ha come protagonista uno strano personaggio, Melchisedek. Un personaggio che compare nel libro della Genesi quando Abramo, dopo aver saputo che il nipote Lot era rimasto prigioniero durante una battaglia, radunò i suoi uomini più addestrati alla guerra, e lo liberò. Di ritorno dalla vittoria, avvenne che il re di Salem, la futura Gerusalemme, gli offrì pane e vino e lo benedisse, come abbiamo letto. Di questo re, Melchisedek, si dice che era anche sacerdote del Dio altissimo, ma era un sacerdote pagano. Al tempo di Abramo il popolo degli ebrei ancora non si era ancora formato, e non c’erano sacerdoti. I sacerdoti ci sono da sempre in tutte le religioni. Chi sono i sacerdoti? Sono quelli che mettono in contatto gli uomini con Dio. E Melchisedek era un sacerdote pagano, non era un ebreo, non credeva in Javeh. Ebbene, questo strano personaggio venne ritenuto da subito una prefigurazione del Messia, del Cristo, nuovo sacerdote dell’Umanità, come testimoniano le parole del salmo 109, con cui abbiamo pregato, e la Chiesa le riferisce a Gesù. Ai tempi di Gesù, i sacerdoti appartenevano alla tribù di Levi. Gesù apparteneva alla tribù di Giuda, dunque non era un sacerdote, ma era un laico. Sarà la lettera agli Ebrei a parlare di Gesù come un sacerdote, ma al modo di Melchisedek, cioè sacerdote dell’Umanità, colui nella cui persona il cielo e la terra si sono congiunti, perché Gesù è insieme Dio e uomo. Cioè, Gesù, nella sua umanità, ci fa vedere chi è Dio e in che modo tutti possiamo diventare sacerdoti, cioè unirci a Dio e diventare come Dio, quindi come Lui. E qual è questo modo? Quello descritto nel brano di vangelo. Noi diventiamo sacerdoti quando, come Gesù, invece di fregarcene degli altri, ci preoccupiamo dei loro bisogni e diventiamo noi stessi pane che si fa mangiare da tutti. Insomma, quando invece di mangiare gli altri siamo disposti a farci mangiare dagli altri, di metterci a loro servizio. Di fare cioè quello che ha fatto Gesù sulla croce, anticipato nell’ultima cena e in tutti i gesti della sua vita, uno su tutti quello della condivisione dei pani e dei pesci, dove Gesù non compie nessun miracolo, ma insegna a tutti come compiere il miracolo dell’amore. Nel linguaggio comune, siamo noi preti a venire chiamati sacerdoti, e questo è sbagliato, perché siamo tutti sacerdoti e sacerdotesse, dal giorno del nostro battesimo. Il prete è un ministro ordinato, cioè un sacerdote come tutti voi che però svolge nella comunità un servizio (questo vuol dire ministro) che è ordinato a trasmettere con l’annuncio della Parola e con i sacramenti la grazia del Signore affinchè tutti voi possiate vivere di Dio, cioè essere suoi sacerdoti, cioè vivere il vostro battesimo. La stessa Eucaristia, non sono io a celebrarla, ma la celebriamo tutti insieme, perché siamo tutti sacerdoti: il prete la presiede, cioè manifesta visibilmente la presenza di Gesù che vuole entrare in comunione con tutti noi, che vuole nutrirci di se stesso per farci diventare come lui, per essere tutti sacerdoti, cioè presenza reale di Gesù. Noi crediamo che Gesù è realmente presente nel pane e nel vino consacrati. Ma serve a niente se anche tutti noi non diventiamo a nostra volta sacerdoti, cioè presenza reale di Cristo. E lo diventiamo se appunto ci trasformiamo in Lui diventando a nostra volta pane che si spezza e vino, cioè vita, che si dona agli altri. Questo è il senso dell’eucaristia, questo è il motivo per cui ci ritroviamo a celebrare la messa, tutti insieme, non come spettatori, ma come protagonisti, che si sentono coinvolti e chiamati in causa per edificare la Chiesa e il mondo come sacerdoti dell’Umanità, a servizio del bene di tutta l’umanità, come ha fatto Gesù, sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek.